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Cap 2 La conciliazione dei tempi in ambito europeo e nazionale

2.1 La conciliazione in ambito europeo

2.1.1 La normativa comunitaria

La normativa comunitaria in materia di conciliazione è strettamente legata a quella relativa al pieno raggiungimento dell’uguaglianza di genere e soprattutto a quella relativa alla tutela della maternità.

                                                                                                                         

59 Marino M. “La conciliazione dei tempi di vita e di lavoro: una policy per le donne e per gli

uomini in una prospettiva di maggiore occupazione per tutti” in Rivista giuridica del

Mezzogiorno, Fasc. 1-2/2012 p. 314

60 Ballestrero M.V., “La conciliazione tra lavoro e famiglia. Brevi considerazioni

introduttive”, in Lavoro e diritto, 2009 p. 171

Il tema della conciliazione viene affrontato per la prima volta in sede comunitaria alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso quando la Commissione Europea pubblicò nel 1989 una “Comunicazione sulle politiche famigliari”62 dove esortava gli stati membri circa la necessità di interventi che aiutassero i genitori a conciliare il lavoro retribuito con quello familiare affinché uomini e donne condividessero le responsabilità di cura dei figli63.

E’ innanzitutto necessario effettuare una distinzione terminologica a seconda che si parli di congedo di maternità cioè il periodo di astensione obbligatoria riconosciuta alla lavoratrice durante il periodo di gravidanza e puerperio e direttamente legato alla tutela della salute della lavoratrice, piuttosto che di congedo parentale cioè un’astensione facoltativa dove l’obiettivo è relativo alla custodia dei bambini e quindi più legato al tema della conciliazione della vita lavorativa con quella familiare.

Riferito a questo secondo filone, dopo quel primo documento del 1989, un altro documento ufficiale a livello europeo in materia di sviluppo di misure che consentono agli uomini e alle donne di conciliare meglio i loro obblighi professionali e familiari è la raccomandazione del Consiglio n. 92/241/CEE del 31 marzo 1992, sulla custodia dei bambini, che attua quanto previsto dall’art. 16 c. 3 della Carta Comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989.

Nonostante sia emanata sotto forma di raccomandazione e quindi con un valore non vincolante rispetto a direttive o regolamenti, tale raccomandazione sottolinea la necessità della “divisione fra uomini e donne delle responsabilità professionali e di quelle familiari ed educative risultanti dalla custodia dei bambini”64.

Con tale documento il diritto comunitario si muove nella direzione di una conciliazione condivisa intervenendo a tutela fisica ed economica sia della lavoratrice madre che del lavoratore padre.

                                                                                                                         

62 COM(89)363

63 Donà A., “Donne e lavoro: quali i risultati delle politiche di conciliazione in Italia?” op.

cit., p. 111

La raccomandazione si segnala, innanzitutto, per l’elencazione ampia dei genitori cui vanno rivolti e organizzati i servizi di custodia di bambini: non solo quelli che lavorano, ma anche quelli che seguono corsi di istruzione o di formazione per ottenere un lavoro, nonché quelli che di queste situazioni sono in cerca.65

Al fine di aiutare le famiglie ad affrontare le problematiche della conciliazione, nella raccomandazione si individuano quattro settori di intervento, rappresentati da servizi di custodia per i bambini, dal conferimento di congedi speciali ai genitori lavoratori, dalla previsione di azioni positive inerenti l’ambiente, la configurazione e l’organizzazione del lavoro e dalla condivisione tra uomo e donna delle responsabilità familiari.

In particolare l’art. 6 raccomanda agli Stati membri di “promuovere ed incoraggiare una partecipazione degli uomini al fine di assicurare una più equa ripartizione delle responsabilità parentali tra uomini e donne”, evidenziando come la carenza di iniziative volte alla conciliazione fra obblighi professionali e familiari dei genitori rappresenti un ostacolo all’accesso e alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Significativo è il considerando secondo il quale l’espressione custodia dei bambini rappresenta un termine ampio, atto a ricomprendere l'organizzazione di servizi di custodia corrispondenti alle esigenze dei bambini, la concessione di congedi speciali a genitori, lo sviluppo di un ambiente, di strutture e di un'organizzazione del lavoro appropriati e la divisione fra uomini e donne delle responsabilità professionali, familiari ed educative derivanti dalla custodia di bambini.

Un secondo importante intervento, che disciplina in particolare il congedo di maternità, è quello che riguarda la Direttiva n. 92/85/CEE concernente il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento recepita con il D. Lgs n. 645 del 25 novembre 1996.

                                                                                                                         

65 Gottardi D., “I congedi parentali nell’ordinamento italiano”, in Lavoro e diritto 1999 p.

La direttiva evidenzia che le donne in gravidanza e in periodo di allattamento sono un gruppo esposto a rischi specifici per i quali è necessario adottare provvedimenti per quanto riguarda la protezione della loro sicurezza e salute.

In questa direttiva vengono quindi esortati gli Stati membri affinché le lavoratrici possano usufruire di un periodo di congedo di almeno quattordici settimane ininterrotte di cui due obbligatorie da ripartire nel periodo precedente e successivo il parto con il mantenimento della retribuzione e/o il versamento di un’indennità durante il periodo di congedo, oltre che di tutta una serie di misure idonee per evitare conseguenze dannose per la loro salute attraverso l’esonero da prestazioni lavorative rischiose per la salute della donna.

In tale direttiva si prevede anche il divieto di licenziamento dall’inizio dello stato di gravidanza fino al termine del congedo di maternità.

Da segnalare che l’art. 11 di tale direttiva specifica, in riferimento al periodo del congedo di maternità, che l’indennità “è ritenuta adeguata se assicura redditi almeno equivalenti a quelli che la lavoratrice interessata otterrebbe in caso di interruzione delle sue attività per motivi connessi allo stato di salute, entro il limite di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali”

A questi primi documenti ufficiali ne sono seguiti altri nella convinzione che la condivisione delle responsabilità familiari fra donne e uomini sia lo strumento fondamentale contro le discriminazioni e il superamento degli stereotipi di genere. Pochi anni dopo infatti la direttiva n. 96/34/CE del Consiglio del 3 giugno 1996, attuativa dell’accordo quadro sul congedo parentale concluso dell’Unice, dal Ceep e dalla Ces il 14 dicembre 1995, estende ai padri lavoratori diritti fino ad allora riconosciuti solo alle madri.

La direttiva opera una distinzione tra congedi di maternità, strettamente connessi all’evento della nascita e diretti alla protezione della salute e del benessere della madre e del bambino con esclusivo riguardo al periodo prossimo al momento della nascita, e congedi parentali, attribuiti alla madre e al padre e diretti ad assicurare al bambino l’assistenza e le cure necessarie nella fase di crescita.

In particolare il congedo parentale, in un’ottica di superamento degli stereotipi di genere, viene individuato come un diritto individuale in linea di principio non trasferibile, da attribuire a tutti i lavoratori, donne e uomini in occasione della nascita o dell’adozione di un bambino, della durata pari a tre mesi, da esercitarsi al massimo fino al compimento dell’ottavo anno di vita del figlio.

Nonostante la locuzione “in linea di principio”, che lascia comunque un margine d’azione ai vari stati membri, la non trasferibilità del congedo appare come un congegno finalizzato al raggiungimento delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne.66

La Comunità europea, dunque, riconosce in qualche modo la vantaggiosità della conciliazione fra famiglia e lavoro e spinge gli Stati membri all’adozione o innovazione delle politiche relative ai congedi parentali che risultino da processi condivisi e di concertazione67.

La direttiva stabilisce prescrizioni minime, sulla base delle quali la legislazione e la contrattazione collettiva interne di ciascun Paese sono chiamate a costruire il tessuto normativo più idoneo. Ciò significa che non può essere ridotto il livello generale di protezione previsto dalla direttiva, ma non è vietata la possibilità “di stabilire con l’evolversi della situazione” disposizioni legislative o regolamentari di miglior favore da parte degli Stati membri.

La direttiva n. 96/34/CE viene abrogata dalla direttiva n. 2010/18/UE dell’8 marzo 201068 che ha attuato l’accordo quadro sui congedi parentali, sottoscritto il 18 giugno 2009 dalle organizzazioni europee interprofessionali delle parti sociali BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP e CES).

                                                                                                                         

66 Calafà L. “Paternità e lavoro” op. cit., p. 51

67 Cannito M. “Quando il congedo è maschile? Vincoli e opportunità nell’uso dei congedi

parentali da parte di padri in Italia” op. cit., p. 327

68 La direttiva 2010/18/UE è stata modificata dalla Direttiva 2013/62/UE in conseguenza della

La direttiva prende atto che in numerosi Stati membri l’invito agli uomini ad accettare un’equa ripartizione delle responsabilità familiari, non ha apportato risultati sufficienti69.

Le azioni di sensibilizzazioni previste nella precedente direttiva non sono state sufficienti per cui si evidenzia l’urgenza di rendere più efficaci le misure intraprese e incoraggiando una più equa ripartizione delle responsabilità familiari tra uomini e donne.

Le finalità di questa direttiva sono analoghe a quelle della direttiva abrogata ma, vista la crescente diversità delle strutture familiari e in considerazione dell’evoluzione sociale e culturale, vengono ampliati i destinatari delle disposizioni ivi contenute, in particolar modo si estendono le misure anche ai nuclei monofamiliari, a coppie non sposate e coppie dello stesso sesso.

Viene innalzato il congedo parentale da 3 a 4 mesi con relativo rafforzamento del congedo parentale come diritto individuale, per un totale di 8 mesi per figlio da fruire entro gli otto anni d’età del bambino e, proprio al fine di favorire una più equa ripartizione delle responsabilità genitoriali, uno di questi quattro mesi viene attribuito in forma non trasferibile.

Viene introdotto il diritto di richiedere modalità di lavoro flessibili al ritorno dal congedo parentale, per un periodo di tempo determinato, rispondenti ad esigenze sia dei datori di lavoro che dei lavoratori.

Nonostante la consapevolezza dell’importanza della questione economica nell’esercizio del congedo parentale anche questa direttiva lascia agli Stati membri e/o alle parti sociali il compito di determinare il trattamento economico e previdenziale non prevedendo alcuna indennità minima per i periodi di congedo. Con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000, che acquisterà lo stesso valore giuridico dei trattati con l’entrata in vigore del Trattato di

                                                                                                                         

69 Considerando 12 Osservazioni Generali dell’Accordo quadro sul congedo parentale

Lisbona, in particolare con l’art. 3370, si riconosce il diritto per ogni individuo, al fine di poter conciliare la vita familiare e quella professionale, ad un congedo di maternità retribuito e ad un congedo parentale dopo la nascita e l’adozione di un figlio.

Viene affermata di nuovo l’esigenza di incoraggiare i padri a farsi carico delle responsabilità di accudimento per favorire la conciliazione della vita familiare con quella professionale.

Dopo il ritiro nel 2015 della proposta di direttiva sui congedi di maternità che non aveva visto raggiungere una posizione comune in seno al Consiglio, la Commissione ha rilanciato il dibattito politico in materia adottando una nuova e più ampia iniziativa in materia di bilanciamento della vita familiare e lavorativa presentando una nuova proposta COM(2017)253 il 26 aprile 2017 71.

Tale proposta è parte di uno dei tre pacchetti di iniziative72 connesse al pilastro europeo dei diritti sociali approvato dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione europea durante il vertice sociale per l'occupazione equa e la crescita, che si è svolto a Göteborg il 17 novembre 2017.

La proposta di direttiva prevede l’introduzione di nuove disposizioni minime in materia di congedo di paternità secondo le quali i padri o i secondi genitori potrebbero fruire al momento della nascita di un figlio di almeno dieci giorni lavorativi di congedo, retribuiti al livello stabilito dallo Stato membro interessato ma comunque non meno dell’indennità di malattia.

Si prevede anche un aggiornamento della disposizione minima in materia di congedo parentale, mantenendo il diritto individuale esistente di quattro mesi ma con due mesi non trasferibili e retribuiti al livello stabilito dallo Stato membro interessato.

                                                                                                                         

70 L’art. 33 paragrafo 2 della Carta di Nizza prevede: «al fine di poter conciliare vita familiare

e vita professionale, ogni persona ha il diritto di essere tutelata contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità e il diritto ad un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l’adozione di un figlio».

71 al sito https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:84205176-2b39-11e7-9412-

01aa75ed71a1.0019.02/DOC_1&format=PDF

72 Il pilastro europeo dei diritti sociali include tre categorie principali: pari opportunità e

Una volta approvata, introdurrebbe anche la possibilità di usufruire di cinque giorni di congedo annuale per i prestatori di assistenza, precedentemente non riconosciuto a livello di UE e estenderebbe il diritto di chiedere modalità di lavoro flessibili per i genitori nonché per i prestatori di assistenza.

I genitori e i prestatori di assistenza potrebbero chiedere, ad esempio, un orario di lavoro o un’organizzazione della vita professionale flessibili e di fruire del diritto al lavoro a distanza.

Il condizionale è d’obbligo perché solo il 4 aprile 2019 il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura il testo della proposta di direttiva, già concordata informalmente con i ministri UE. Fermo restando che politicamente e istituzionalmente il dato è significativo, dovrà comunque essere approvata anche dal Consiglio.

Una volta entrata in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, gli Stati membri avranno tre anni di tempo per recepire le nuove regole previste dalla direttiva.

Le questioni che hanno “rallentato” l’approvazione di tale direttiva riguardavano la definizione del livello ottimale della durata del congedo effettivo perché come indicato anche nel testo della proposta di direttiva stessa, la durata e la compensazione del congedo hanno un impatto consistente sia sulle scelte di fecondità che sui percorsi di partecipazione al mercato del lavoro.