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Uno sguardo al passato: ricostruzione ermeneutica con tentativo

3.3. L'incapienza (insolvenza) del patrimonio destinato.

3.4.4. Uno sguardo al passato: ricostruzione ermeneutica con tentativo

di risoluzione dei problemi attinenti alla liquidazione dei creditori particolari.

Si è giunti al punto in cui sono trattati gli aspetti problematici che attengono all'impossibilità di inquadrare un fallimento autonomo del patrimonio destinato, con la conseguente impossibilità di instaurazione di una procedura fallimentare apposita e alla modalità di liquidazione che, a mio parere, non rispetta effettivamente la par condicio creditorum.

A dire il vero, esisteva già (come già accennato sopra), all'interno del primo progetto di riforma fallimentare c.d. Trevisanato, un'applicazione alla società con patrimoni destinati, delle disposizioni sulla procedura di liquidazione concorsuale, limitatamente all'insolvenza dei patrimoni medesimi, con l'attribuzione della gestione e della liquidazione “al curatore o ad un altro soggetto designato dal giudice delegato.

Le disposizioni del successivo disegno di riforma della c.d. “Trevisanato ristretta”, al Capo 3 (che si denominava crisi ed insolvenza dei patrimoni destinati), estendevano alla cellula “ l'applicazione di tutte le procedure concorsuali122.

122 L'articolo 200 afferma che “Le disposizioni sulle procedure di composizione concordata della crisi e di liquidazione concorsuale si applicano anche ai patrimoni destinati ad uno specifico affare limitatamente al caso previsto nell’art. 2447 bis, primo comma lettera a, del codice civile; ove non diversamente disposto dalle norme del presente capo si applicano le disposizioni di cui al Titolo III e al Titolo IV in quanto compatibili (D.d.l. di riforma delle procedure concorsuali redatto dalla Commissione istituita con d.m. 27 febbraio 2004 dal Ministro della Giustizia di concerto con Ministro dell’Economia e delle Finanze,

La relazione generale di accompagnamento dello schema di d.d.l., evidenziava che la liquidazione concorsuale avrebbe riguardato, in questo caso, “un patrimonio in assenza della dichiarazione di insolvenza del soggetto titolare”, cioè per la Commissione si parlava di “fallimento senza il fallito”.

Quest'anomalia, se fosse stata avallata dal legislatore in sede di riforma, sarebbe stata conseguenza della specialità della nuova figura giuridica introdotta dal codice, alla quale la disciplina concorsuale riformata avrebbe fatto fronte.

In caso di insolvenza del patrimonio destinato, e nel permanere delle condizioni per la separazione rispetto al patrimonio della società, la liquidazione di tale patrimonio sarebbe stata attuata, in base alla scelta rappresentata dallo schema, seguendo le regole della concorsualità, affidandola al curatore o ad un altro soggetto designato dal giudice delegato.

Quest'idea costituiva l'applicazione della tesi del “doppio fallimento”,

presentato agli uffici legislativi dei Ministeri deleganti, in Fall., 2004, Supplemento al n. 8, 41 s.). L’art. 202 (intitolato Procedura di composizione concordata della crisi del patrimonio destinato) aggiungeva che “L’iniziativa per l’accesso del patrimonio destinato alla procedura concordata della crisi come regolata dal Titolo III della presente legge spetta alla società. Il piano previsto dall’articolo 16 deve avere ad oggetto la regolazione della crisi limitatamente ai creditori particolari del patrimonio destinato. Se la crisi riguarda la società e anche il patrimonio destinato, devono essere presentate due dichiarazioni; ai fini della regolazione dei rapporti fra la società e il patrimonio destinato, si

applicano in quanto compatibili le disposizioni del Capo I del presente Titolo V”. L’art. 203 (intitolato Procedura di liquidazione concorsuale del patrimonio destinato) sanciva che “L’iniziativa per l’apertura della procedura di liquidazione concorsuale del patrimonio spetta alla società e, se sono stati nominati, agli amministratori preposti al patrimonio, ai terzi che hanno eventualmente effettuato apporti allo specifico affare ed ai titolari di strumenti finanziari di partecipazione all’affare, nonché ai creditori particolari ed al pubblico ministero; l’iniziativa d’ufficio è limitata ai casi indicati nell’art. 41 terzo comma. Ai fini della presente legge, ai componenti degli organi di amministrazione e di controllo della società si applicano le disposizioni che disciplinano i diritti, i doveri e le responsabilità penali del debitore limitatamente ai rapporti inerenti il patrimonio destinato. Il Curatore esercita le azioni di responsabilità nei confronti dei componenti degli organi di amministrazione e controllo della società per i danni arrecati al patrimonio destinato ovvero ai creditori particolari”.

con l'applicazione dell'art. 148 l. fall., con la variante dello “sdoppiamento del soggetto fallito da una parte ed un soggetto in bonis dall'altra”123.

Come già sovente affermato, la legge delega per la riforma del diritto fallimentare, n. 80 del 14 maggio 2005, si è limitata a contemplare la disciplina delle cellule nell'ambito degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti, confermando, che il legislatore non intende (e non ha inteso) introdurre nell'ordinamento introdurre un'ipotesi di fallimento autonomo del patrimonio.

Uno dei fondamentali motivi per cui legislatore non ha dato continuità allo schema della Commissione Trevisanato, deriva dalla già menzionata circostanza secondo cui il patrimonio destinato manca di soggettività giuridica.

C'è, però, in dottrina chi pensa che il legislatore societario, con l'introduzione dei patrimoni destinati, abbia eliminato la concezione classica “soggettività – responsabilità”.

Dando adito a quest'interpretazione, si può constatare che, se la destinazione ad uno specifico affare corrisponde all'esercizio dell'impresa commerciale, e si è in presenza di uno stato di insolvenza, la soggezione al fallimento appare la soluzione più ragionevole.

Ciò comporta che, se non si applicano le norme fallimentari per questo patrimonio, si nega tutela ai creditori particolari, sul profilo della par condicio creditorum124.

A sostegno di questa tesi, si può aggiungere un'altra constatazione,

123 Così SANTOSUOSSO, “Libertà e responsabilità nell'ordinamento dei patrimoni destinati”, in Giur. Comm, 2005, 1, 373.

124 ROCCO DI TORREPADULA. “Patrimoni destinati e insolvenza”, Giur. Comm. Fasc. 1, 2005, il quale sottolinea i vantaggi dell'applicazione in toto , adattata ai patrimoni destinati operativi.

secondo cui, per alcuni, è rilevante l'evoluzione in campo concorsuale che profila una centralità dell'impresa, a scapito di quella che risalta l'imprenditore come unico destinatario degli effetti della procedura125. Merita sottolineare, per questa dottrina, che il legislatore del '42, ha già previsto espressamente un caso di fallimento di un patrimonio destinato all'impresa, pur senza la presenza di un imprenditore: il fallimento dell' imprenditore defunto (art. 11 l. fall.)126.

In ultima analisi, bisogna tener conto dell'osservazione secondo la quale , “l'attività economica del patrimonio destinati avviene con la spendita di un nome particolare, diverso da quello generale della società”127

Da questo punto di vista si può quindi riconoscere nel patrimonio destinato, l'equivalente dell'imprenditore, che esercita l'attività di impresa128.

A questo punto, se si avvalora questa tesi, è inevitabile darne continuità, mediante l'adattamento di un istituto (peraltro già limitatamente richiamato da un autore127, ma non sviluppato) alla

125 VINCRE, op.cit.

126 A sostegno di questa tesi sono: ROCCO DI TORREPADULA, in op. cit. GUGLIELMUCCI, in op. cit.

127 VINCRE, op.cit.; di contrario avviso è MANFEROCE, op. cit.; si veda tuttavia SCHLESINGER, “Patrimoni destinati”, Giur. Comm., 2005, il quale si chiede se si tratti di una figura che ha contenuti esclusivamente oggettivi, “ovvero di un'entità che riveste profili di distinta soggettività”, quesito che l'A. considera “inquietante”, data la particolare incertezza delle nozioni in discussione, anche alla luce del riconoscimento quali soggetti di diritto dei c.d. “enti di fatto”, benché privi di personalità.

128 FERRARA JR., “Gli imprenditori e le società”, sesta edizione., Milano, 1980, 45; GALGANO,” Diritto commerciale, L'imprenditore”, nona edizione, Bologna, 2003, 11; AA.VV. “Disposizioni generali. Dichiarazione di fallimento”, in Commentario Scialoja-Branca. Legge fallimentare, a cura di BRICOLA – GALGANO - SANTINI, Zanichelli - Foro it., 1974, 73; BUONOCORE, in Aa.Vv., “Istituzioni di diritto commerciale”, a cura di BUONOCORE, terza ed.., Torino, Giappichelli, 2003, 11. In relazione alla soggezione al fallimento ABETE, “Note minime in tema di

imputazione dell'attività d'impresa”, in Dir. fall., 2003, I, 1756 ss

127 DE SENSI, “Patrimoni destinati: l'impatto sulle procedure concorsuali”, in Dir. Prat. Soc. , 2004.

fattispecie della liquidazione del patrimonio destinato.

Se, contrariamente a quanto è previsto attualmente, si inserisse il procedimento di liquidazione dell'eredità con beneficio di inventario, come modello a cui far riferimento per la liquidazione dei patrimoni destinati ci si accorgerebbe che i creditori riceverebbero una tutela effettiva sul piano della par condicio creditorum.

In primo luogo, l'art. 498 c.c., prevede il rispetto di termini per la presentazione da parte dei creditori e dei legatari delle loro dichiarazioni di credito (una sorta di domanda di ammissione al passivo), sulla base di un invito spedito dall'erede beneficiato, con raccomandata.

L'art. 499 c.c., sancisce che, una volta scaduto il termine per la presentazione delle dichiarazioni di credito (trenta giorni), l'erede provvede, con l'assistenza del notaio, a liquidare le attività ereditarie facendosi autorizzare alle alienazioni necessarie.

Al secondo comma della norma in questione, viene formato dall'erede, con l'assistenza del notaio, lo stato di graduazione (che corrisponde alla fase di formazione del progetto di stato passivo).

Questo indica con preferenza i soggetti interessati alla liquidazione, tra cui in primo luogo i creditori che hanno diritti di prelazione (in diritto fallimentare, a norma dell'art. 55 i creditori ipotecari, pignoratizi o privilegiati in senso stretto128), in secondo luogo i creditori non aventi diritto di prelazione (i creditori c.d. chirografari). Per ultimi vengono iscritti i legatari, tra cui in ordine verranno soddisfatti precedentemente i legatari di specie, con l'attivo ereditario residuale.

L'art. 500 c.c., per evitare che la procedura rischi di sfociare in termini troppo lunghi, presuppone il rispetto di termini per la liquidazione e la formazione dello stato di graduazione.

Una volta formato lo stato di graduazione, il notaio ex art. 501 c.c., avvisa con raccomandata i creditori e i legatari di cui è noto il domicilio o la residenza.

La procedura di liquidazione termina quando, esaurita la massa di beni ereditari, sono stati soddisfatti secondo l'ordine di graduazione, i creditori ereditari e , se possibile, i legatari.

A norma dell'art. 502 c.c., si potrà dire definitivamente venuto meno, lo stato ereditario dei beni, una volta decorsi tre anni a far tempo da quando sia divenuta definitiva la graduazione.

Questa procedura esplicata sommariamente, dimostra che, con i necessari accorgimenti, sia possibile introdurre una “modalità ibrida di liquidazione” per i patrimoni destinati, senza limitarsi a disporre l'applicazione della liquidazione ordinaria, la quale non contempla l'istituto della graduazione dei crediti.

CAPITOLO 4

Breve panoramica degli ordinamenti stranieri in relazione ad istituti di limitazione della responsabilità.

SOMMARIO: 4.1. Le affinità con l'E.I.R.L. Portoghese. 4.2. Le “protected cell companies”.