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CONSEGUENZE DELLA SUA MANCATA PREVISIONE

Nel documento LA LOCAZIONE DI IMMOBILI URBANI (pagine 56-62)

GLI OBBLIGHI A CARICO DEL CONDUTTORE

CONSEGUENZE DELLA SUA MANCATA PREVISIONE

La dottrina prevalente e la giurisprudenza non hanno dubbi nel sostenere che l'importo del canone sia un elemento essenziale del contratto di locazione, e come tale dev'essere determinato o almeno determinabile (art.1346 c.c.), a pena di nullità (art. 1418 c.c.).;la Suprema Corte lo ha ribadito nella S. 28 Marzo 1977, n. 1194.

Solo alcune voci isolate sostengono la diversa tesi secondo cui un contratto di loca- zione senza l'indicazione del canone è valido, evidenziando i casi in cui il legislatore codicistico ritiene validi contratti in cui non è specificato il corrispettivo che

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costituisce la controprestazione rispetto alla prestazione principale , demandandone la determinazione in caso di contrasto tra le parti a seguito dell'esecuzione della prestazione al giudice : contratto di Appalto (art. 1657 c.c.), di Lavoro autonomo (art. 2225 c.c.), di Prestazione d'opera professionale (art. 2233 c.c.), nonchè tre ipotesi nel contratto di compravendita, individuate dall'art. 1474 c.c. : compravendita con un venditore professionale,(in cui il prezzo sarà quello correntemente praticato dal venditore in quella giornata), compravendita di cosa che abbia un prezzo ufficiale di listino , e compravendita in cui risulti che le parti, pur non avendo determinato il prezzo, “abbiano inteso riferirsi al giusto prezzo” (nel caso in cui, se le parti non trovassero l'accordo, è disposto che il prezzo sia stabilito in modo vincolante per en-trambe le parti da un perito stimatore nominato dal Presidente del Tribunale del luogo in cui il contratto è stato concluso).E' facile tuttavia osservare che tutte le norme citate, compreso l'art. 1474 , ultimo comma, c.c., che viene indicato dai sostenitori di tale tesi come principio generale in materia di contratti di scambio, siano norme di natura eccezionale, non applicabili quindi per analogia al caso della locazione priva dell'indicazione del canone; il nostro ordinamento si informa infatti , nell'ottica di un'economia di mercato,al principio per cui i prezzi devono essere fatti dalle parti nell'esercizio della rispettiva autonomia privata, e non dai giudici , ai quali al massimo può essere lasciato uno “spazio di manovra” solo per la tutela di interessi particolarmente meritevoli, come d'altronde emerge dal complessivo disegno codicistico. Nè tantomeno si può sostenere la “scaricabilità” sull'autorità giudiziaria dell'incapacità delle parti di individuare l'”equa” entità del corrispettivo, altra essendo la funzione di questo organo dello Stato, che non “aiutare” le parti a completare un accordo che infatti non si può ritenere valido senza la determinazione del canone.

Il dubbio sulla validità dei contratti privi dell'indicazione del canone si pone in modo peculiare per quanto riguarda la locazione di immobili urbani, e in particolare per i

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contratti che per scelta delle parti siano a “contenuto eterodeterminato”, di cui all'art.2 c.3 della l. 431/98 (ma lo stesso stesso discorso è applicabile anche ai contratti per esigenze transitorie di cui all'art. 5 della citata legge, ivi inclusi quelli per le esigenze abitative di studenti universitari).

Parte della dottrina infatti sostiene che in questo caso si applicherebbe l'art. 1339 c.c., secondo cui nei casi in cui la legge preveda imperativamente un prezzo o una clausola, questi penetrano imperativamente nel contratto anche in sostituzione di quelli previsti dalle parti, intendendosi con quell'”anche” che gli importi “legali” del canone sono applicabili sia dove siano stati previsti canoni diversi, sia dove , a fortiori,non sia stato pattuito affatto un canone.

Non è però così. L'art. 1339 c.c. è stato pensato in funzione di prezzi “rigidi”, che facciano per così dire contemporaneamente sia da “tetto” che da “pavimento” alla gamma dei canoni pattuibili dalle parti , mentre la l. 431/98 non mira a stabilire un prezzo fisso, ma solo un “tetto” all'ambizione del locatore, contraente forte, a ottenere un canone più alto possibile, all'interno di un tipo contrattuale che offre rilevanti vantaggi fiscali al locatore stesso ; la diversa funzione delle due norme ne delimita i diversi ambiti di applicazione : diversamente argomentando, si finirebbe con il dover ammettere che il conduttore non può ottenere un canone minore di quello “concordato”, sostituendosi questo automaticamente a quello stabilito dalle parti, ciò che contraddirebbe l'intera ratio della norma !

Si dice , in altre parole, che le disposizioni contenute negli accordi cui rinvia la l. 431 siano solo di natura imperativa e non anche di natura suppletiva, essendo le due funzioni chiaramente distinte in tutto l'impianto codicistico e non potendosi attribuire a una norma con funzione imperativa automaticamente anche quella suppletiva : un caso evidente è rinvenibile proprio in materia di locazioni, laddove il codice impone all'art.1573 c.c. che la locazione non abbia durata superiore a trent'anni, disponendo

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la modificazione automatica della clausola della durata in caso di patto contrario (norma imperativa), e all'art. 1574 (norma suppletiva) che laddove non sia stata stabilita la durata del contratto, questa venga stabilita ex-lege in un anno.

Il contratto a “canone concordato”, stipulato cioè seguendo le modalità previste dagli accordi territoriali cui fa rinvio l'art. 2, c.3 della legge 431, è quindi nullo se nel regolamento contrattuale è omesso l'importo del canone.

Sono comunque applicabili le norme sulla conversione dei contratti nulli (art. 1424 c.c.) , e in particolare si può dire che il contratto di locazione ad uso abitativo di cui all'art.2, comma 3 della l.431/98 concluso senza la previsione dell'entità del canone (e quindi, nullo), vincola comunque il locatore a instaurare un rapporto che abbia come canone massimo quello “concordato”, sempre naturalmente che il conduttore sia disposto a corrisponderlo, e quindi, in definitiva , a concludere un nuovo contratto dal canone espressamente determinato (o determinabile) : ci si trova , in altre parole, di fronte a un tipico patto di opzione ex -art. 1331 c.c. , che vincola una sola parte a concludere, una volta che l'altra abbia manifestato l'intenzione di farlo.

La ragione per cui si ha conversione in patto d'opzione e non in un contratto valido con canone “concordato” è in definitiva la medesima che conduce a qualificare il contratto senza la previsione del canone come nullo : la norma prescrittiva (e non suppletiva) trova la sua ratio nella tutela dell' interesse del conduttore-contraente debole a “minimizzare” il profitto ritraibile dal contraente forte-locatore , tutela che sarebbe a fortiori perseguita se il conduttore riuscisse a pattuire anche un canone minore rispetto al “tetto” legale con il locatore; il conduttore va dunque lasciato libero, in assenza di previsione contrattuale, di decidere se è nella sua disponibilità il

“canone massimo”, o se è egli è disposto a pagare solo un importo minore, vincolando a tale “canone massimo” la norma solo il locatore.

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3. LE CLAUSOLE DI AGGIORNAMENTO DEL CANONE

L'inflazione può incidere molto sull'equilibrio economico stabilito da un contratto : nella locazione, in particolare, un canone che all'inizio del rapporto ha un certo valore reale, alla fine può averne uno irrisorio per effetto dell'aumento dei prezzi.

Il rimedio dunque per evitare tali fenomeni, ed adeguare il canone al costo della vita, è apporre nel contratto clausole di aggiornamento, che prevedano l'indicizzazione del canone , cioè il suo adeguamento automatico all'aumento dei prezzi.

Tali clausole però non sempre sono permesse o sono permesse senza limiti dal legislatore.

In particolare,per quanto riguarda le locazioni ad uso non abitativo, la durata minima del contratto è lunga (sei anni,nove se l'immobile è adibito ad attività alberghiere), e quindi si pone in modo particolarmente sentito l'esigenza di aggiornamento del canone, che è quindi esplicitamente ammessa dall' art. 32 della l.392 , a patto però che l'aggiornamento non superi il settantacinque per cento dell'indice dei prezzi al consumo , che l'aggiornamento sia previsto su base annuale, e che avvenga “su richiesta del locatore”, cioè che il locatore ogni anno “solleciti”

l'aumento del canone al conduttore, esplicitamente (la Cassazione si è espressa con la sentenza n.1290, 6 Febbraio 1998, nel senso che è nulla la clausola che prevedesse un aggiornamento automatico del canone);

Per quanto riguarda le locazioni ad uso abitativo a canone “libero” , la legge equo-canone prevedeva all’abrogato art. 24 disposizioni analoghe a quelle previste per le locazioni ad uso non abitativo, mentre la l.431 tace al riguardo : dunque ,un'eventuale clausola di aggiornamento deve ritenersi senz'altro ammissibile (un sospetto , potrebbe per la verità venire dalla lettura del pessimamente redatto art. 13, comma 4° della legge, che come si vedrà più avanti, parla di nullità ,“ove in

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contrasto con le disposizioni della presente legge,”, di “qualsiasi obbligo del conduttore nonché qualsiasi clausola o altro vantaggio economico o normativo diretti ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito” : non essendo presenti nella legge , come si sa, norme che per questi tipi di contratto dettano imperativamente l'importo del canone, si potrebbe pensare che la legge quando parla di “clausole o altri vantaggi economici o normativi” si riferisca proprio alle clausole di aggiornamento, ma a parte la pessima sintassi che impropriamente parla di nullità di “vantaggi”, ancora nessun autore né nessuna pronuncia giurisprudenziale ha prospettato questa ardita interpretazione di quella che è stata non a torto definita “una delle disposizioni più oscure della l.431/98”14).

Diversa è la situazione per le locazioni ad uso abitativo con contenuto eterodeterminato : il D.M. Del 2002 in fatti , nel quadro del complesso intreccio di fonti normative già visto, “scarica” sugli Accordi locali la responsabilità di stabilire se sia ammissibile la clausola di aggiornamento per i contratti di cui all'art.3, comma 2 , precisando però che in ogni caso non è ammissibile un aggiornamento superiore al settantacinque per cento dell'indice ISTAT; in tutti gli accordi esaminati, peraltro, si rinviene la previsione della possibilità di inserire tale clausola nel contratto.

Nulla si dice invece sui contratti di cui all'art. 5, comma 1 e 2 , dal che si può dedurre , considerando l'espressa previsione “riservata” agli altri contratti

“eterodeterminati”, che la clausola non sia ammessa, anche con riguardo alla particolare natura di questi contratti, dalla durata limitata, per cui il problema della svalutazione del canone si pone con molta minor forza.

4. LE PATTUIZIONI CONTRARIE AL CONTRATTO SCRITTO E LA

14 Gabrielli G. , Padovini F. , La locazione di immobili urbani”, 2005, Cedam., p.363

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