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IL “CANONE CONCORDATO” DELLA 341

Nel documento LA LOCAZIONE DI IMMOBILI URBANI (pagine 64-68)

GLI OBBLIGHI A CARICO DEL CONDUTTORE

NULLITA' CONSEGUENTE

5. IL “CANONE CONCORDATO” DELLA 341

Occorre affrontare a questo punto l'aspetto qualificante della l. 341/98 : la previsione, accanto al regime “generale” di libertà per le parti di pattuire il canone desiderato (a differenza del regime dell'equo canone), di contratti c.d. “eterodeterminati” la cui conclusione è lasciata alla disponibilità delle parti, che differiscono dal “normale”

contratto di locazione di immobili urbani , come si è detto in sede introduttiva di questa tesi , per tre aspetti : i benefici fiscali che ne derivano al locatore che “accetta”

di concluderli (già esaminati sommariamente), la durata, e , aspetto cruciale della loro disciplina, il canone.

Le norme contenute negli accordi locali sono comunque vincolanti solo per quanto riguarda i massimi , essendo il loro scopo quello di tutelare il contraente debole, il conduttore, scopo che sarebbe irrazionale non considerare raggiunto se , in ipotesi, il conduttore pattuisse un canone minore del “tetto” legale con il locatore.

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5.1. Le pattuizioni contrarie ai limiti imposti per il canone: nullità e divieto di

“autoriduzione”.

La conseguenza di pattuizioni di canoni che superino i limiti imposti dalla legge o dalla fonte alla quale la legge rinvii, è la loro nullità.

Per le locazioni “non abitative” ciò è disposto dall'art.79 della l.392/78 (ancora la legge di riferimento per queste locazioni, vedi supra) : “ é nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge”.

Per quanto concerne le locazioni abitative,come si è detto, l'art.79 è stato abrogato, e ora la norma di riferimento è l'art. 13,comma 4 : “Per i contratti di cui all'art.2,c.3, è nulla ogni pattuizione volta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo definito [...] dagli accordi definiti in sede locale” : una disposizione certa-mente più restrittiva del precedente art. 79, che parlando di “altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge” includeva tra le disposizioni da rispettare a sicura pena di nullità anche quelle sull'aggiornamento ISTAT.

Una breve osservazione : la norma, forse per un refuso, non si riferisce espressamente anche ai contratti di cui all'art.5, comma 1° (locazioni transitorie) e art. 5, comma 2° (per le esigenze abitative di studenti universitari), tuttavia sembra chiaro che la norma si riferisca anche ad essi, potendosi comunque applicare l'art.

1418 c.c.,(ci si troverebbe senz’altro di fronte a un caso di contrarietà a norme imperative) e dovendosi notare che la stessa legge poco più avanti e sempre in materia di restituzione di somme indebitamente versate (più precisamente, quell'art.

13, comma 5° già visto in tema di forma del contratto e di sanzioni per il locatore in seguito alla pretesa di instaurare un rapporto di fatto),li accomuna pacificamente ai normali contratti “agevolati”.

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Nullità, dunque, ma come ha detto una parte della dottrina, nullità “depotenziata”:

lo stesso art.13 , dispone infatti al comma 5° , parte seconda, che dispone che“Nei medesimi casi (nei casi di nullità previsti dal comma 4°) il conduttore può altresí richiedere, con azione proponibile dinanzi al pretore,(da intendersi come : Tribunale) che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dall' articolo 2 , comma 1°ovvero dall'art. 2, comma 3°.

Quale il significato da attribuire a questa norma ? Che bisogno c'è per il conduttore che sta “subendo” un rapporto contrattuale fondato su clausole nulle, di chiedere un riconoscimento giudiziale di tale nullità? Non è sufficiente per il conduttore non adempiere al patto nullo, adempiendo alla clausola stabilita dalla legge, e non è onere del locatore chiedere il rispetto del patto, che a sua volta il conduttore in sede giudi-ziale eccepirà essere nullo ?

Per capire il background di questa norma è necessario analizzare l'interpretazione che diede, nell’anno precedente quello di entrata in vigore della Legge-Zagatti, la Suprema Corte delle norme previgenti alla l.431, e quindi della legge equo-canone con le modifiche apportate dalla c.d. disposizione sui “Patti in deroga”, tra cui c’era, come detto, l’art. 79 che sanzionava espressamente di nullità le pattuizioni che attribuivano al locatore il diritto a riscuotere un canone superiore all’ “equo canone”.

La sentenza di riferimento è la S. 3 Marzo1997, n. 1870, in cui la Corte affronta il ricorso di un soggetto proprietario di un immobile sito a Eboli, il quale aveva concluso all’inizio degli anni ottanta un contratto di locazione di immobili urbani, dal canone quasi doppio rispetto a quello che era il “tetto” legale per quell’immobile.

In seguito, il conduttore, resosi conto del fatto che stava versando mensilità di gran lunga esorbitanti il c.d. “equo canone”, si “autoriduceva” il canone , fino a portarlo a una misura notevolmente inferiore, ma comunque ancora superiore al massimo consentito dall’applicazione della legge. Dopo qualche mese, il locatore otteneva in

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primo grado la risoluzione del contratto per inadempimento, facendo valere il mancato versamento di quanto disposto dal contratto, e il conduttore rilasciava l’immobile; la vicenda giudiziaria tuttavia proseguiva , in quanto il conduttore da un lato otteneva dal Pretore di Salerno una sentenza che accertava l’entità dell’equo canone in un importo perfettamente corrispondente a quello da lui calcolato, e contemporaneamente, impugnava la sentenza di fronte alla Corte d’appello di Salerno, la quale dava ragione all’appellante, affermando che “si doveva applicare il principio che non poteva essere pronunciata risoluzione del contratto, se nelle more fosse intervenuta sentenza che avesse determinato l’equo canone e accertato un maggior credito del conduttore”.

La Corte ha però negato tali conclusioni, affermando l’illegittimità dell’autoriduzione del canone superiore ai tetti legali, orientamento al quale si dev’essere ispirata anche la norma della l.431.

Secondo la Corte, l’autoriduzione non è possibile fino a che non avvenga un’

inserzione “integrale e definitiva” delle clausole legali al posto di quelle convenzionali, e cioè fino a quando non ci sia una sentenza passata in giudicato che accerti l’esatto importo dell’equo canone (cosa che nel caso di specie non era accaduta, dal momento che al momento dell’avvio dell’autoriduzione il conduttore non aveva nemmeno avanzato domanda giudiziale per ottenere l’accertamento in questione, e ancora al momento della sentenza della corte d’appello, egli poteva vantare “solo” una sentenza del pretore , su cui pendeva tra l’altro l’impugnazione del locatore, e quindi tutt’altro che passata in giudicato); fino ad allora, “rimane integro il potere del giudice di merito, di accertare ex art. 1455 c.c., se l’inadempimento sia di gravità tale , nel suo complessivo configurarsi, tale da giustificare la risoluzione del rapporto, avuto principale riguardo all’interesse del locatore a ricevere mensilmente il canone, nella misura pattuita, fino alla moratoria ex-lege”.

Per comprendere la ratio ispiratrice della Corte è sufficiente un passaggio della

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pronuncia stessa : “Non può invocare la buona fede chi, nell’esecuzione di contratti a prestazioni corrispettive, ometta in tutto o in parte la sua prestazione,e quindi versi in un illecito per un comportamento riconducibile a ipotesi di ragion fattasi”.

6. IL PROBLEMA DEI TERMINI PER LA RESTITUZIONE DELLE

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