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L'insolvenza della società ed effetti sul patrimonio destinato.

Si è visto che, nella fase anteriore alla costituzione del patrimonio destinato, l'opposizione sia lo strumento principale di tutela dei creditori sociali (che fino ad allora rimangono gli unici esistenti). Inoltre, in base ai comuni principi dell'ordinamento e come osservato poc'anzi, si può ritenere applicabile l'azione revocatoria ordinaria di cui all'art. 2900 c.c., come strumento di conservazione patrimoniale invocabile da tutti i creditori, anteriori o non anteriori all'iscrizione, una volta che la separazione risulti definitiva.

Rimane da analizzare l'insieme delle possibilità offerte (e non offerte) ai creditori nella fase dell'insolvenza, nell'ambito dei due possibili scenari:

– nell'insolvenza della società;

– nell'insolvenza del patrimonio destinato il quale, peraltro, verrà analizzato nel successivo paragrafo.

I profili che vengono ivi trattati, concernono le conseguenze

92 MAFFEI ALBERTI, “Dei patrimoni destinati ad uno specifico affare”, Il nuovo diritto delle società, II, art. 2397 – 2451, a cura di MAFFEI ALBERTI, p. 1695

dell'insolvenza della società e i riflessi sui patrimoni destinati da essa costituiti.

La trattazione va svolta alla luce dello schema del D.lgs. recante “ modifiche urgenti alla Legge Fallimentare 16 marzo 1942, n.267”, che ottemperando ai principi della l.delega. n.80/2005, enunciati dall'art. 2, sesto comma, punto 7, di conversione del D.L. 35/2005, per la riforma organica delle procedure concorsuali, ha disciplinato, nell'ottica di modernizzazione di una legge ormai divenuta inadeguata rispetto alle istanze sociali, gli effetti del fallimento (e non anche delle altre procedure concorsuali) della società che hanno istituito patrimoni destinati.

Già prima della riforma delle procedure concorsuali, il legislatore della riforma societaria aveva avvertito la necessità di trattare, seppur minimamente, l' insolvenza della società c.d. gemmata.

Scendendo nel merito della questione, l'art. 2447 novies, ultimo comma, equipara il fallimento della società agli altri casi di “cessazione della destinazione”, che la delibera istitutiva del patrimonio separato può prevedere astrattamente.

In questi casi, si applicano le disposizioni del primo comma (attinenti all'impossibilità di realizzazione dell'affare), senza aggiunte per quanto riguarda i profili conservativi e gestionali del concorso.

I creditori insoddisfatti, inoltre, possono chiedere la liquidazione del patrimonio destinato, ferma restando la priorità riservata ai creditori particolari sui beni di tale patrimonio, nella soddisfazione dei loro crediti (terzo comma della norma summenzionata).

Dall'art. 2447 novies c.c., emergono due dati: il primo è che il fallimento rappresenta una causa di impossibilità di prosecuzione dell'affare; il secondo, sul quale c'è discordanza in dottrina93, è che il

fallimento non fa venire meno il vincolo di destinazione, che permane a favore dei creditori del patrimonio destinato, anche quando si verifica la disgregazione.

L'opzione adottata dal legislatore, risulta talvolta non priva di perplessità, qualora si pensi che la scelta di disgregare i beni non sempre potrebbe essere positiva, soprattutto quando l'affare appare proficuo.

Ciò arrecherebbe un danno, sia ai creditori particolari, anche alla società che si sia riservata dei profitti sullo stesso94.

Oltre alla personale contrarietà della scelta del legislatore della riforma societaria, prima della riforma delle procedure concorsuali ci si chiedeva a quale forma di liquidazione il legislatore si riferisse nella norma relativa95, come tale liquidazione si inseriva nella procedura collettiva e chi era competente ad eseguirla.

Questi erano i tre interrogativi che si poneva la dottrina la quale, in sede di riforma societaria, aveva proposto varie interpretazioni.

In particolare, prendevano in considerazione un patrimonio del tipo “a” e i beni che ne facevano parte; dopodiché, verificatasi l'ipotesi di fallimento della società, si chiedevano se tali beni dovevano essere ricompresi nella massa fallimentare, a seguito della sentenza

94 COMPORTI, “Art. 2447 – bis”, La riforma delle società, la società per azioni, a cura di SANDULLI. e SANTORO., Torino, 2003 in cui si afferma che “il legislatore avrebbe potuto anche prevedere la continuazione dell'attività legata al patrimonio di destinazione: la scelta normativa fatta penalizzerebbe di fatto in modo eccessivo gli ereditari del patrimonio ed anche i soci e i terzi finanziatori, che potrebbero trarre vantaggio dalla prosecuzione dell'attività inerente ad una cellula sana e comunque separata dalla società”. V. anche FAUCEGLIA. “I patrimoni destinati ad uno specifico affare”, Fallimento, 2003, che critica la conclusione per cui il fallimento comporta la liquidazione automatica del patrimonio, preferendo ritenere che, qualora non vi sia insolvenza in relazione all'affare, gli organi fallimentari potrebbero addivenire alla destinazione di proseguire l'affare stesso (con attribuzione dei poteri gestori al curatore fallimentare).

95 Il testo originario dell'art. 2447 novies, terzo comma, riferiva che “nel caso in cui non siano integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte per lo svolgimento dello specifico affare a cui era destinato il patrimonio, i relativi creditori possono chiedere la liquidazione con (...)”, senza specificare il tipo di liquidazione a cui faceva riferimento, con conseguente incertezza in dottrina.

dichiarativa di fallimento.

In caso di risposta affermativa, cercavano di trovare una soluzione circa la tipologia di liquidazione a cui dovevano essere assoggettati. In relazione al primo punto (e cioè se i beni dovevano essere appresi al fallimento), si era escluso che tali beni venissero ricompresi nella procedura fallimentare della società, a meno che, anche il patrimonio separato non fosse stato insolvente.

Altri autori affermavano che il fallimento, come causa di cessazione dell'affare, alla stregua delle altre cause di cui all'art. 2447 novies, quarto comma, faceva venire meno la destinazione patrimoniale. Ciò comportava l'apprensione dei beni alla massa fallimentare, la confusione con il patrimonio generale e sottoposizione alla liquidazione concorsuale.

Ad oggi, la norma succitata, non ha assecondato nessuna interpretazione su esposta.

Il legislatore è, infatti, intervenuto diversamente, con l'articolo 20 del d.lgs. 28 dicembre 2004 n. 310, apportando una modifica al secondo comma, ultima parte dell'articolo, introducendo l'inciso “in tale caso (e cioè in caso di fallimento della società e di cessazione della destinazione) si applicano esclusivamente le disposizioni sulla liquidazione delle società di cui al capo VIII del presente titolo, in quanto compatibili96.

Qui si noti come il legislatore, fa salvi i diritti dei creditori secondo il regime della separazione patrimoniale ex art. 2447 quinquies c.c.

96 FIMMANO'. “La sorte dei patrimoni destinati nel fallimento di S.p.a.”,

www.fallimentoonline.it, dove afferma che la versione novellata del secondo comma dell'art. 2447 novies, c.c. conferma la necessità di un giudizio di

compatibilità tra le regole specifiche di liquidazione della cellula, regole comuni di liquidazione della società di capitali, in quanto applicabili e regole inderogabili della liquidazione concorsuale. D'altra parte se il legislatore avesse voluto considerare il fallimento una causa di cessazione necessaria dell'affare, l'avrebbe espressamente detto e non si sarebbe limitato a sancire che “in tali ipotesi (quelle previste nella delibera) ed in quella di fallimento si applicano le disposizioni del presente articolo.

La precisazione del legislatore non è stata superflua, ma diretta a giustificare il tipo di liquidazione previsto in caso di fallimento della società.

Ciò, per l'appunto, escluderebbe la possibilità di far rientrare i beni del patrimonio separato nella liquidazione concorsuale del patrimonio sociale.

Tale circostanza, si badi, comporta un'ulteriore garanzia per i creditori particolari.

La dottrina che ha delineato l'impostazione di cui sopra, afferma97 che il richiamo all'ultimo comma dell'art. 2447 novies, c.c. “ai commi precedenti”, non dev'essere letto nel senso che con la procedura fallimentare si apre la liquidazione dei beni destinati: perchè altrimenti vi sarebbe incompatibilità con il principio della prevalenza delle regole concorsuali rispetto alla procedura liquidatoria.

Il richiamo deve essere letto, infatti, solo in riferimento al mantenimento della garanzia dei creditori sui beni del patrimonio destinato.

L'interpretazione maggiormente corretta, per tale dottrina, è che tale richiamo sia una manifestazione della volontà del legislatore di risaltare, oltre che la tecnica e le modalità di liquidazione, soprattutto il principio della liquidazione separata dei beni destinati al singolo affare per il soddisfacimento delle obbligazioni relative allo stesso98. Questo principio che si desume dalla norma, non rileva tanto in sede di liquidazione in senso proprio, tenuto conto che questa nel fallimento seguirà comunque la procedura stabilita nell'art. 104 l.fall. (potrà essere continuato l'esercizio provvisorio, con rendicontazione semestrale da parte del curatore).

97 Ibidem.

98 Questa tesi è più conforme all'ordinamento anche se il riferimento concettuale ad una “liquidazione separata dei beni destinati”, può aprire scenari diversi., FIMMANO', op.cit.

Perciò, liquidato l'attivo, la ripartizione del ricavato, ex art.110 e ss. l.fall., della vendita dei beni antecedentemente compresi nel patrimonio destinato, deve essere necessariamente attuata al fine di realizzare il soddisfacimento dei diritti dei creditori particolari per le obbligazioni contratte dalla società fallita nello svolgimento dell'affare99.

La liquidazione del patrimonio destinato, appartenente alla S.p.a. fallita, ad opera del curatore, quindi, avviene secondo le regole previste per la liquidazione della società di capitali “applicabili in quanto compatibili”, perciò richiamando i criteri espressamente previsti dall'art. 2487, primo comma, lett. c), anche mediante l'esercizio provvisorio dell'affare100, al fine di realizzare al meglio

99 Si noti che l'art. 208 del precedente schema di D.d.l. Trevisanato, (intitolato “responsabilità della società per debiti del patrimonio destinato”) sanciva che “i creditori particolari del patrimonio destinato possono presentare domanda ai sensi dell'art. 133 nella procedura di liquidazione della società, nei casi previsti dall'art. 2447 quinquies quarto e quinto comma del codice civile e partecipano al concorso secondo l'ordine di cui all'art. 154”. Di fondamentale menzione è anche l'art. 204 (intitolato: violazione della separatezza patrimoniale”) il quale aggiungeva che: “se dopo la costituzione del patrimonio destinato, sono fraudolentemente violate le regole di separatezza fra più patrimoni destinati costituiti dalla società e fra il patrimonio destinato e il patrimonio della società, quest'ultima ed i suoi amministratori rispondono illimitatamente per tutte le obbligazioni sorte con riferimento all'affare oggetto del patrimonio destinato, le cui regole di separatezza risultano violate”.

100 v. per quest'ipotesi, FIMMANO', op.cit., il quale sostiene che legislatore parla di “esercizio provvisorio”, quindi è necessario interrogarsi sul valore da attribuire al concetto di “provvisorietà” ed in particolare sull'ambito temporale nel quale può spaziare il detto esercizio. Tale ambito temporale può essere stabilito

specificamente oppure ancorato ad un determinato evento costituito, ad esempio, dall'esecuzione di un contratto o di un affare, oppure, ancora, dalla ricerca di un potenziale acquirente dell'azienda e così via. Il riferimento temporale potrebbe essere anche superiore ad un esercizio come si desume implicitamente dal fatto che i bilanci di liquidazione devono dare conto separatamente in termini di rappresentazione contabile, della situazione differenziata. L'art. 2490, quinto comma, c.c. recita infatti: “quando sia prevista una continuazione, anche parziale, dell'attività di impresa, le relative poste di bilancio devono avere un'indicazione separata..”. La provvisorietà, tuttavia, è sempre necessaria in quanto insita nel fatto che la gestione debba essere limitata ad un periodo di tempo utile e circoscritto ad una rapida liquidazione visto che questa deve chiudersi nel minore tempo possibile. Tale circostanza impone un limite all'operato del curatore – liquidatore che, se da una parte può compiere qualsiasi atto di valorizzazione dell'azienda, dall'altro non può impegnarsi in

l'alienazione forzata del patrimonio separato, composto da attività e passività, ovvero la liquidazione frazionata od in blocco di beni o diritti.

È in sede di ripartizione del ricavato che, in ogni caso, rispetterà le regole della separazione, con i limiti previsti dalla disciplina delle destinazioni, e quindi sarà diretta prima a soddisfare integralmente le ragioni dei creditori dell'affare e per l'eccedenza rientrerà nella massa per seguire le regole ordinarie del concorso.

In altre parole, il fallimento non rende impossibile la prosecuzione dell'affare che potrà essere continuato, in funzione e nei limiti del migliore realizzo e, al tempo stesso non genera la cessazione della separazione, almeno fino a quando non siano stati integralmente soddisfatti tutti i creditori particolari.

Nel caso in cui l'attivo della cellula sia incapiente, i creditori particolari potranno insinuarsi nell'attivo generale solo se la delibera istitutiva prevede in via convenzionale la responsabilità sussidiaria della società, ovvero la responsabilità da fatto illecito, o da mancata spendita del nome dell'affare.

3.3. (Segue) Peculiarità specifiche sull'attività espletata dal curatore

programmi di lungo periodo, salvo che questi servano a valorizzare il complesso aziendale nella consapevolezza di un'imminente cessione dello stesso.

L'indicazione in esame costituisce, quando la società è in bonis, una istruzione che i soci attribuiscono ai liquidatori e che questi sono tenuti a rispettare, sicché si pone in tema di rapporti tra i soci ed i liquidatori, l'indagine in merito alla natura vincolante delle cosiddette “istruzioni”. In questi termini allora, nel caso in cui i liquidatori abbiano ricevuto l'indicazione precisa di dover continuare l'attività di impresa, devono attenersi a tale istruzione nei limiti sancita dalla delibera o dall'atto costitutivo, salvo che l'indicazione non travalichi i limiti imposti dalla legge per cui essi assumeranno il potere – dovere di impugnare la delibera. In tal caso i liquidatori sono tenuti ad attenersi a quanto stabilito dai soci in merito ai criteri in ragione dei quali svolgere la liquidazione, compresa la continuazione dell'attività di impresa e a procedere, con quelle determinate modalità, alla liquidazione del patrimonio. Le indicazioni di cui all'art. 2487, lett e), c.c. sono per gli stessi vincolanti, nei limiti della legalità ossia nei limiti in cui non violino i precetti imperativi.

dopo l'apertura della procedura concorsuale a carico della società. L'impostazione complessiva è contenuta nell'articolo 155 l. fall. Il quale recita che “Se è dichiarato il fallimento della società, l’amministrazione del patrimonio destinato (…) è attribuita al curatore che vi provvede con gestione separata. Il curatore provvede a norma dell’art. 107 alla cessione a terzi del patrimonio al fine di conservarne la funzione produttiva. Se la cessione non è possibile, il curatore provvede alla liquidazione del patrimonio secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili. Il corrispettivo della cessione al netto dei debiti del patrimonio o il residuo attivo della liquidazione sono acquisiti dal curatore nell’attivo fallimentare, detratto quanto spettante ai terzi che vi abbiano effettuato apporti, ai sensi dell’art. 2447-ter, primo comma, lettera d) del codice civile”.

Una volta aperta la procedura concorsuale, avviene quindi, lo spossessamento dell'imprenditore, con il conseguente passaggio dell'amministrazione del patrimonio dall'organo amministrativo al curatore fallimentare.

Egli potrà decidere se procedere alla gestione separata, con l'eventuale prosecuzione dell'affare, o con l'esercizio provvisorio, secondo le regole stabilite dall'articolo 104 l.fall101, oppure, ancora, con la cessione a terzi del patrimonio a norma dell'art. 107 l fall.

Peraltro, ci sono autori102, che parlano di “amministrazione del patrimonio destinato”, anziché di svolgimento dello specifico affare,

101 In questo senso v. CIAMPI, “Patrimoni e finanziamenti destinati in rapporto con le regole del concorso fallimentare”, Soc., 2004, per cui il fallimento della società, non comporta necessariamente l'immediata liquidazione dei beni che fanno parte del patrimonio destinato, dal momento che questi ultimi possono costituire oggetto di esercizio provvisorio disposto dal tribunale fallimentare. 102 Cft. COMPORTI, “Articolo 155”, Commentario alla legge fallimentare, a cura di

con ciò deducendo che al curatore spetterebbe solo l' “amministrazione conservativa del patrimonio”, preservando da un lato la separazione di esso e dall'altro la sua funzione produttiva.

Tale orientamento, inoltre, considera come non rientranti tra i compiti del curatore, quello della continuazione dello svolgimento dell'affare, con le modalità dell'esercizio provvisorio.

Quest'affermazione è giustificata dall'assunto del secondo comma dell'art. 155 l.fall. “dove è demandato al terzo, cessionario del patrimonio, la prosecuzione dell'attività in modo tale da conservare la funzione produttiva del patrimonio”.

Sulla base di ciò, si può parzialmente condividere quanto sopra detto, però comunque, non si vede perchè il curatore non possa, oltre ad attuare una “conservazione dinamica con un'attività funzionale alla cessione a terzi per la salvaguardia della funzione produttiva della cellula”, anche e soprattutto, iniziare “in via temporanea e nell'interesse della più proficua realizzazione dell'attivo una gestione provvisoria prevista dall'art. 104 e 104 bis, l.fall.”103.

Personalmente, condivido maggiormente quest'ultima interpretazione, perchè favorisce una concreta possibilità di ripresa dall'insolvenza104.

L'esercizio provvisorio, inoltre, affonda le sue radici soprattutto su un'esigenza di trasparenza, dato che il curatore deve ogni sei mesi redigere un rendiconto da sottoporre all'approvazione del giudice delegato e al comitato dei creditori.

103 FIMMANO'., “Insolvenza della SPA ed incapienza dei patrimoni destinati”, il caso.it., 2007.

104 Per un'analisi attenta dell'esercizio provvisorio si veda, in particolare,

CECCHELLA., “Il diritto fallimentare riformato”, Il sole 24 ORE S.p.a., 2007, P. 172 che afferma che “l'esercizio provvisorio si fonda sulle potenzialità di ripresa dell'impresa, a prescindere dalla sua liquidazione in tutto o in parte e che possono costituire, in alternativa a quelle liquidatorie, finalità del fallimento come anche delle procedure volontarie”.

Per ciò che concerne la posizione di terzi che hanno effettuato apporti nel patrimonio destinato, a titolo partecipativo (con gli strumenti finanziari), questi verranno rimborsati “esattamente come avviene per i soci per i conferimenti a seguito della liquidazione della società105.