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LA LOCAZIONE DI IMMOBILI URBANI

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Academic year: 2022

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ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITA' DI BOLOGNA

FACOLTA' DI GIURISPRUDENZA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA

LA LOCAZIONE DI IMMOBILI URBANI

Tesi di Laurea in Diritto Civile Tesi presentata da LUCA SAVINI Relatore :Chiar.ma Prof.ssa Daniela Memmo

Anno accademico 2007/2008

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INDICE

INTRODUZIONE 5 LA LOCAZIONE DI IMMOBILI URBANI E LA LOCAZIONE IN GENERALE : RAGIONI E OBBIETTIVI DI UNA LEGISLAZIONE SPECIALE. 5 DALL’EQUO-CANONE ALLA LEGGE-ZAGATTI 8

I- LE FONTI 15 1.INCOMPATIBILITA’ TRA CODICE CIVILE E LEGISLAZIONE SPECIALE 19 2. L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELLE NORME 24 2.1 Le locazioni abitative 24 2.2 Le locazioni non abitative 26 3. GLI ACCORDI 27 4. I RAPPORTI TRA LEGGE E ACCATASTAMENTI 32

II- LA FORMA DEL CONTRATTO 35 1. LA RIVOLUZIONE DELLA LEGGE 431 35 2.QUALI CONSEGUENZE DAL MANCATO RISPETTO ? 39 3.IL TEMPERAMENTO DELL’ART. 13, COMMA 5° 41 3.1 La “pretesa” del locatore 44

III- GLI OBBLIGHI A CARICO DEL LOCATORE 47 1.GLI OBBLIGHI TRADIZIONALI 47

2.L’OBBLIGO DI CONSEGNA E IL PROBLEM A DELL’IMMOBILE 49 POSSEDUTO DA TERZI

3. L’OBBLIGO DI MANUTENZIONE DOPO LA LEGGE EQUO-CANONE 50

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3.1 Il problema della ricostruzione dell’immobile 53

IV-GLI OBBLIGHI A CARICO DEL CONDUTTORE 55 1. LA CONTROPRESTAZIONE DEL CONDUTTORE : IL CANONE 55

2. LA NECESSITA’ DELLA DETERMINATEZZA (O ALMENO DELLA

DETERMINABILITA’) DEL CANONE, e conseguenze della sua non-previsione 56 3. LE CLAUSOLE DI AGGIORNAMENTO DEL CANONE 60 4.LE PATTUIZIONI CONTRARIE AL CONTRATTO SCRITTO E NULLITA’

CONSEGUENTE 61 5.IL “CANONE CONCORDATO” DELLA 341. 64 5.1 LE PATTUIZIONI CONTRARIE AI LIMITI IMPOSTI PER IL CANONE : NULLITA’ E DIVIETO DI AUTORIDUZIONE 65 6. IL PROBLEMA DEI TERMINI PER LA RESTITUZIONE DELLE SOMME INDEBITAMENTE VERSATE. 68 6.1 Decadenza semestrale e prescrizione ordinaria : quali rapporti ? 67 6.2 Il dies a quo del termine decadenziale 72 7.GLI ONERI A CARICO DEL CONDUTTORE NEL CODICE E NELL’ART. 9 DELLA LEGGE EQUO-CANONE 73

V-LA DURATA DEL RAPPORTO 78 1. LA DISCIPLINA DEL CODICE 79 2.LA LEGISLAZIONE SPECIALE : IL “QUATTRO PIU’ QUATTRO” 81 2.1 La svolta del ’78 e la giurisprudenza costituzionale conseguente. 81 2.2 La legge-Zagatti : ancor più vincoli per il locatore ! 84 2.3 I contratti “agevolati” : il “Tre più due” 87 3.LE LOCAZIONI TRANSITORIE 90 3.1 Le locazioni transitorie nella legge equo-canone 90

3.2 I contratti transitori nella Legge-Zagatti : l’ingresso nell’area

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dell’eterodeterminazione 93 3.3 I contratti transitori di cui all’art.5, c.1 della l.431. 94 3.4 I contratti transitori di cui all’art.5,c. 2. 98

CONCLUSIONI 100

BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

LA LOCAZIONE DI IMMOBILI URBANI E LA LOCAZIONE IN GENERALE : RAGIONI E OBBIETTIVI DI UNA LEGISLAZIONE SPECIALE.

Che esista un “diritto alla casa” di rango costituzionale , ciò non è più in dubbio.

La Corte Costituzionale ha avuto modo di precisarne l’estensione e i confini, specificando dopo una prima giurisprudenza restrittiva dei primi anni ottanta (“non si può convenire […] nel considerare l’abitazione come l’indispensabile presupposto dei diritti inviolabili previsti dalla prima parte dell’art.2 della Costituzione […] Del pari, non sembra puntuale il richiamo […] all’art.2 seconda parte della Costituzione relativo ai doveri inderogabili di solidarietà al cui adempimento i cittadini sono tenuti; come questa Corte ha ripetutamente affermato, spetta al al legislatore l’individuazione di tali doveri , nonché dei modi e dei limiti relativi all’adempimento stesso”, S. 252/1983) che esso è una diretta specificazione del principio personalistico che informa la nostra Carta costituzionale, nel momento in cui promuove lo sviluppo dell’individuo, e delimitandolo nei confronti dell’altro diritto costituzionalmente garantito che vi si contrappone, il diritto di proprietà.

In particolare, dopo aver assunto la posizione sopra citata , nel corso degli anni ottanta la Corte ha progressivamente mutato indirizzo, fino ad approdare alla sentenza 404/88, vero punto d’arrivo di un cammino durato un lustro, in cui la Corte, nel dichiarare incostituzionale una norma in materia di successione nel contratto di locazione da parte degli eredi del conduttore, nella parte in cui non prevede anche il convivente more uxorio tra i soggetti che succedono nel contratto, coglie l’occasione

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per affermare che :

Come affermato da una recente sentenza di questa Corte (n. 217 del 1988): "il diritto all'abitazione rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione... In breve, creare le condizioni minime di uno Stato sociale, concorrere a garantire al maggior numero di cittadini possibile un fondamentale diritto sociale, quale quello all'abitazione, contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l'immagine universale della dignità umana, sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso". Altra sentenza di questa Corte (sent. n. 49 del 1987) aveva già riconosciuto "indubbiamente doveroso da parte della collettività intera impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione".

[…]

Quando il legislatore, nel contesto della legge n. 392 del 1978, detta l'art. 6, rubricandolo

"Successione nel contratto", esprime il dovere collettivo di "impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione", dovere che connota da un canto la forma costituzionale di Stato sociale, e dall'altro riconosce un diritto sociale all'abitazione collocabile fra i diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 della Costituzione. “

Il diritto alla casa, sebbene non sia espressamente enunciato dalla Costituzione, a differenza di altri paesi (ad esempio, in Spagna , all’articolo 47 della Costituzione), è ormai a tutti gli effetti nel catalogo dei diritti “sociali” di rango costituzionale al pari del diritto all’istruzione, e alla salute, e d’altronde già nel ’48 aveva trovato accoglienza nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (Art. 25 : “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari”;) e nel ’66 nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Art.11 : “Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la loro famiglia, che includa un’alimentazione, un vestiario, ed un alloggio adeguati”) .

Come può dunque agire il legislatore , e come in pratica ha agito, al fine di attuare il diritto alla casa ?

Due sono le strade.

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La prima , che meriterebbe una tesi di laurea a parte, è l’edilizia convenzionata; si consideri che (Dati Eurostat) l’Italia nel era il terzultimo paese nei “quindici” per percentuale di persone che dichiaravano di abitare in una casa attraverso l’”affitto sociale”, attraverso cioè locazioni a canone convenzionato stipulate con enti pubblici : 3,7%, appena più del Portogallo (3,4%), ma enormemente meno di Francia (21%), Regno Unito (18%) e Germania (10%) : basta questo a dire quanto poco si sia creduto in questa strada nel nostro paese, ed è sicuramente questa la causa principale del disagio abitativo vissuto da tante famiglie in questo paese; se è vero, infatti, come si sta per vedere, che il legislatore ha in mano strumenti , nel bene e nel male, in grado di realizzare il diritto alla casa, questo vale soprattutto per la parte di

“domanda solvente”, di conduttori/persone, cioè, in grado di”stare sul mercato”, al di là del grado di vincoli che a questo mercato vengano imposti.

Esiste però una parte della domanda che è prevedibile che non sarà solvente, ed è lì che deve intervenire lo Stato , non essendo né ragionevole né virtuoso pensare che il peso della realizzazione del diritto alla casa ricada interamente sulle spalle di altri cittadini, proprietari di immobili, portatori anch’essi di un diritto di rango costituzionale che rischia di essere totalmente travolto , com’è stato in molti casi per molti anni, dalle interminabili procedure per rientrare in possesso dell’immobile dato in locazione a locatori insolventi, e ricominciare a poterne godere e disporne (è nota la lunghezza dei procedimenti di sfratto, e dei mille blocchi e delle mille proroghe con cui spesso il legislatore interviene in questo campo, animato da preoccupazioni di ordine sociale).

La seconda è l’intervento normativo sul mercato delle locazioni, e di questo si occuperà questa tesi di laurea : di come cioè il legislatore abbia agito sul contratto che , dai tempi del diritto romano, regola i rapporti tra chi metta a disposizione un bene e chi lo prenda in godimento, e cioè la locazione, al fine di creare una disciplina speciale, che andasse a regolare quel particolare tipo di locazione che

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risponde al nome di locazione di immobili urbani, all’interno del quale si addensano gli interessi contrapposti del locatore- proprietario del bene (diritto di proprietà), e il citato interesse del conduttore ad avere un’abitazione dignitosa per sé, ed eventualmente per la sua famiglia, nella quale sviluppare la sua personalità.

Due sono i rischi , antitetici tra loro,che il legislatore corre nel porre una disciplina specifica per la locazione di immobili urbani, e sono entrambi facilmente intuibili.

Ponendo una legislazione troppo “liberista”, che cioè lasci le parti libere di determinare gran parte del Regolamento contrattuale, è possibile che il conduttore, contraente debole del rapporto,sia sopraffatto dal locatore , e non si realizzi affatto il diritto alla casa.

Ma , al contrario, ponendo una legislazione troppo rigida (ad esempio ponendo nor- me imperative riguardo le clausole che regolano l’importo del canone, o la durata del contratto) , c’è il pericolo che i proprietari di immobili ritirino questi ultimi dal mer- cato delle locazioni,non considerato più appetibile, e che i risparmi vengano investiti in altri settori finanziari, in competizione con quello immobiliare , determinando una contrazione dell’offerta di immobili in locazione, e di conseguenza lasciando insoddisfatta una parte della domanda, (cosa che come si vedrà più avanti, è in effetti successa in seguito all’introduzione del c.d. “equo canone”) ,con effetti in parte contrari a quelli auspicati (non ci si trova di fronte a nient’altro che ai più elementari principi di economia sostenuti dalla c.d. scuola degli economisti “classici”).

Qui ci si occuperà dei principali aspetti del contratto di locazione sui quali ha agito il legislatore al fine di trovare il giusto equilibrio tra i due interessi costituzionalmente rilevanti contrapposti : il canone, la durata del contratto, gli obblighi a carico del locatore, la forma del contratto (aspetto questo, diversamente da quel che si potrebbe pensare, tutt’altro che …. formalistico, date, come si vedranno, le importanti ricadute sul regolamento “sostanziale” tra le parti), con

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l’analisi dell’irrinunciabile lavoro fatto intorno a testi normativi non sempre redatti a regola d’arte dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.

DALL’ EQUO CANONE ALLA “LEGGE-ZAGATTI”

La necessità di una disciplina specifica per la locazione di immobili urbani si pone per la prima volta nella storia del diritto, nel momento in cui, in seguito alla Rivoluzione industriale, si ha il fenomeno dello spostamento di massa dalle campagne alla città, con la conseguente necessità per un gran numero di persone di trovare un alloggio in locazione : diventano centrali allora la definizione di aspetti quali la durata del contratto, l’importo del canone, le clausole di aggiornamento, di un contratto, quello di locazione, che dopo secoli di tranquilla esistenza giuridica, diventa improvvisamente lo strumento giuridico attraverso cui milioni di persone misurano la dignità della propria vita.

In Italia, l’anno della “svolta”, in cui per la prima volta si detta una disciplina organica ed esaustiva del contratto di immobili urbani, che si differenzia dalla legislazione codicistica in modo sensibile in molti punti, è il 1978, anno in cui vede la luce la legge 392 – “Della disciplina degli immobili urbani”, che coordinata con la legge 457 dello stesso anno (“Piano decennale per l’edilizia pubblica”), avrebbe dovuto , nei disegni del legislatore , attuare pienamente il diritto alla casa.

La legge 392 è stata subito battezzata “Legge Equo-canone”, dal punto saliente della disciplina posta : l’imposizione di un canone legislativo calcolato sulla base del valore dell’immobile locato ( in particolare, il 3,85% del suo “valore locativo”,del quale non è il caso in questa sede di analizzare le complesse procedure di calcolo);

tutto l’impianto della l. 392 è però improntato alla compressione dell’autonomia delle parti : vengono disciplinate con norme imperative anche la durata del contratto ,(quattro anni, con proroga semiautomatica di altri quattro), l’aggiornamento del

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canone, la sublocazione , e, con norma “di chiusura”, l’art.79, si esplicita la nullità dei patti contrari alle disposizioni della legge.

La l. 392 tra l’altro si occupa anche di locazioni di immobili urbani ad uso non abitativo , per le quali, non essendo incorse successivamente rilevanti novità legislative, è ancora il testo normativo di riferimento.

Di una legge come la legge-equo canone, che riordinasse organicamente la materia, e

“aggiornasse” le disposizioni codicistiche, ferme alla realtà del 1942 , si sentiva senz’altro l’esigenza; il contenuto concreto della l.392, legge sostenuta fortemente all’epoca dai Partiti Comunista e Socialista, ma approvata e votata da tutti gli altri partiti, escluso quello Liberale, sollevò però subito svariate perplessità, dal momento che si temeva che l’imposizione di così tanti vincoli ai locatori avrebbe danneggiato il mercato delle locazioni, provocando il ritiro degli immobili da un mercato non più redditizio.

Timori fondati : negli anni ottanta il mercato delle locazioni, già in crisi a causa dell’inflazione degli anni ’70 , subì anno dopo anno un’ulteriore contrazione ; in fondo non si stavano realizzando altro che le previsioni della maggior parte degli economisti “classici” : all’introduzione di un tetto massimo ai prezzi, si ha una contrazione dell’offerta, e solo una parte della domanda, quella che riesce ad ottenere il bene, trae vantaggio dal “tetto” ; l’altra parte resta semplicemente insoddisfatta, per carenza d’offerta.

Si potrebbe dire che il problema di un mercato delle locazioni asfittico in Italia è storico, e se si osserva il favor del legislatore (indipendentemente dal suo colore politico) per incentivi ai mutui per l’acquisto di una casa, o al contrario la sua scarsa volontà di puntare sull’edilizia convenzionata ,sembra quasi che ci sia una predisposizione di fondo , culturale, ad avere cittadini proprietari di casa, piuttosto che in affitto, con ciò che ne consegue in positivo in fatto di sicurezze a lungo

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termine,e in negativo, in termini di difficoltà per giovani senza le risorse per acquistare una casa ad abbandonare la casa familiare: ma questi sono temi sociologici che ci porterebbero lontano.

Tornando alle conseguenze della l.392,negli anni successivi al ’78 , appena fu chiaro che la legge aveva un effetto troppo depressivo sul mercato, iniziò il dibattito su come cambiarla, con le organizzazioni rappresentative dei proprietari impegnate in prima linea a denunciare la natura eccessivamente dirigistica dell’equo-canone1,e a chiedere la liberalizzazione, le associazioni degli inquilini, al contrario, schierate a difesa della legge, auspicando al massimo qualche modifica marginale, e la classe politica in mezzo, foriera di variegate idee di riforma, (tra cui quella di delegare a

“Commissioni arbitrali” di composizione mista la determinazione concreta del canone corrispondente a ogni immobile2),nessuna delle quali però si tradusse mai in legge.

Per arrivare a una svolta ci fu bisogno di una crisi economica : nel 1992 il Governo Amato, nella inderogabile necessità di assicurare nuove entrare fiscali allo Stato, in vista di un risanamento del bilancio imposto dall’Europa, (la ratio è chiara se già si ha presente che la norma è inserita nel d.l. “Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica) apre le porte ai c.d. “Patti in deroga”, ossia dispone la possibilità di stipulare contratti con canoni maggiori di quelli stabiliti dalla l. 392,(in “deroga”), seppur con l'”assistenza” delle organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale, con l'obbiettivo di fare

“emergere” i rapporti contrattuali con canoni superiori ai consentiti, e i relativi

1 “Nel momento in cui, in sede internazionale, assistiamo alla sconvolgente evoluzione dell’economia dei Paesi socialisti che rifiutano ormai la logica delle “tariffe” che ha solo distrutto ricchezze e creato miseria, cercando invece di approdare alla logica del mercato che in tutto il mondo ha dato all’uomo

benessere e felicità : ecco, in quetso momento in Italia […] una legge come quella che ora discutiamo è cosa veramente inaccettabile”. Attilio Viziano, Pres. Confedilizia, in “Le locazioni a dieci anni dall’equo canone : prospettive di riforma”, 1988

2 Una proposta del senatore democristiano Bausi, in “Le locazioni a dieci anni dall’equo canone : prospettive di riforma”, 1988

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imponibili, preziosi per le casse dello Stato.

La disposizione, criticata da più parti, anche a tacere delle censure avanzabili in tema di lesione dell'autonomia privata, (possibile che una parte non iscritta a nessuna delle due associazioni dovesse farsi”imporre” la misura del canone da esse ? A questo punto era forse meno mortificante per l’autonomia privata che fosse la legge a imporre il canone !) suonava alquanto enigmatica, non potendosi

chiaramente stabilire cosa s'intendesse con “assistenza”, ed è stata giustamente dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale con la S. 309/1996. 3

Ormai però era maturata la convinzione di ridefinire radicalmente la materia e eliminare l'equo canone, e questo avvenne nel 1998, con la l.431.

La l.431 , detta anche “Legge-Zagatti” dal nome del senatore ferrarese che ne fu primo firmatario, è percorsa da una ratio antitetica rispetto a quella della l.392.

3 “L'assistenza può costituire solo un vincolo procedurale, diretto a garantire che il contraente debole sia informato e sostenuto, e realizzare così un equilibrio tra le parti nella stipulazione del contratto, senza che tuttavia sia necessario l'assenso di chi vi assiste.

Ma in tal caso non trovano giustificazione logica né l'assolutezza e la generalità dell'obbligo di ricorrere all'assistenza, indipendentemente dalla capacità dei contraenti di autonoma valutazione, né l'attribuzione esclusivamente ad alcuni soggetti della

legittimazione a prestare validamente un'assistenza che assume connotazioni prevalentemente tecniche.

Si può ritenere, invece, che l'assistenza sia tale da incidere sui contenuti del negozio tra le parti e che l'assenso delle contrapposte associazioni di categoria concorra a conferire validità agli accordi in deroga a disposizioni imperative.

Ma, in questo caso, manca qualsiasi indicazione sui criteri o sui parametri di valutazione, cui le associazioni debbono ispirarsi per assentire assistendo. L'indicazione di tali criteri o

parametri si dimostra ancor più necessaria se si ritiene che attraverso le valutazioni delle associazioni si eserciti un controllo sull'autonomia negoziale delle parti non

nell'esclusivo interesse di queste, ma per perseguire un interesse collettivo, che in tal caso dovrebbe essere chiaramente individuato. Sarebbe, difatti, del tutto irragionevole l'esito della disciplina legislativa che rimettesse la possibilità di derogare a norme imperative alla determinazione, meramente potestativa e del tutto insindacabile, di associazioni private.

Non è, dunque, in discussione la legittimità del collegamento della validità di una deroga a norme imperative con l'assolvimento di un onere di assistenza, ma sono poste in questione le modalità con le quali questo onere si atteggia. Il meccanismo indicato dal legislatore si presenta, difatti, incongruo rispetto alle finalità perseguite (tanto che si tratti di sostenere le parti nel convenire patti in deroga, quanto che si tratti di controllare il contenuto di questi) ed incoerente nella sua configurazione interna, in contrasto, quindi, con il principio di

ragionevolezza stabilito dall'art. 3 della Costituzione.”

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Essa persegue l’obbiettivo di “liberalizzare” il mercato degli “affitti”, lasciando le parti libere di determinare l'importo del canone, e bilanciando questa scelta per così dire “liberista” con la creazione di tre nuovi tipi contrattuali caratterizzati dall'obbligo di rispetto di un canone definito da un complesso intreccio di fonti normative, come si vedrà nel prossimo capitolo,(un impianto evidentemente analogo a quello della l.392) in “cambio” di una durata minore rispetto a quella quadriennale stabilita per le locazioni di immobili urbani ad uso abitativo in generale :

• i c.d. “contratti a canone agevolato”, o concordato, di cui all'art.2 ,comma 3 della l. 431, di durata tre “più due” anni;

• i contratti per esigenze abitative transitorie (durata da prevedersi nel Decreto, che l'ha stabilita in : da uno a diciotto mesi);

• i contratti per le esigenze abitative di studenti universitari ( durata da prevedersi nel Decreto, che l'ha stabilita in : da sei a trentasei mesi);

Nelle intenzioni del legislatore tali contratti avrebbero dovuto incontrare il favore dei locatori, oltre che per la durata minore, per i benefici fiscali, e cioè :

una detrazione del trenta per cento dall'imponibile IRPEF derivante dalle locazioni, in determinati comuni individuati per relationem dalla legge 61/89 (i maggiori centri metropolitani italiani, i comuni a loro adiacenti, i comuni capoluogo di provincia , e quelli definiti “ad alta tensione abitativa” da una delibera dell’85 del CIPE);

la riduzione del settanta per cento dell’importo dell’imposta di Registro;la possibilità per i Comuni di ulteriori detrazioni in sede di ICI.

Nella realtà però, tali contratti sono applicati molto raramente ; gli studiosi del settore hanno avanzato varie ipotesi sulle ragioni del fallimento di questa parte della 431 , che si vedranno in sede di conclusioni; può anticiparsi fin d’ora comunque una constatazione “tecnica”, e cioè che il “doppio canale” contrasta con l’esigenza di standardizzazione degli strumenti negoziali dei soggetti che operano sul mercato immobiliare a livello nazionale, posti di fronte a una situazione “a macchia di

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leopardo”, con diversità di canone massimo applicabile e di altre condizioni contrattuali, da comune a comune.

Gli effetti della l.431 non sono stati quelli sperati nemmeno sotto il profilo della dilatazione del mercato : nel 2002 in Italia era locato da privati a privati il 15,9 % degli alloggi, ancor meno del 18% del 1998, anno di entrata in vigore della legge , e ampiamente sotto la media europea , considerando che in Germania sono il 49%, in Francia il 22%, in Gran Bretagna il 10%, : un quadro sconfortante se consideriamo che anche nei paesi in cui apparentemente il mercato delle locazioni è addirittura più asfittico del nostro, c’è un circuito di affitti “sociali” e di edilizia residenziale pubblica a noi sconosciuto ! (il 21% dei cittadini britannici, ad esempio, fruisce per la propria abitazione di un “affitto sociale”).4

Quali le cause dunque del fallimento di tale “doppio canale” (contratti liberi e contratti “agevolati” ) dei contratti di locazione ?

Tenterò di formulare alcune ipotesi dopo che saranno state passate in rassegna tutte le norme che attualmente disciplinano il contratto di locazione di immobili urbani in Italia.

4 A.R. Minelli, La politica per la casa, 2004, p.60

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CAPITOLO I LE FONTI

Il sistema delle fonti che regolano il contratto di locazione di immobili urbani è al- quanto complesso.

Si applicano in primo luogo le norme codicistiche dettate per i contratti di locazione in generale (artt. 1571-1606 ) e per i contratti di locazione di fondi urbani (artt. 1607- 1614).

Con riguardo alla legislazione speciale, i testi di riferimento sono la legge 27 Luglio 1978,n. 392 (c.d. “legge-equo canone; di seguito : “l.392/78”, o “l.392”) e la legge 9 Dicembre 1998, n. 431 (di seguito “l.431/98”, o “l. 431”); è necessario però fare una divisione preliminare tra contratti che abbiano ad oggetto il godimento di immobili adibiti ad abitazione (ai quali la presente Tesi di laurea dedicherà le attenzioni maggiori) e contratti che abbiano ad oggetto il godimento di immobili destinati a un uso diverso dall'abitativo: all'interno della l.392, i secondi trovarono e in larga parte trovano tuttora la loro disciplina del Capo II(artt. 27-42),mentre gli altri erano disciplinati dal Capo I, (artt. 1-26),prima che intervenissero le modifiche legislative degli anni '90.

La l.431 infatti si riferisce esplicitamente agli “immobili adibiti ad uso abitativo” e

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soltanto ad essi,e d abroga gran parte della disciplina della 392 posta per le locazioni ad uso abitativo (art. 14, comma 4°. :”Sono altresí abrogati gli articoli 1, 3, 12- 26, 54, 60-66, 75-79, limitatamente alle locazioni abitative, e 83 della l. 392/78, e successive modificazioni”).

La legge 431 detta una disciplina esaustiva per i contratti “a canone libero” , mentre per i contratti a canone “eterodeterminato” detta rinvii ad altre due fonti : gli Accordi locali, di cui si tratterà più avanti, e un Decreto ministeriale del Ministro dei Lavori pubblici, da adottarsi ogni 3 anni di concerto con il Ministro delle finanze, il quale è stato effettivamente adottato : D.M. 5 Marzo 1999.

La legge 8 Gennaio 2002 , n.2 è poi intervenuta sulla l.431, aggiungendo un art. 4- bis che modifica leggermente il sistema dei rinvii per quanto riguarda il contenuto dei contratti, spostando il rinvio normativo per la disciplina dei contratti-tipo dagli accordi locali al Decreto ministeriale (per le già viste esigenze di uniformazione) : il D.M.30 Dicembre 2002 ha poi concretamente provveduto, essendo allegati ad esso i sei contratti “eterodeterminati”-tipo (per ognuno dei tre ne è stata anche redatto un esemplare per i casi in cui il locatore sia una “grande proprietà”, di poco differente).

Per completare il quadro , occorre dire inoltre che con il meccanismo che ora si illu- strerà,la legge prevede che in caso di mancanza degli accordi locali nelle materie che dovrebbero regolare secondo il sistema dei rinvii, deve intervenire un ulteriore Decreto del Ministro dei Lavori pubblici, che in effetti è stato emanato nel 2004 (D.M. 14 Luglio 2004).

In dettaglio, la l.431 costruisce il seguente sistema di rinvii per la regolazione dei tre tipi di contratto a canone determinato :

Per i contratti di cui all'art.3 ,comma 2 ( i “normali” contratti a canone concordato), valore del canone, durata (nel rispetto della legge), altre condizioni contrattuali,e , dal 2002, i contratti-tipo, sono stabiliti, secondo l'articolo 4 della l.391, da un

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Decreto Ministeriale da emanarsi ogni tre anni ,e che sappiamo essere stato regolarmente emanato nel 1999 e nel 2002.

L'iter disegnato dalla legge per l'approvazione del seguente Decreto è piuttosto macchinoso : esso è emanato sulla base di una Convenzione nazionale , che secondo la legge dev’essere frutto dell'accordo tra le organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale, convocate a tal fine dallo stesso Ministero entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge, e poi ogni tre anni ;l’emanazione del Decreto deve avvenire entro trenta giorni dalla Convenzione (se l'accordo per la Convenzione non si raggiunge, il Decreto dev'essere comunque emanato entro novanta giorni dalla convocazione delle parti dal Ministro).

Ma non finisce qui : il contenuto del Decreto è a sua volta la “base per la realizzazione di Accordi Locali di cui all'art.2 comma 3° , e cioè gli accordi

“definiti in sede locale tra le organizzazioni della proprietà edilizia e organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative”, per il cui raggiungimento i Comuni devono convocare le parti entro sessanta giorni (anche qui, come per la Convenzione, il Decreto ministeriale ha funzione “suppletiva” : se infatti l'accordo non si raggiunge, o le parti non sono convocate, le “condizioni alle quali possono essere stipulati i contratti” secondo la legge devono essere fissate con un ulteriore Decreto, da emanarsi entro 4 mesi dal primo ;a seguito del D.M. Del 2002 , data l'inerzia di molti Comuni, si è reso necessario proprio tale intervento, con il D.M. del 2004 sopra citato).

Per i contratti di cui all'art.5, comma 1 della l.431 (“contratti di locazione di natura transitoria”), lo stesso art.5 ,comma 1 dice che condizioni e modalità sono stabilite dal Decreto Ministeriale di cui sopra : per questi contratti ,quindi ,il disegno legislativo sarebbe nel senso di lasciarne la disciplina al solo Decreto, che però concretamente ha “devoluto” il compito di individuare le esigenze transitorie sulla

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base delle quali in concreto si possano stipulare tali contratti agli Accordi Territoriali

; (il D.M. Del '99, in ciò replicato da quello del '02 , dispone che “tali contratti sono stipulati [...] per fattispecie da individuarsi nella contrattazione territoriale tra le organizzazioni sindacali della proprietà e degli inquilini”).

I contratti di cui all'art. 5, comma 2° (quelli “per soddisfare le esigenze abitative di studenti universitari”)hanno una disciplina la cui regolazione a livello di fonti è invece molto simile a quella dei contratti di cui all'art. 2, comma 3 : secondo il dettato normativo i contratti vengono stipulati sulla base di quanto disposto dagli Accordi locali, a loro volta emanati sulla base del Decreto Ministeriale , (intervenendo inoltre un ulteriore Decreto in loro assenza), a sua volta frutto della Convenzione nazionale.

L'unica peculiarità, rispetto ai normali contratti “agevolati”, risiede nell'iter di formazione degli Accordi locali, che prevede la partecipazione , oltre che delle organizzazioni di proprietari e inquilini, anche di Aziende per il diritto allo Studio, Associazioni degli studenti, e “cooperative ed enti non lucrativi operanti nel settore”.

In conclusione , il sistema delle fonti che disciplina le locazioni di immobili urbani può così schematizzarsi :

l Codice civile (ove non incompatibile con la legislazione speciale; per i rapporti con essa, vedi prossimo paragrafo);

l Legge 392/78 , solo per le locazioni “non abitative”.

l Legge 431/98, che rinvia a : - D.M. 5 Marzo 1999;

- D.M. 30 Dicembre 2002;

-Accordi locali ( in funzione suppletiva; ove non conclusi, vige il D.M.

14 Luglio 2004).

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1. INCOMPATIBILITA' TRA CODICE E LEGISLAZIONE SPECIALE.

Essendo numerose le antinomie rinvenibili tra la disciplina codicistica e quella dettata dalla legislazione speciale, si pone per l'interprete il problema di come risolverle.

Interrogativo, in verità , di facile risoluzione , sulla base dei più elementari canoni ermeneutici , rinvenibili peraltro nello stesso art. 15. prel. c.c. : criterio temporale , e carattere di specialità delle leggi del '78 e seguenti suggeriscono che in caso di radicale incompatibilità debba trovare applicazione la legislazione extracodicistica.

Quid iuris, però , nei casi in cui ci sia una sovrapposizione tra le due fonti normative, che non dia luogo a un contrasto palese e irriducibile ? In questi casi sarebbe decisivo stabilire se il legislatore abbia voluto porre in essere con la legge del '78 un

“regolamento onnicomprensivo” della materia ,nel qual caso troverebbe applicazione l'art. 15 prel. c.c . nella parte in cui enuncia come causa di abrogazione tacita di una norma la volontà legislativa di regolare con la norma nuova l'intera materia regolata dalla legge anteriore ; sul punto la giurisprudenza è oscillante, potendosi d'altronde ricavare elementi a favore del ravvisamento di tale volontà legislativa ( il carattere fortemente innovativo della legge che per la prima volta riordina organicamente la materia) e contrari ( la mancata disciplina di aspetti tutt'altro marginali del contratto, come l'onere di manutenzione dell'immobile , disciplinato solo in piccola parte, e il caso in cui la cosa locata presenti vizi, tuttora disciplinati dal Codice).

In concreto, si presentano essenzialmente tre casi controversi in cui è dubbia l'ap- plicazione della norma, e su cui la giurisprudenza si è pronunciata, con le annunciate oscillazioni :

A)La sublocazione. L'art. 1594 c.c . riconosce la facoltà di sublocare in capo al

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conduttore, salvo patto contrario stabilito dalle parti; la l.392 invece detta due discipline differenziate : per gli immobili adibiti ad uso abitativo all'art.2 stabilisce il divieto di sublocazione totale dell'immobile, salvo consenso del locatore, e la facoltà di sublocare l'immobile parzialmente solo previa comunicazione con lettera raccomandata al locatore.

Non v'è dubbio che qui le norme della 392 si possano considerare abrogative del co- dice; più problematico è invece risolvere la sovrapposizione tra lo stesso art. 1594 c.c. e la disciplina dettata dalla 392 per gli immobili destinati ad uso non abitativo :

l'art. 36 della predetta legge infatti subordina tale facoltà , anche senza il consenso del locatore, alla cessione o locazione dell'azienda , con comunicazione al locatore tramite lettera raccomandata (si può immaginare la fattispecie come quella di un commerciante che abbia concluso una locazione per poter adibire un immobile a locale commerciale della sua attività ; vedendo che però gli affari vanno male, egli si ritira dall'attività, vendendola contestualmente alla sublocazione in favore dell'acquirente dei locali).

In questa situazione si può giungere a due conclusioni : o si considera la regolamen- tazione della 392 onnicomprensiva,e quindi la sublocazione senza consenso del loca- tore sarebbe sempre vietata , anche nei casi in cui non ci sia nessuna azienda da ce- dere o locare , o comunque la sublocazione avvenga senza cessione d'azienda (ad esempio : un medico che concede parte del suo ambulatorio in sublocazione a un fisioterapista per abbattere le spese relative alla locazione) , o si ritiene che la disciplina della 392 prevalga solo nei casi in cui siano presenti i presupposti da essa enunciati , e cioè che il conduttore abbia un'impresa da cedere o locare, essendo solo questa ipotesi particolare regolata dalla l.392.

In definitiva : la l.392 “copre” nello stabilire il consenso necessario del locatore, solo le ipotesi in cui ci sia contestualmente alla sublocazione cessione o locazione d'impresa, o tutte le ipotesi di sublocazione ?

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La giurisprudenza sul punto è stata a lungo oscillante : nel 1994 ad esempio la stessa Cassazione si è pronunciata due volte sul tema arrivando a conclusioni opposte ! (Cass. 21 Marzo 1994, n.2655 ha escluso la facoltà di sublocare parzialmente in capo a una società commerciale senza il consenso della società locatrice, mentre Cass. 28 Novembre 1994, n.10157 ha riconosciuto tale facoltà a prescindere dal consenso del locatore, quando alla sublocazione non si accompagni le cessione o l'affitto dell' azienda).

Nel 2000 la stessa Suprema Corte sembra essere giunta alla negazione della tesi secondo cui la disciplina posta dalla l. 392 sia esauriente e abroghi in toto quella civilistica, affermando con la Sentenza 1966 che nel caso l'azienda manchi la sublocazione sia libera.

B)A diversa conclusione giunge però la Cassazione , nel contrasto tra l'art. 1614 c.c.

e l'art. 6 della l.392, in materia di successione nel contratto di locazione.

L’art. 1614 c.c. (“Morte dell’inquilino”), nello stabilire a favore degli eredi l’esercitabilità della facoltà di recesso con un preavviso trimestrale (inferiore al normale preavviso semestrale), stabilisce indirettamente che vi sia una successione da parte di essi, iure hereditaris ,nel contratto di locazione .

La l.392 invece , all’art.6, introduce ai fini della successione del contratto il requisito della convivenza : “succedono nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini con lui abitualmente conviventi”,e anche , in seguito a un intervento additivo della Corte Costituzionale, (S. 404/88), il convivente more uxorio; tale requisito aggiuntivo è ora da considerarsi essenziale, o anche l’erede non convivente può invocare il codice per affermare la propria successione nel contratto?

La Suprema Corte ha avuto modo di pronunciarsi sul quesito nel 2001.

Nel caso di specie, in seguito alla morte di un tale, i figli erano entrati in possesso

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dell’immobile a lui locato da un ente assistenziale, non versando i canoni per vari anni; in seguito l’ente aveva agito in giudizio per ottenere i canoni non versati e ottenere il rilascio dell’immobile sulla base della risoluzione del contratto per inadempimento; la pretesa aveva successo in primo grado, e successivamente la Corte d’appello di Roma confermava quanto statuito dal Tribunale,disponendo che gli eredi fossero “obbligati al pagamento del corrispettivo,[…] sia nel caso di successione iure hereditario nel rapporto,[…]ma anche nel caso di occupazione senza titolo”; gli eredi ricorrevano allora alla Cassazione, denunciando, come primo mezzo di doglianza, che la Corte d’appello non aveva espressamente dichiarato applicabile né l’art. 1614 né l’art.6 della legge equo-canone, e che dunque, avesse addossato a loro obblighi (il rilascio dell’immobile e il pagamento dei canoni) che essi non erano tenuti ad assolvere, non essendo essi diventati parti del rapporto secondo la Corte in forza di nessuna delle due norme in via teorica applicabili,e dovendosi quindi considerare estinto il rapporto stesso.

La Cassazione nell’esaminare il ricorso , nella Sentenza n. 6965 del 2001, risolve una doppia questione : in primo luogo, dichiara che gli obblighi sussisterebbero in capo agli eredi anche se la loro fosse una detenzione senza titolo, conferendo questa

“detenzione precaria” comunque la “materiale disponibilità” dell’immobile ad essi, su cui grava quindi l’obbligo di restituzione dell’immobile (e, se non assolto questo obbligo, l’obbligo al pagamento dei canoni, derivanti dal rapporto), a titolo extracontrattuale.

In secondo luogo, afferma (e questo interessa ai fini della nostra analisi delle fonti) che “la successione nel contratto di locazione di immobili urbani destinati all’abitazione è disciplinata esclusivamente dall’art. 6 della l. 392/78” , e che quindi “in mancanza di persone aventi diritto a succedere ai sensi della predetta norma, il rapporto si estingue, non trovando applicazione in via sussidiaria l’art.

1614 c.c., dato che la successione nel contratto di locazione abitativa ha una disciplina nuova e diversa rispetto a quella del codice, attraverso l’individuazione nei

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conviventi dell’unica categoria di successibili”.

Affermazioni chiare, che non lasciano spazio a dubbi circa l’inclinazione della Corte a valorizzare la novità della l. 392 e la sua forza abrogatrice nei confronti di norme del codice che pure non sarebbero in diretto contrasto con essa (l’individuazione del requisito della convivenza non esclude a priori che gli eredi non conviventi siano esclusi dalla successione nel contratto, non essendo questa un’espressa statuizione della norma) , ma che sicuramente discordano con la precedente impostazione data alla soluzione dei rapporti tra codice e legge 392 in materia di sublocazione.

C) L'incertezza circa l'onnicomprensività o meno della l.392 tocca anche la questione dei rapporti tra la l.392 e l'art. 2-ter della l. 12 Agosto 1974, n.351, la quale stabilisce la nullità delle clausole contrattuali che prevedano il pagamento anticipato del canone di locazione per periodi superiori a tre mesi (norma dettata, nel 1974, per frenare l'ascesa dei prezzi causata anche dalla prassi di chiedere numerosi canoni anticipati a parte dei locatori, per cautelarsi di fronte alla perdita d'acquisto della moneta). La legge equo-canone non dice nulla al riguardo : deve considerarsi dunque ancora in vigore la legge del ’74, che sicuramente ha natura eccezionale rispetto ai principi generali dell’ordinamento, o essa deve considerarsi abrogata, perché non riprodotta in una legge che aspira a regolare organicamente e esaurientemente la materia ?

Anche qui l'orientamento della Suprema Corte è stato ondivago : in un primo momento (Cass. 25 Maggio 1992, n. 6247) ha ritenuto che la clausola fosse stata tacitamente abrogata, aderendo quindi alla tesi della onnicomprensività della l.392, poi però (Cass. 10 Luglio 1996, n. 6274) ha affermato esattamente il contrario, sostenendo che la norma del 1974 fosse ancora in vigore, non essendo incompatibile con la disciplina posta dalla l.392.

Come si vede, non vi è univocità nelle pronunce della Suprema Corte sull'argomento,

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anche se la dottrina maggioritaria appoggia la tesi che nega il carattere della onnicomprensività alla Legge equo-canone e permette la perdurante vigenza di norme codicistiche e non in materia di locazione di immobili urbani : a tacer d'altro infatti la stessa legge contiene un art. 84 che dispone “l'abrogazione di tutte le disposizioni incompatibili con la presente legge” : il che, a contrario, equivale a dire che in ciascuna submateria del contratto le disposizioni previgenti restano in vigore purchè non siano palesemente incompatibili con la l.392.

2. L'AMBITO DI APPLICAZIONE DELLE NORME

Finora si è parlato delle fonti regolative del contratto di locazione di immobili urbani: la legislazione speciale non intende però disciplinare tutte le locazioni di immobili urbani, lasciandone alcune alla normale disciplina codicistica; se infatti la ratio della legislazione speciale è tutelare l'interesse del conduttore, e in particolare (almeno per quanto riguarda le locazioni abitative) ,quel diritto all'abitazione ricavabile dalla Costituzione, attraverso la disposizione di tutta una serie di vincoli in favore di esso,è naturale che laddove questo interesse non emerga l'esigenza dei vincoli viene meno è può “riespandersi” la disciplina codicistica.

2.1 .Le locazioni abitative

Per quanto riguarda le locazioni abitative, nella l.431, diversamente dalla l.392, il legislatore ha scelto un criterio negativo per definire il suo ambito di applicazione : la legge stabilisce cioè che sono soggette , con clausola generale, alla sua applicazione tutte le locazioni ad uso abitativo all'art.1, comma 1, per poi elencare nei commi 2° e 3° le ipotesi di espressa esclusione. Apparentemente il cambiamento di tecnica legislativa dovrebbe aver portato a un allargamento del raggio d'azione della disciplina speciale, ma in realtà l'effetto concreto è stato di segno opposto, per un duplice fattore : la dottrina e giurisprudenza restrittiva che nella vigenza del

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precedente regime avevano portato a una stretta interpretazione delle norme che sancivano le ipotesi di esclusione, e la rilevanza non trascurabile delle ipotesi di esclusione espressa previste dalla l.431. In particolare, sono esclusi dall'applicazione degli articoli 2,3,4,7,8 e 13 della l.431 , e quindi dalla totalità della legge, fatta eccezione per le disposizioni specifiche riguardanti i contratti eterodeterminati, e per l’art.1,c.4, che prescrive la forma scritta, di cui si parlerà più avanti,(per la verità l'articolo 8 non è menzionato tra gli articoli inapplicabili per quanto riguarda l'ultima ipotesi, ma tutti i commentatori concordano si tratti di un refuso) i seguenti contratti di locazione :

• “relativi a immobili vincolati ai sensi della l.1089/1939, o inclusi nelle categorie catastali A/1, A/8, A/9” (art.1,c.2,a))(i primi sono i Beni culturali, gli altri ville,castelli, abitazioni signorili, palazzi di pregio storico o artistico);

• “relativi agli alloggi di edilizia residenziale pubblica”; (art.1,c.2 b) )

• “relativi agli alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche”;

(art.1,c.2,c))

• “stipulati dagli enti locali in qualità di conduttori per soddisfare esigenze abitative di carattere transitorio”. (art.1,c. 3)(si può pensare, concretamente, a un Comune che stipula locazioni per alloggiarvi gli sfollati di un terremoto, o di un'alluvione).

La legge peraltro fa di più di quanto sarebbe necessario : al momento di escludere infatti dall'applicazione delle norme da essa poste il primo e l'ultimo caso dell'elenco, stabilisce in modo rapido e con tecnica legislativa criticabile quale disciplina debba applicarsi concretamente in quei casi; sarebbe forse stato meglio lasciare all'interprete il compito di ricostruire sistematicamente il corpus normativo applicabile.

In ogni caso, per quanto riguarda i Beni culturali e i “castelli”, la legge dispone che

“sono sottoposti esclusivamente alla disciplina di cui agli articoli 1571 e ss. c.c.,

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qualora non siano stipulati secondo le modalità dell'art.3, comma 2 della presente legge” .(l'esclusione è dunque parziale : opera se si stipula un contratto a canone libero, non se si rientra nelle “regole del gioco” dei contratti eterodeterminati).

Naturalmente l'interpretazione da darsi della norma è restrittiva, volendo questa solo affermare l'inapplicabilità della l.431; sarebbe assurdo, attraverso un'interpretazione letterale, concludere che nessun'altra legge , oltre al Codice , sia applicabile ! (Si pensi, ad esempio, alla legge fallimentare).

Per il caso di cui all’art.1, comma 3 si dispone invece che “si applicano le disposizioni di cui agli articoli 1571 e ss. del c.c.” : deduzione ovvia, nemmeno accompagnata dall' “esclusivamente” di cui sopra , il che permette di concludere incontestabilmente l'applicabilità, per esempio, della parte della l.392 che detta una disciplina comune per locazioni abitative e non. Al di là delle superflue affermazioni del legislatore, si deve notare comunque che questa ipotesi prima del 1998 era riconducibile senza ombra di dubbio a una delle ipotesi di applicazione della 392 previste “positivamente” alle locazioni non abitative (vedi più avanti), mentre adesso è stata condotta nell'ambito di quella abitative, ma con l’esclusione dall’applicabilità della l. 431.

2.2 Le locazioni non abitative

Per quanto riguarda le locazioni non abitative, chiaramente la ratio non è la tutela del diritto all'abitazione del conduttore, ma vi sono una serie di specifiche esigenze di tutela che vengono prese in considerazione dal legislatore, e che emergono nei casi per cui è prevista l'applicazione della disciplina speciale (nel caso, occorre ricordarlo, è ancora applicabile la l.392/78).

Il criterio di individuazione delle ipotesi di applicazione è positivo, così come lo era per le locazioni “abitative” quando ancora erano disciplinate anch'esse dalla l.392, e diversamente, come abbiamo visto , dalla tecnica legislativa impiegata dal legislatore

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del '98.

In particolare , gli articoli 27 e 42 ci dicono che la discplina si applica a locazioni di immobili adibiti a :

l attività industriali, commerciali e artigianali;

l di interesse turistico;

l esercizio professionale e abituale di qualsiasi attività di lavoro autonomo;

l attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche, nonchè a sede di partiti o di sindacati;

l quelli stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori.

I primi tre casi (contemplati dall'art. 27) rispondono a esigenze di tutela delle attività produttive , mentre il quarto è posto sicuramente a tutela di attività di interesse costituzionale, e il quinto la tutela indiretta di interessi pubblici.

Spetta all'interprete stabilire, posti questi casi in positivo, quali siano invece le ipotesi che restano fuori dall’applicazione della legge. L'opera della dottrina e della giurisprudenza è giunta ad affermare , in particolare, che non si applica la l.392 a locazioni concluse con lo scopo di utilizzare immobili urbani come deposito di cose (quindi, ad esempio, gli immobili adibiti a magazzino),e locazioni di locali destinati al ricovero di autoveicoli.

3. GLI ACCORDI

Il fenomeno dell' eterodeterminazione del contenuto dei contratti da parte della legge è ben definito già nell'art.1374 c.c., che dispone che “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne deri-

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vano secondo la legge, o in mancanza, secondo gli usi o l'equità”. Essendo pacifico che usi e equità abbiano solo carattere suppletivo, è ormai superata anche la dottrina

5 che , in ossequio all'antico “dogma della volontà”, concepiva una “gerarchia” di fonti integrative del contenuto del contratto in cui la volontà delle parti fosse sovraordinata alla legge : è ormai acquisito pressochè unanimemente che la legge e la volontà conocorrano su un piano di parità alla determinazione del contenuto del contratto ; tale concezione porta anche alla naturale conseguenza che le parti sono vincolate alla legge anche se entrata in vigore successivamente alla stipulazione del contratto, e indipendentemente dal fatto che le parti la conoscessero al momento dell'accordo .6

La legge 431 è largamente partecipe dell’integrazione del contenuto dei contratti di locazione di immobili urbani, e lo fa anche e soprattutto per via mediata, attraverso cioè il rinvio normativo a queste fonti che legislative non sono, anche se sono elaborate sulla base di un Decreto Ministeriale, e cioè gli Accordi locali.

In seguito all'entrata in vigore della l.431 ne sono stati stipulati esattamente cento in tutta Italia, distribuiti omogeneamente sul territorio (la regione con più comuni

“diligenti” è stata la Toscana, con dieci accordi territoriali), la cui maggior parte (ma non certo la totalità)è stata poi “rinnovata” tre anni dopo, in seguito al nuovo Decreto Ministeriale.

Si capisce quindi l'importanza del D.M. 14 Luglio 2004 , che rimedia, come prescritto dalla stessa legge, all'inerzia dei Comuni che non avevano mai promosso la conclusione di accordi, fornendo finalmente su tutto il territorio nazionale la possibilità di stipulare contratti a canone eterodeterminato (anche se occorre dire che naturalmente questa esigenza si pone maggiormente nei comuni a maggiore densità

5 Santoro Passarelli, Dottrine generali, citato in F. Galgano, Diritto civile e commerciale,2004, p.

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6 F. Galgano, Diritto civile e commerciale,2004, p. 186

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abitativa, i quali avevano tutti provveduto) , e dei Comuni che avevano prodotto un primo accordo dopo il 1998, senza però , come disposto dalla legge , promuoverne un secondo, dopo tre anni e il relativo nuovo Decreto.

Il contenuto di questi accordi è omogeneo in tutti i Comuni ; da uno studio compa- rato di dieci accordi territoriali - “campione” emerge che tutti questi accordi dispongono, in genere in testi non eccessivamente lunghi :

il rinvio alle norme che li prevedono;

il richiamo agli accordi-tipo predisposti dal Decreto Ministeriale 30 Dicembre 2002, specificando che se si volesse stipulare uno dei tre tipi contrattuali eterodeterminati, si dovrebbero concludere “utilizzando obbligatoriamente” i contratti-tipo allegati allo stesso Decreto;

un rinvio al D.M. per quanto riguarda gli “Oneri accessori” a carico del conduttore;

le “esigenze di transitorietà” in cui presenza si può stipulare un contratto di cui all’art. 5, comma 1 (di ciò si parlerà analiticamente nel capitolo dedicato alla durata del contratto).

Una dissertazione leggermente più lunga merita infine quello che si può ritenere il contenuto principale di tali accordi, punto nevralgico dell'intero disegno riformatore del '98 : i criteri concreti per determinare l'esatto importo dovuto come canone nei contratti eterodeterminati.

Al riguardo, il D.M. Del 2002 stabilisce che gli accordi :

“individuano, anche avvalendosi della banca dati dell’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia del territorio, insiemi di aree aventi caratteristiche omogenee per:

- valori di mercato;

- dotazioni infrastrutturali (trasporti pubblici, verde pubblico, servizi scolastici e sanitari, attrezzature commerciali, ecc.);

- tipologie edilizie, tenendo conto delle categorie e classi catastali.

All'interno delle aree omogenee individuate ai sensi del presente comma, possono essere

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evidenziate zone di particolare pregio o di particolare degrado. (art.1,c.2)

3. Per ogni area od eventuale zona, gli Accordi locali, con riferimento agli stessi criteri di individuazione delle aree omogenee, prevedono un valore minimo ed un valore massimo del canone. (art.1, c.3)

4. Nella definizione del canone effettivo, collocato tra il valore minimo ed il valore massimo delle fasce di oscillazione, le parti contrattuali, assistite - a loro richiesta - dalle rispettive organizzazioni sindacali, tengono conto dei seguenti elementi:

- tipologia dell'alloggio;

- stato manutentivo dell'alloggio e dell'intero stabile;

- pertinenze dell'alloggio (posto auto, box, cantina, ecc.);

- presenza di spazi comuni (cortili, aree a verde, impianti sportivi interni, ecc.);

- dotazione di servizi tecnici (ascensore, riscaldamento autonomo o centralizzato, condizionamento d'aria, ecc.);

eventuale dotazione di mobilio.(art.1, c.4);

Sulla base del Decreto, in effetti tutti gli Accordi locali effettuano due operazioni : dividono il territorio cittadino in “zone”, assegnando a ogni zona un pregio minore o maggiore, e stabiliscono un elenco di parametri ,i quali sono all'incirca gli stessi in tutti gli Accordi locali, (ad es., il riscaldamento autonomo, la presenza di un cortile, etc. etc.) sulla cui base l'immobile è classificato come di minore o maggior “valore”, proporzionalmente ai parametri “posseduti”; attraverso la “combinazione” dei due aspetti poi è possibile ricavare per ogni immobile accatastato nel Comune, il canone mensile che deve essere corrisposto dal conduttore per un contratto di locazione

“eterodeterminato”, per metro quadro dell'immobile, dovendosi poi naturalmente moltiplicare questo dato per la “metratura” concreta dell'immobile per ottenere il

“risultato” finale.

Non è possibile qui esaminare in modo esauriente come la “fantasia” delle organizza- zioni locali abbia operato, e quale diversità sia riscontrabile da Accordo locale a Ac- cordo locale per quanto riguarda il grado di complessità con cui è “classificato” il territorio comunale , o l'esatto procedimento “matematico” richiesto per calcolare il valore del canone, o ancora i parametri ai quali si dà rilevo ai fini di accertare il

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pregio dell’immobile; può bastare un rapido esame dell'Accordo concluso nel Comune di Bologna; in esso:

− all'articolo 2 si stabilisce la divisione del territorio di Bologna in : “Zona di pregio”, “Zona A” e “Zona B”, allegando anche una mappa esplicativa all' Allegato “A”;

− all'articolo 3 si stabilisce che venga valutato il numero di “vani utili” in cui è diviso l'immobile;

− all'articolo 4 stabilisce 14 parametri (costruzione post 1985, presenza di doppio servizio, presenza di riscaldamento autonomo, etc.) , disponendo poi che in funzione del numero di parametri posseduti l'immobile sarà classificato in “Fascia minima”, “Fascia media” , o “Fascia massima”

(rispettivamente : fino a tre para- metri, da quattro a sei, più di sei).

− Nell'allegato “C” stabilisce le tariffe corrispondente a ogni metro quadro d'immobile, ricavabili con alcuni semplici calcoli, a partire dalla

conoscenza della via in cui l'immobile è situato, il numero di vani utili in esso presenti, il numero di requisiti da esso posseduto.

Sulla base del Decreto, tutti gli Accordi prevedono poi :che nel calcolare l'estensione in metri quadrati dell'immobile, siano prese in considerazione anche le superfici di autorimesse e posti auto esclusivi, (in percentuali variabili, che oscillano tra il dieci e il venti per cento ), e che vi sia una maggiorazione percentuale nel canone se l'immobile risulti ammobiliato .

Della complessità del meccanismo dei rinvii “locali” e dei suoi effetti negativi sul numero di contratti “agevolati” si è già detto.

Quello che occorre osservare per completezza d'analisi è che dopo la modifica del 2002 alla l.431 gli Accordi locali hanno perso parte della loro importanza nell' equilibrio della disciplina del contratto : se si considera che già prima la determina-

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zione dei criteri generali per la definizione dei canoni spettava al Ministero, sulla base della Convenzione, adesso che anche la determinazione dei contratti-tipo è stata rimessa al Ministero (che infatti con il D.M. 30 Dicembre 2002 è intervenuto in materia), per le già citate esigenze di uniformazione e standardizzazione ,residua poco spazio normativo a questi atti.

In particolare, il legislatore del 2002 ha specificato quale fosse uno dei campi d'azio- ne espressamente riservati agli Accordi, che per la sua marginalità e il carattere tecni- co ben fanno intendere come fosse cambiato l'orientamento legislativo rispetto al '98, nel senso di valorizzare maggiormente il Decreto, e ridurre tendenzialmente gli Accordi a strumenti “tecnici”: dispone l'art. 2 della legge 2/2002 che gli accordi locali possano definire delle scelte tra le alternative poste dal Decreto in merito a specifiche condizioni contrattuali, e “con particolare riferimento ai criteri per la misurazione della superficie degli immobili” !

4. I RAPPORTI TRA LEGGE E ACCATASTAMENTI

Fin qui sono state esaminate le fonti normative che , per effetto del loro carattere legislativo, del loro valore di legge, o (gli Accordi), per effetto di un espresso rinvio da parte della legge, pongono la disciplina del contratto di locazione di immobili urbani.

Tuttavia, importanti ricadute sull’equilibrio contrattuale che si viene ad instaurare tra le parti ha anche un atto amministrativo, e cioè la classificazione catastale dell’immobile, che, come si è visto ,influenza l’applicabilità dell’intera legge 431 alle locazioni aventi ad oggetto il godimento di immobili accatastati in una certa categoria; e, come si vedrà, rileva ai fini della determinazione dell’importo del canone nei contratti “eterodeterminati”, dal momento che gli accordi locali , nello stabilire i criteri per tale determinazione, spesso fanno dipendere l’entità dell’importo anche dall’accatastamento dell’immobile.

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Si pone dunque un problema: potrebbe il conduttore che ha stipulato un contratto

”eterodeterminato” per il godimento di un immobile classificato come A7,(“abitazioni in villino”) eccepire che l’immobile è in realtà una casa popolare, e invocare quindi il pagamento di un canone minore ?

Andando al cuore del problema, può il giudice civile disapplicare il provvedimento amministrativo che classifica l’immobile in una certa categoria, se dagli elementi di prova addotti dal conduttore risulta una realtà dei fatti diversa ?

Per rispondere non si deve fare altro che applicare i principi generali vigenti in materia di rapporti tra giurisdizione civile e provvedimenti amministrativi, e in particolare la legge n. 2285 del 1865, che chiarisce che il giudice ordinario può sempre disapplicare il provvedimento amministrativo ritenuto illegittimo, con effetti limitati al caso di specie da lui affrontato, senza naturalmente poterlo annullare.

La Suprema Corte (5834/84) ha confermato anche in merito al caso specifico dell’inesatto accatastamento tale potere del giudice.

Naturalmente nella maggior parte dei casi il problema si pone con riguardo a immobili “classati” in una categoria superiore a quella corrispondente alla realtà; può tuttavia porsi il problema inverso, e , nello specifico di un caso più volte sottoposto all’attenzione della giurisprudenza, può considerarsi una villa , o un’abitazione signorile di grandi dimensioni, che venga ristrutturata, in modo da ricavarne una pluralità di appartamenti, più rispondenti alle moderne esigenze abitative : in questo caso il frazionamento determina in modo automatico un declassamento dell’immobile ? I giudici di merito hanno dato risposte positive al quesito, ma la Cassazione ha statuito che il declassamento non è automatico, dovendo il giudice avere riguardo delle condizioni concrete ed ai caratteri peculiari delle singole unità immobiliari (Cass. 2001, n.13607) : tale conclusione appare più corretta, se si pensa che, essendo una funzione dell’accatastamento quella di determinare a larghe linee il valore dell’immobile, gli appartamenti ricavati ,essendo più facili da collocare sul

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mercato, possono anche avere un valore di mercato di gran lunga superiore a quello corrispondente a una frazione astratta dell’immobile prima della ristrutturazione.

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CAPITOLO II

LA FORMA DEL CONTRATTO

1. LA “RIVOLUZIONE” DELLA LEGGE 431

E' nella forma prescritta per il contratto che emerge la maggior differenza del

contratto di locazione di immobili urbani rispetto al semplice contratto di locazione, che per costante dottrina , giurisprudenza e legislazione è considerato un contratto non formale e perciò a forma libera, in ossequio d'altronde al generale principio di libertà delle forme nella conclusione dei contratti (1350 c.c.).

Certamente, già nel codice emerge un'ipotesi in cui è prescritta la forma scritta a pena di nullità : l'art. 1350, comma 8 c.c., infatti, nell'elencare i contratti per i quali è derogata la libertà di forme, include il contratto di locazione ultranovennale che abbia ad oggetto un bene immobile.

Tale limitazione è però ben giustificabile, data la rilevanza economica dell'oggetto del contratto (un bene immobile) e il lungo periodo per il quale le parti si vincolano.

Tra l'altro, si discute sulla possibilità che il contratto, senza dubbio nullo per la parte di durata che eccede i nove anni, possa valere come contratto di durata novennale, in base all'applicazione analogica dell' art. 1573 c.c. (il quale dispone che le locazioni di durate ultratrentennale, non permesse dal nostro ordinamento, siano parzialmente valide per la durata di trent'anni) : tale possibilità è però rigettata dalla dottrina maggioritaria, che giustamente considera l'art. 1573 come norma di natura eccezionale, non soggetta ad applicazione analogica, e fa rilevare come le parti potrebbero non avere interesse a stipulare un contratto novennale (si pensi alla locazione di un immobile in cui le parti convengano che il conduttore anziché versare il canone, come corrispettivo si impegni in lavori di restauro che necessitino di un periodo di tempo maggiore a nove anni).

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