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Le locazioni transitorie nella Legge-Zagatti : l’ingresso nell’area dell’eterodeterminazione

Nel documento LA LOCAZIONE DI IMMOBILI URBANI (pagine 93-108)

LA DURATA DEL RAPPORTO

3.2 Le locazioni transitorie nella Legge-Zagatti : l’ingresso nell’area dell’eterodeterminazione

Con il ’98, l’atteggiamento del legislatore circa tali contratti “transitori” è radicalmente mutato : ora questi non sono più certamente una “zona franca” nella quale eludere i limiti legislativi, ma anzi, sono stati attratti nell’area dell’eterodeterminazione, essendo il loro canone legato ai “massimi” individuati dagli accordi locali, e dovendo essere la loro durata comunque superiore a un periodo di tempo, per la cui determinazione esatta la legge rinvia al Decreto Ministeriale. Un vero e proprio rovesciamento di prospettiva, quindi : rispetto al’78, in cui per i “normali” contratti l’autonomia privata era compressa in più punti dalla legge, e al contrario i contratti “transitori” restavano “liberi” da vincoli, ora i contratti ordinari “beneficiano” della liberalizzazione del canone e della caduta di altri vincoli operata dalla l.431, mentre i contratti “transitori” vedono regolati imperativamente dalla legge molti dei loro aspetti.

La ratio di tale impianto normativo appare chiara nel momento in cui l’esigenza transitoria è quella particolare esigenza corrispondente al completamento di un percorso di studi universitario, che è alla base dei contratti di cui all’art.5, comma 2 della legge,e tutt’al più potrebbe esserlo nel caso in cui il conduttore sia un lavoratore, costretto a trasferirsi in una città diversa dalla sua città di residenza per un lavoro temporaneo non eccessivamente remunerativo: in questo caso ci si trova di fronte a un conduttore –contraente particolarmente debole, meritevole di una speciale tutela sotto il profilo del canone e di altri aspetti contrattuali; l’intervento normativo per quanto riguarda la generalità dei contratti transitori appare invece eccessivamente

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dirigistico, potendosi ben immaginare ad esempio il caso di un manager che debba trasferirsi per sei mesi nella città sede di una società controllata dalla società per la quale egli lavora : è sicuro che anche in questo caso si debba imporre al locatore il canone “concordato”, ? la verità è che sotto il nome di “locazioni di natura transitoria” va un insieme di locazioni estremamente eterogenea per debolezza del contraente e specifica natura dell’esigenza abitativa transitoria, che forse avrebbe richiesto un intervento normativo differenziato.

3.3 I contratti di locazione transitoria di cui all’art. 5,c.1 della l. 431

Come si disse all’inizio della tesi, la l. 431 introduce tre tipi di contratti etero-determinati, in cui cioè importanti aspetti dell’autonomia privata vengono regolati imperativamente della legge, che arriva (attraverso il macchinoso sistema di rinvii che coinvolge il Decreto Ministeriale del Ministro dei lavori Pubblici) finanche a produrre i modelli contrattuali concreti che le parti devono obbligatoriamente utilizzare per concludere il contratto I normali contratti “agevolati” di cui all’art.2, comma 3, come detto, hanno durata, in concreto, di cinque anni (tre anni, più altri due di proroga di diritto).

La disciplina del secondo tipo di contratti eterodeterminati è interamente devoluta al Decreto Ministeriale, che nel disegno della legge dovrebbe a sua volta costituire la base per la vera “fonte” regolativa di tali contratti, gli accordi locali, anche se nei fatti si è assistito, con il D.M. del 2002, a una regolazione ministeriale che ha finito per disciplinare essa stessa la maggior parte degli aspetti contrattuali, fino a definire anche i “moduli” attraverso cui le parti devono concretamente concludere l’accordo.

La legge dispone che il Decreto stabilisca “condizioni e modalità” (art.5, c.1) per la stipula di tali contratti ; i Decreti del ’99 e del 2002, nel porre la disciplina di tali contratti, affrontano i due nodi principali in materia, e cioè la durata minima di tali

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contratti, e le condizioni alle quali essi possono essere stipulati , stabilendo che i contratti hanno durata minima di un mese , e massima di diciotto, e devolvendo agli accordi locali il compito di definire in concreto quali siano le “esigenze transitorie” .

La fissazione di tali limiti di durata ha sollevato più di una perplessità : se la durata dei contratti è ordinari è di quattro anni rinnovabili, e il contratto transitorio può essere stipulato per una durata massima di un anno e mezzo, cosa dire dei contratti che per esigenze di conduttore o locatore dovrebbero essere di una durata compresa tra quattro anni e un anno e mezzo? Cosa dovrebbe fare un conduttore chiamato a svolgere un lavoro per due anni in un’impresa in una data città : stipulare un contratto quadriennale, e recedere sei mesi prima della scadenza del contratto, sperando tra l’altro che il giudice consideri un “grave motivo” la fine dell’esperienza lavorativa, e usando in definitiva uno strumento giuridico pensato per una durata quadriennale in modo improprio, piegandolo alle proprie esigenze per colmare le lacune legislative ? O concludere un contratto transitorio per la durata di diciotto mesi, e alla scadenza mettersi alla ricerca di una nuova abitazione , della quale godere attraverso un altro contratto transitorio semetrale ? Entrambe le soluzioni sono insoddisfacenti e rivelano che il Decreto, per non lasciare “zone grigie”, avrebbe dovuto fissare il limite massimo di durata a quattro anni.

D’altronde la scelta di porre un limite minimo di durata, mensile, sembra poco comprensibile : non volendo instaurare rapporti illegittimi, al conduttore che dovrà risiedere in una città diversa da quella di residenza per venti giorni, (magari per uno stage, o un corso di aggiornamento aziendale) non resterà che… alloggiare in albergo, dovendosi concludere che non è ammessa dall’ordinamento l’instaurazione di una locazione di immobili urbani inframensile !

Il Decreto si occupa inoltre di aspetti estremamente rilevanti di tali “esigenze transitorie” :

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“I contratti […]devono prevedere una specifica clausola che individui l’esigenza di transitorietà del locatore e/o del conduttore - da provare quest’ultima con apposita documentazione da allegare al contratto - i quali dovranno confermare il permanere della stessa tramite lettera raccomandata da inviarsi prima della scadenza del termine stabilito nel contratto.” (art.2, c.4 D.M. 30/12/2002).

Emerge dunque che sia esigenze transitorie del conduttore che del locatore possono essere poste alla base di questo tipo contrattuale, conclusione tutt’altro che pacifica nella vigenza della l.392, che all’art.26 si limitava a parlare genericamente di “esigenze abitative di natura transitoria”, specificando anzi che se il conduttore avesse abitato nell’immobile per esigenze di studio o di lavoro la norma non si applicava : un riferimento “sospetto” dal quale si poteva dedurre l’intenzione della legge di riferirsi alle sole esigenze transitorie del conduttore.

La legge prescrive poi un triplo livello di formalismo affinchè la disciplina del contratto transitorio sia effettivamente applicabile .

In primo luogo, l’esigenza deve risultare chiaramente dal contratto, e dev’essere compresa tra quelle elencate nell’accordo locale del Comune in cui è situato l’immobile, sia che sia un esigenza del conduttore, che del locatore.

In secondo luogo, solo nel caso in cui l’esigenza sia del conduttore, essa va provata con documentazione allegata al contratto ; la ratio legis è facilmente intuibile,e trova riscontro in quanto accadeva concretamente nella vigenza della l. 392, che nulla diceva sul punto : evitare che il locatore “costringa”, al fine di fruire di una durata minore del contratto, il conduttore-contraente debole a dichiarare una falsa esigenza transitoria. Naturalmente è di palmare evidenza che tale norma sarebbe stata più utile prima del ’98, dal momento che , essendo dopo la “legge-Zagatti” il loro canone vincolato ai “tetti” disposti dagli accordi locali, l’utilità “elusiva” di tali contratti dovrebbe essere diminuita.

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Infine, un ulteriore formalità viene imposta : l’invio, successivamente alla conclusione del contratto, di una raccomandata che confermi l’esigenza; tale formalità nel Decreto sembrerebbe essere posta a carico di entrambe le parti, ma poi nel contratto-tipo allegato al Decreto, che le parti devono obbligatoriamente utilizzare per concludere l’accordo, pone tale onere a carico del solo locatore :

“Il locatore ha l'onere di confermare il verificarsi di quanto ha giustificato la stipula del presente contratto di natura transitoria tramite lettera raccomandata da inviarsi al conduttore entro ………

giorni prima della scadenza del contratto.”

(articolo 2 del contratto-tipo allegato al D.M. 30-12-2002).

Le sanzioni (civili) per l’inosservanza di queste prescrizioni formali sono estremamente severe :

“I contratti di cui al presente articolo sono ricondotti alla durata prevista dall'articolo 2, comma 1, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, in caso di inadempimento delle modalità di conferma delle esigenze transitorie stabilite nei tipi di contratto di cui al comma 6, ovvero nel caso le esigenze di transitorietà vengano meno.” (art.5 D.M. 30-12-2002).

Dunque, il locatore e il conduttore che abbiano stipulato un contratto “transitorio”, senza osservare le formalità richieste, “subiscono” (per la verità più il locatore, dato che il conduttore dispone sempre del recesso con preavviso di sei mesi per gravi motivi, nei quali potrebbe facilmente rientrare ,ad esempio, la necessità di abitare in una città diversa da quella dell’immobile il cui godimento è oggetto del contratto per un sopravvenuto trasferimento del posto di lavoro; o, più in generale, l’assenza di un’esigenza che giustifichi il pagamento di un canone per un’abitazione nella quale non si ha più necessità di abitare) la conversione ex-lege di un contratto che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere tutt’al più della durata di un anno e mezzo, in un contratto quadriennale, anzi, come si è visto prima… ottennale !

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L’attenzione richiesta dunque al locatore, “sospettato “ di intenzioni frodatorie (cosa, come detto, rispondente alla realtà ante-’98, e ormai meno verosimile) , è massima, e sembra davvero eccessiva nel momento in cui si collega alla terza delle prescrizioni formali, la raccomandata “confermativa”, la produzione di un contratto della durata di otto anni , tant’è che parte della dottrina ha paventato l’incostituzionalità di tale irragionevole norma per contrasto con l’art.3.24

Un’ultima osservazione, a proposito del contenuto concretamente associato dagli accordi locali al concetto di “esigenza transitoria” . Nel definire quali siano queste esigenze si è prodotta certamente una gran varietà di idee, tuttavia si può osservare che nella quasi-totalità di questi accordi è presente , sia per le esigenze del locatore che di quelle del conduttore, una “clausola di chiusura” del tipo “qualsiasi altra esigenza specifica collegata ad un evento certo a data prefissata ed espressamente indicata nel contratto”, che di fatto rende superflua tutta la serie di casi che la precede. Qualche autore osserva perspicacemente che naturalmente la data certa non deve eccedere i diciotto mesi di distanza dalla stipula del contratto, sotto pena di riconduzione all’ordinario contratto ottennale.

3.4 I contratti di cui all’art. 5, comma 2

Veniamo ora al terzo tipo di contratto eterodeterminato previsto dalla l.431, che altro non è in realtà che una species all’interno del più ampio genus dei contratti per esigenze abitativa transitoria, essendo senz’altro un fatto transitorio il completamento di un corso di studi universitario.

Lo schema normativo è analogo a quello dei “normali” contratti “transitori” ;per la disciplina dei contratti, la legge rinvia a quanto stabilito dagli accordi locali, che a loro volta devono conformarsi al Decreto Ministeriale, con un un’unica peculiarità : è prescritto che oltre alle “solite” organizzazioni di proprietà edilizia e conduttori

24 Gabrielli, op. cit,, p.523.

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maggiormente rappresentative, alla stesura degli accordi partecipino anche :

“aziende per il diritto allo studio, associazioni degli studenti, cooperative ed enti non lucrativi operanti nel settore (art. 5, comma 3), con l’obbiettivo di coinvolgere nella concreta regolazione di settore enti che conoscono bene gli aspetti anche tecnici della mercato delle locazioni.

Anche qui, si assiste a una regolazione analitica da parte dei Decreti ministeriali, che lasciano poco spazio agli accordi locali (che restano comunque, lo si ricorda, le fonti di riferimento per la determinazione del “canone” massimo pattuibile); la durata minima è fissata in sei mesi, la durata massima in trentasei mesi, e , a differenza dei normali contratti transitori, ed in analogia con i contratti “liberi” e con quelli a canone “agevolato”, viene riconosciuta a favore del conduttore la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, per un periodo pari a quello pattuito, salvo espressa disdetta del conduttore : complessivamente si può dire quindi che il conduttore beneficia di un contratto che può durare al massimo sei anni, dal quale può”liberarsi” non rinnovando alla fine del triennio, o recedendo con preavviso di sei mesi, e per gravi motivi, in qualsiasi altro momento.

Naturalmente, rispetto ai contratti transitori “ordinari”, non è necessaria, ai fini della stipulazione del contratto, l’esplicitazione della concreta esigenza di transitorietà, in re ipsa .

Un’ultima notazione circa la legittimazione soggettiva alla conclusione di questi contratti : Il D.M. 5 Marzo 1999 ha specificato che “Tale tipologia contrattuale è utilizzata esclusivamente qualora l'inquilino sia iscritto ad un corso di laurea in un comune diverso da quello di residenza (da specificare nel contratto).” (art.3, c.1);

una scelta criticata da più parti, considerato che sembrano meritevoli di tutela anche le aspirazioni a vivere fuori dall’abitazione di residenza degli studenti che abbiano la

“sventura” di risiedere nello stesso comune sede dell’Università.

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CONCLUSIONI

Come detto in sede di introduzione della Tesi, il mercato delle locazioni ancora in Italia e' troppo limitato nelle dimensioni : lo era nel '98, anno in cui si pose la pietra tombale sull'equo canone, e lo è oggi, a distanza di dieci anni dall'entrata in vigore della Legge-Zagatti.

L'impianto normativo della Legge-Zagatti, però,a mio avviso, è apprezzabile e non può annoverarsi tra i fattori di disincentivo a costituire un rapporto locativo.

Innanzitutto , è acuto l'impianto normativo costruito intorno al tema della forma del contratto : era doveroso, in un mercato, quello delle locazioni, in cui l'elusione fiscale è dilagante, porre l'obbligo della forma scritta. ; e tuttavia la legge, opportunamente, cerca di evitare che il peso di tale obbligo ricada sul conduttore

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costretto “in nero” dal locatore, (che altrimenti sarebbe vincolato a non agire in giudizio contro il locatore per qualsiasi questione inerente il contratto, a pena di far decretare la nullità del suo stesso contratto), con il visto “espediente” dell'art. 13, comma 5.

Il giudizio che si deve dare poi della formula contratti liberi/ contratti eterodeterminati ma agevolati fiscalmente, è positivo.

Creare diverse tipologie contrattuali ha permesso da un lato, con la liberalizzazione del canone nei “normali” contratti di locazione di immobili urbani, di eliminare i fattori di naturale contrazione del mercato introdotti con l'equo-canone, e di eliminare una delle ragioni alla base dell'elusione fiscale; dall'altra, di isolare le esigenze di protezione più avvertite (studenti universitari, conduttori “occasionali”

facilmente ricattabili) ,e coprirle con apposite fattispecie, elastiche e adattabili ai casi concreti (apprezzabile, nel caso dei contratti di studenti universitari, la previsione delle organizzazioni studentesche e delle agenzie per il diritto allo studio tra i soggetti designati alla redazione, all'interno degli Accordi locali, della disciplina concreta dei contratti, mentre unanimemente criticato è stato il successivo intervento ministeriale in materia di contratti transitori, che fissando la durata in un intervallo compreso tra sei e diciotto mesi ha inutilmente compresso l'autonomia privata, lasciando fuori dalla tutela normativa le ipotesi di contratti che secondo la volontà delle parti dovrebbero durare da diciotto mesi a quattro anni).

Strumenti differenziati per conduttori diversamente deboli : questa è stata la valida intuizione della l. 431.

Certamente , fissare la durata minima in otto anni (un “quattro più quattro”, che come si è visto, è difficile per il locatore interrompere alla scadenza del primo quadriennio) può risultare contraddittorio rispetto alla ratio generale di eliminare i vincoli intorno alla tipologia contrattuale per incentivare i proprietari di immobili a collocare questi

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ultimi sul mercato delle locazioni .

D'altronde , se si ricordano le reazioni della giurisprudenza di merito all'indomani dei primi vincoli alla durata minima del contratto che furono introdotti dalla l. 392, vale a dire l'ondata di questioni di legittimità costituzionale diretta alla Corte Costituzionale, per l'incostituzionalità della mancata previsione della durata indeterminata del contratto, si capisce come non sia facile trovare il punto d'equilibrio in materia. E d'altro canto, se si vuole veramente che la locazione diventi per i cittadini italiani uno strumento alternativo per soddisfare le proprie esigenze abitative all'acquisto, magari con forte indebitamento, di un immobile, è inevitabile imporre una minima stabilità del rapporto.

Infine, l'introduzione di agevolazioni fiscali a incentivo dei contratti eterodeterminata era un inevitabile corollario della creazione di un “doppio canale”

di contratti : che vantaggio avrebbe avuto altrimenti il locatore, in presenza della possibilità di stipulare contratti “liberi”, a stipulare contratti con un tetto massimo di canone ?

Quindi, concludendo : alla fine del '98, il proprietario che avesse voluto concedere in godimento il proprio immobile, avrebbe avuto due alternative offerte dalla legge: o sfruttare tutte le potenzialità del mercato, puntando alla riscossione di ricchi canoni mensili, o concedere l'appartamento a soggetti deboli contrattualmente, potendo proporre loro un canone non eccedente il tetto massimo stabilito dagli accordi locali, ma per un periodo minore degli ordinari otto anni, e potendo sfruttare le cospicue agevolazioni fiscali.

Però , come si è detto, qualcosa non è andato come si sperava.

In particolare , uno dei due “canali” contrattuali si mostra oggi nettamente più rigoglioso dell'altro : pur non essendo possibile avere un'anagrafe esauriente delle

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varie species di contratti registrati, è un fatto che i contratti “liberi” siano in netta maggioranza rispetto a quelli “eterodeterminati”, e all'interno di questi, sono ancor più rari i contratti transitori, e per studenti universitari , che in qualche modo dovevano essere la cifra della riforma del ’98.

Il fatto che uno dei due “pilastri” della legge 431 abbia trovato scarsa applicazione è decisivo ai fini della valutazione dello stato di attuazione del diritto all’abitazione : quelle tipologie contrattuali erano state pensate per tutelare fasce di domanda che si ritenevano più deboli, più meritevoli di protezione di altre, già in grado di muoversi sul mercato ; e naturalmente, senza aumento dei contratti “agevolati” non c’è aumento dei contratti in generale : non c’è, in definitiva, quell’aumento dell’offerta che dovrebbe abbassare i prezzi.

La mia conclusione è che le ragioni del fallimento vadano ricercate in fattori in gran parte esterni ,a quella che sembra una riforma ben meditata : compito di una norma è certo avere una funzione di comando, di trasformazione sulla realtà, ma anche il migliore dei comandi deve diventare “diritto vivente” , e molte cose possono intervenire nel passaggio dalla carta alla realtà.

In primo luogo, uno degli anelli fondamentali della legge si è spezzato nella sua applicazione pratica immediata : la legge infatti prevedeva all'art. 8 tra le misure fiscali agevolative a sostegno dei contratti “eterodeterminati” la possibilità per i Comuni di prevedere detrazioni dall'ICI in capo ai proprietari che avessero stipulato uno di quei contratti. Una misura sicuramente interessante... peccato che nella realtà pochissimi Comuni abbiano concretizzato questa possibilità !

Certamente poi un fattore , del quale si deve tenere conto nello svolgere una pur sommaria disamina della realtà , è la possibilità, negata dalla legge , ma a quanto pare, non dai fatti, per il locatore, di concludere accordi non scritti e regitrati :

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insomma, il fenomeno del c.d. “nero” o “sommerso”,che falsa ogni possibile previsione legislativa.

Se infatti il locatore pensa di poter ricevere come corrispettivo una data somma al

“nero”, senza pagare alcunchè a titolo d'imposta, diventa una discussione oziosa stabilire se la sua convenienza sia nello stipulare un contratto (registrato) “libero” dal quale ricavare un corrispettivo maggiore, sul quale pagare imposte di importo considerevole, o un contratto “agevolato” , meno remunerativo, ma sul quale pagare imposte minori : gli risulterà sempre più conveniente non dichiarare affatto il contratto, con buona pace del fisco, dei conduttori privi di ogni tutela, e in ultimo, del senso stesso della legge !

Il fenomeno è tutt'altro che marginale : nel 1998 560 000 famiglie , pari al 13% delle famiglie che vivevano “in affitto” dichiaravano di occupare un’abitazione senza un contratto25 (o meglio, come si può dire dal punto di vista giuridico, dopo aver analizzato la l.431/98, erano parti di un rapporto locativo di fatto, nullo in forza dell’art.1, c.4 che prescrive la forma scritta, ma che potrebbe diventare valido, se la forma orale è frutto di una pretesa del locatore, attraverso una domanda giudiziale …

Il fenomeno è tutt'altro che marginale : nel 1998 560 000 famiglie , pari al 13% delle famiglie che vivevano “in affitto” dichiaravano di occupare un’abitazione senza un contratto25 (o meglio, come si può dire dal punto di vista giuridico, dopo aver analizzato la l.431/98, erano parti di un rapporto locativo di fatto, nullo in forza dell’art.1, c.4 che prescrive la forma scritta, ma che potrebbe diventare valido, se la forma orale è frutto di una pretesa del locatore, attraverso una domanda giudiziale …

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