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Conseguenze in caso di fallimento della società.

Dopo aver delineato gli aspetti essenziali dei primi due commi dell'art. 2447 decies, è interessante soffermarsi sugli aspetti che si susseguono a seguito del fallimento della società.

L'ambito di riferimento è chiarito nel sesto comma della norma in questione che recita: “se il fallimento della società impedisce la realizzazione o la continuazione dell'operazione cessano le limitazioni di cui al comma precedente, ed il finanziatore ha diritto di insinuazione al passivo per il suo credito, al netto delle somme di cui ai commi terzo e quarto”.

È chiaro che la dichiarazione di fallimento della società influisce sul rapporto di finanziamento ma, per una certa dottrina, sembra non essere incidente sulla separazione patrimoniale attinente ai proventi

dell'affare, ai loro frutti ed ai beni in cui essi sono stati investiti156. Tale comma va letto, però, in combinazione con l'art. 72 ter della legge fallimentare, la quale dimostra che il disposto della norma in questione ha valenza “residuale”, in quanto è applicabile solo quando né il curatore, né il finanziatore, né terzi, offrono di proseguire la realizzazione in proprio dell'operazione.

Nel caso in cui si apra il fallimento a carico della società, non necessariamente cessa la realizzazione dello specifico affare, in quanto questo può continuare, non ad opera degli amministratori della società, ma ad opera degli organi della procedura concorsuale, in virtù della separazione patrimoniale quasi perfetta157.

Se si combinano le due norme sopra menzionate, la sorte del finanziamento destinato va a dipendere dall' accertamento dell'esistenza di un eventuale impedimento alla realizzazione dell'affare.

Il contratto di finanziamento si scioglie (ex art. 72 ter l.fall.) solo quando si accerta che il fallimento impedisce la realizzazione oppure la continuazione dell'affare.

Qualora non fosse così, le situazioni che si prospettano sono due: – nel primo caso il curatore, su parere del comitato dei creditori,

può subentrare nel contratto di finanziamento in luogo della società, assumendosene gli oneri relativi e con la permanenza degli effetti della separazione patrimoniale. La decisione relativa alla continuazione o realizzazione dell'affare è affidata, pertanto, alla valutazione discrezionale del curatore, dal momento che il parere del comitato dei creditori è

156 v. BALZARINI - STRAMPELLI, op.cit. 157 Ibidem.

obbligatorio, ma non vincolante. Il curatore potrà , comunque, far cessare in qualsiasi momento la realizzazione dello specifico affare, con la previa autorizzazione da parte del giudice delegato, se si rende conto dell'inutilità del proseguimento dell'affare per la tutela dei creditori;

– nel secondo caso, qualora il curatore non subentri nel contratto, il terzo comma dell'art. 72 ter prevede che il finanziatore può chiedere al giudice delegato di realizzare oppure di continuare l'operazione, magari affidandola a terzi, con il previo parere obbligatorio ma non vincolante del comitato dei creditori.

In questo caso sono fatte salve le disposizioni dell'art. 2447 decies, commi 3, 4, 5, le quali si applicheranno anche a seguito del fallimento.

I proventi che si conseguono dopo la sentenza dichiarativa di fallimento dovrebbero, perciò, spettare al finanziatore secondo la regola generale della separazione patrimoniale.

Se non si realizza nessuna delle due ipotesi, l'art. 72 ter ultimo comma, dispone che si applica il sesto comma dell'art. 2447 decies c.c., cioè si prevede che cadranno i vincoli per i creditori sociali in relazione alle azioni esercitabili per la tutela delle loro posizioni e il finanziatore avrà diritto di insinuarsi al passivo fallimentare. Per recuperare il credito residuo.

L'art. 72 ter della legge fallimentare dimostra che l'art. 2447 decies, sesto comma, ha valore meramente residuale, perchè troverà applicazione solo qualora il curatore o il finanziatore non proseguiranno nella realizzazione dell'affare.

sono già stati contabilizzati ma non ancora distribuiti prima del fallimento, spettano in via esclusiva al finanziatore158.

Questa è l'interpretazione che è stata data dalla dottrina, in quanto non ne sono state ammesse diverse, perchè altrimenti la sorte di tali proventi dipenderebbe dalla possibilità di continuare l'affare e qualora il curatore non subentrasse nel contratto di finanziamento, ciò permettere al fallimento di assimilare i proventi non ancora distribuiti e che avevano già un destinatario.

Per ciò che concerne, in ultima analisi, gli aspetti attinenti alla revocatoria fallimentare, si applicano in caso di fallimento della società, le norme sulla revocatoria degli atti a titolo oneroso, perchè, a parere di una certa dottrina, “la società potrebbe aver vincolato come beni strumentali all'operazione, risorse acquisite senza servirsi del finanziamento destinato159”.

La dottrina in questione non ritiene revocabili i proventi dell'operazione, anche se essi siano già stati corrisposti e che hanno costituito il patrimonio separato.

Tale osservazione muove dal fatto che in primo luogo il finanziatore ha diritto ad insinuarsi al passivo per il credito residuo e, inoltre, il rimborso effettuato con i proventi del finanziamento non può configurarsi come pregiudizievole per gli altri creditori, in quanto non possono vantare alcun diritto in relazione a quelle attività.

Tutto ciò va valutato nell'ipotesi in cui il pagamento avvenga prima della scadenza indicata nel contratto di finanziamento, perchè in questa fattispecie non sembra applicabile l'art. 65 l. fall.

I proventi in questione, potrebbero essere revocati solo in

158 v. BALZARINI e STRAMPELLI, op. cit., in Riv. Soc. 2012. 159 Idem.

conseguenza della revocatoria del contratto di finanziamento, qualora ne ricorrano i presupposti.

La revocatoria fallimentare, invece, colpisce sicuramente:

1) la concessione di garanzia parziale di rimborso rilasciata al finanziatore sei mesi prima del fallimento;

2) i pagamenti parziali effettuati con disponibilità della società, sempre nei sei mesi prima della dichiarazione di fallimento. Ciò è giustificato dal fatto che questi pagamenti non sono un patrimonio separato riservato al finanziatore, ma un pagamento effettuato dalla società fallita e , pertanto, sono lesivi della par condicio creditorum.