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LA “RIVOLUZIONE” DELLA LEGGE 431

Nel documento LA LOCAZIONE DI IMMOBILI URBANI (pagine 35-39)

LA FORMA DEL CONTRATTO

1. LA “RIVOLUZIONE” DELLA LEGGE 431

E' nella forma prescritta per il contratto che emerge la maggior differenza del

contratto di locazione di immobili urbani rispetto al semplice contratto di locazione, che per costante dottrina , giurisprudenza e legislazione è considerato un contratto non formale e perciò a forma libera, in ossequio d'altronde al generale principio di libertà delle forme nella conclusione dei contratti (1350 c.c.).

Certamente, già nel codice emerge un'ipotesi in cui è prescritta la forma scritta a pena di nullità : l'art. 1350, comma 8 c.c., infatti, nell'elencare i contratti per i quali è derogata la libertà di forme, include il contratto di locazione ultranovennale che abbia ad oggetto un bene immobile.

Tale limitazione è però ben giustificabile, data la rilevanza economica dell'oggetto del contratto (un bene immobile) e il lungo periodo per il quale le parti si vincolano.

Tra l'altro, si discute sulla possibilità che il contratto, senza dubbio nullo per la parte di durata che eccede i nove anni, possa valere come contratto di durata novennale, in base all'applicazione analogica dell' art. 1573 c.c. (il quale dispone che le locazioni di durate ultratrentennale, non permesse dal nostro ordinamento, siano parzialmente valide per la durata di trent'anni) : tale possibilità è però rigettata dalla dottrina maggioritaria, che giustamente considera l'art. 1573 come norma di natura eccezionale, non soggetta ad applicazione analogica, e fa rilevare come le parti potrebbero non avere interesse a stipulare un contratto novennale (si pensi alla locazione di un immobile in cui le parti convengano che il conduttore anziché versare il canone, come corrispettivo si impegni in lavori di restauro che necessitino di un periodo di tempo maggiore a nove anni).

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La l. 392/78 sul punto della forma del contratto di locazione di immobili urbani tace.

La l. 431/98 introduce invece all'art.1, 4° comma, una clausola generale per cui “ per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta.” : una norma

“rivoluzionaria” , in quanto smentisce la tradizione millenaria di non-formalità del contratto di locazione!

La spiegazione di un cambio di rotta tanto virulento è duplice, come d’altronde sono due le preoccupazioni che hanno guidato e guidano il legislatore nel dettare una disciplina speciale per le locazioni di immobili urbani ;da un lato, vi sono finalità di ordine tributario , e cioè l’esigenza di una migliore accertabilità dei flussi economici (d’altronde, la prescrizione della forma scritta si accompagna a quella della registrazione del contratto, la cui finalità antielusiva è evidente); dall’altro, la tutela del contraente debole, particolarmente necessaria nel momento in cui si

“liberalizzano” aspetti fondamentali del regolamento contrattuale , al fine di mettere il conduttore nelle condizioni di esplicitare il proprio consenso nel modo più ponderato possibile.

Libertà delle forme di un contratto il cui contenuto è in buona parte già formulato dalla legge, o libertà delle parti nel formulare un contratto che però dovrà rispettare determinate formalità, a tutela del contraente debole; questa sembra l’alternativa inevitabile in materia di contratti di locazione, se si osserva anche la vicenda sintomatica della locazione di fondi agrari : disciplinato dalla l. 203/1982, tale contratto sconta una forte compressione dell’autonomia privata da parte della legge in tutti i suoi aspetti essenziali, meno che per la forma, per cui non solo è confermata la libertà di forma, ma anzi, in deroga dai limiti codicisitici, è ammessa la conclusione orale del contratto anche per contratti di durata ultranovennale ! La stessa legge permette poi alle parti di derogare numerose disposizioni imperative alle parti, a patto però che vengano rispettate sotto pena di nullità alcune formalità circa

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l’assistenza di organizzazioni professionali al momento della stipula del contratto, (norma, questa , analoga a quella dichiarata incostituzionale a suo tempo della c.d.

legge dei “Patti in deroga”): non proprio, dunque ,la prescrizione di una forma diversa, ma comunque un livello più alto di formalismo a contrappeso della riespansione dell’autonomia privata.

La norma “rivoluzionaria” si applica solo alle locazioni aventi ad oggetto immobili destinati all'uso abitativo, essendo questo l'ambito di applicazione della legge (come si ricorderà , mentre la l.392/78 dettava norme per le locazioni “non abitative” e

“abitative”, la 431/98 si applica solo a queste ultime, essendo ancora pienamente in vigore per quanto riguarda le prime la disciplina del '78) ; questo aspetto della prescrizione formalistica in questione non ha mancato di sollevare perplessità : se il nostro ordinamento si ispira alla libertà delle forme e impone la forma scritta solo per i contratti di maggiore importanza , in relazione alla durata o all'oggetto , com'è possibile che tale forma sia prescritta per queste locazioni, e non per quelle ad uso non abitativo, che spesso coinvolgono interessi economici ben maggiori ?

(Si pensi al contratto di locazione degli immobili che dovrebbero ospitare un Ipermercato, ben stipulabile verbalmente !).

Più di una voce ha ipotizzato anche che la norma sia incostituzionale per contrasto con l'art. 3 Cost. :finora la questione di legittimità costituzionale non è stata sollevata, ma nel momento in cui lo fosse, la Corte avrebbe certamente davanti due strade (risultando fondata la questione) : espungere dall'ordinamento la norma per contrasto con l'art. 3, o , con sentenza additiva, dichiararla incostituzionale nella parte in cui non prevede la sua applicazione anche alle altre locazioni.

Altri,7 sostengono invece che , essendo la ratio di tali prescrizioni formalistiche l’esigenza di “ponderazione, univocità e tutela del contraente debole”, nel caso di locazioni ad uso non abitativo, essendo questi contratti nella maggior parte dei casi

7 M. Benincasa, Formalismo e contratto di locazione, Giuffrè, 2004, p. 240

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businness to business, presentando cioè una parità di forza contrattuale tra le parti,l’applicabilità in via analogica sia da escludersi.

Per la verità, non è così pacifica nemmeno l’applicabilità a tutte le locazioni ad uso abitativo della norma.

Alcuni commentatori8 ,privilegiando l’interpretazione letterale della norma, fanno notare infatti che essa si riferisce ai “contratti di locazione”, e che la stessa legge, all’art.1, c.1, statuisce che :

.”I contratti di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo, di seguito denominati "contratti di locazione", sono stipulati o rinnovati, successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dei commi 1 e 3 dell'articolo 2.”

Facendo leva su questa norma “redifinitoria”, tale dottrina conclude che la forma scritta è prescritta in modo diretto solo per i normali contratti di locazione di immobile urbani, liberalizzati dalla l.431, e per i contratti “agevolati”, : non per i contratti “transitori” di cui all’art.5, e tantomeno per i contratti visti nel Capitolo1, per cui è disposta l’inapplicabilità espressa delle altre norme della legge, ma non dell’art.1, c.4.

Tuttavia anche gli esponenti di tale orientamento non si tirano indietro dall’evitare le conseguenze assurde di questa stretta interpretazione letterale del combinato disposto dei commi 1 e 4 dell’art.1 (la forma scritta non sarebbe prescritta proprio per quei contratti in cui il conduttore è più “debole”contrattualmente , e cioè i contratti per studenti universitari e stipulati per esigenze abitative transitorie), e pur affermando l’inapplicabilità diretta della prescrizione formalistica, non ne negano l’applicabilità in via analogica, sulla base della “somiglianza giuridica” tra i contratti oggetto di applicazione diretta e quelli di cui all’art.5, a questi ultimi , sottolineando inoltre l’identità di ratio legis tra l’imposizione della forma scritta e l’esistenza stessa di tali contratti, ovvero la tutela del contraente debole-conduttore.

Proprio sulla scorta di tale percorso logico, la stessa dottrina nega l’applicazione in

8 Benincasa, op. cit.,241

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via analogica della norma ai contratti di cui all’art.1, per cui è già disposta, come si è visto nel precedente capitolo, la non-applicabilità dei restanti articoli della legge, (locazioni di abitazioni signorili e ville, per finalità turistiche, concluse da enti locali per esigenze transitorie), non rilevando in essi alcuna esigenza abitativa primaria che giustifichi un’attenzione particolare nei confronti del conduttore, e formula invece l’eccezione all’eccezione, ammettendo l’applicazione analogica per l’ipotesi di cui all’art.1, b) (le locazioni di edilizia residenziale pubblica), in cui l’esigenza abitativa di cui sopra sembrerebbe ravvisabile.

Nel documento LA LOCAZIONE DI IMMOBILI URBANI (pagine 35-39)