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La conservazione delle opere d’arte digitali: lo storico caso di Äda'web (1994 1998)

Settembre 8-10, 1997, Modern Art: Who Cares?, Foundation for the Conservation of Modern Art, Amsterdam

14 febbraio 2005, Preservation and/or Documentation, conferenza al Netherland Media Art Institute Amsterdam

2.8 La conservazione delle opere d’arte digitali: lo storico caso di Äda'web (1994 1998)

Dal momento in cui i musei internazionali hanno cominciato a collezionare opere di Digital Art, sono seguiti i problemi legati alla conservazione e alla trasmissione al futuro. Come già detto prima (si veda il paragrafo 2.4) la Digital Art è l’arte creata attraverso il computer, in formato digitale che utilizza i software messi a disposizione dalle nuove tecnologie per farne supporto o strumento per la presentazione dell’opera stessa. Con la rivoluzione delle telecomunicazioni e l’avvento di Internet, la produzione di questa tipologia di opere si è moltiplicata, e nel 1995 l’otto per cento di tutti i siti erano realizzati da artisti, a dimostrazione che la prima fase di diffusione di questo nuovo medium è passata tra le strette maglie della creazione artistica. Le piattaforme on line Nettime e Rhizome.org hanno indirizzato questo fenomeno oltre Internet, sostenendolo come fenomeno economico e sociale, e proprio grazie al loro sostegno dei primi anni, la Digital art si è affermata come strumento culturale e linguaggio artistico, a tutti gli effetti. Considerando che la Digital Art oggi fa parte dei linguaggi artistici, tanto quanto quelli tradizionali, le problematiche relative alla conservazione sono diventate oggetto di studi e ricerche internazionali. In un arco temporale piuttosto breve uno dei casi esemplari di conservazione di opere di Arte Digitale è il progetto Äda'web (1994-1998). Il progetto nasce nel 1994 per iniziativa di un imprenditore (John Borthwick) e di un giovane curatore (Benjamin Weil), Äda'web è stata definita una sorta di "fonderia digitale": un laboratorio in grado di offrire a un artista i mezzi tecnici ed economici per tradurre le sue idee in siti web, producendo lavori d’arte, ma allo stesso tempo in grado di esprimere in rete una relazione attiva con gli utenti del web, un progetto aperto anche ai “non addetti” ai lavori.71 Il merito storico di Äda'web è stato quello di richiamare l'attenzione delle istituzioni e della critica su una pratica artistica relativamente ghettizzata: per la sua nascita recente, per oggettivi

71 äda'web riesce a sopravvivere per quattro anni, e nel 1998 è il primo sito ad entrare nella collezione di un

museo di arte contemporanea. Questa vicenda ha ovviamente favorito enormemente il processo di storicizzazione della Net Art. Nei suoi quattro anni di attività, äda'web ha prodotto e ospitato lavori di artisti in rete, collaborando con riviste e istituzioni, come il MoMA. I progetti prodotti dalla 'foundry' si organizzano in due sezioni fondamentali: “project” e “influx”. La prima ospita progetti online, mentre la seconda propone lavori che fanno parte di progetti più complessi, che si sviluppano on- e off-line. Il primo progetto prodotto è

stato, nel 1995, Please Change Beliefs di Jenny Holzer

(http://adaweb.walkerart.org/project/holzer/cgi/pcb.cgi). L'artista concettuale, che lavora con il linguaggio proponendo i suoi truismi (verità lapalissiane e pillole di saggezza recuperate dalla letteratura, dalla tradizione popolare o dalla sua fantasia) nello spazio pubblico attraverso manifesti, sticker, LED luminosi e grandi pannelli, decide di invadere un nuovo spazio pubblico, quello della rete, e lo fa in 2 modi: disseminando su siti diversi le sue frasi come link al progetto, 'inventando' di fatto la forma del banner, e permettendo agli utenti che visitano il suo sito di modificare, commentare e votare i truismi. In questo modo le sue frasi tornano al mondo da cui provengono, con un bagno rigenerante nel mondo della 'invenzione collettiva' che, a dire dell'artista, ha aggiunto al suo repertorio nuovi, interessanti contributi. http://adaweb.walkerart.org/

problemi di presentazione in luoghi pubblici, ma anche, soprattutto in Europa, per una volontaria, orgogliosa segregazione, o addirittura un esplicito rifiuto delle dinamiche del sistema dell'arte. Äda'web si è assunta il difficile compito di mediare tra i due mondi, e l'ha fatto attirando in rete artisti attivi in altri contesti, il cui lavoro si era già conquistato un ruolo nella storia dell'arte contemporanea, come Lawrence Weiner, Jenny Holzer, Antoni Muntadas. In questo modo, ha accelerato i tempi di un riconoscimento istituzionale della Net Art: un riconoscimento sanzionato, al momento della sua chiusura, dal suo ingresso nelle collezioni del Walker Art Center di Minneapolis. Ovviamente, l'importanza e l'esemplarità di Äda'web non si esauriscono qui. Cronologicamente, la vicenda di Äda'web copre un arco temporale decisivo, che va dalla nascita della Net Art al suo riconoscimento istituzionale. Entrando poi nella collezione di un museo, la foundry in questi anni ha svolto un ruolo da protagonista, avendo avuto il merito di diffondere e consentire l’affermazione di una nuova operatività artistica in rete. In quest’ottica ha portato alla luce la complessità del rapporto tra Net Art, istituzioni pubbliche, e il problema maggiore della conservazione della Net Art, in quanto arte effimera. La storia insegna che un nuovo mezzo espressivo viene in un primo momento analizzato nel suo specifico tecnologico, quindi accolto “semplicemente come un altro medium”. Äda'web fin dall’inizio ha manifestatamente cercato una mediazione tra mondo dell'arte -tradizionale- e mondo della Net Art, tra coloro che sperimentano il medium, giocando con le sue possibilità e con i suoi limiti, e chi lo adotta semplicemente (previa assistenza tecnica). Il progetto Äda'web ha compiuto un nuovo approccio all'economia dell'arte in rete, poiché ha definitivamente scardinato la secolare forma di compravendita del sistema dell’arte, gettando le basi per affrontare una problematica, oggi non ancora risolta. Infine, Äda'web inaugura, assieme a poche altre realtà, come il Dia Center of the Arts e Stadium, Äda'web ha affrontato per la prima volta il problema di una possibile azione curatoriale in rete, proponendo soluzioni spesso non ripetibili in contesti diversi, ma che certamente hanno contribuito alla formazione di una nuova figura professionale. Dopo alcuni anni l’esperienza di Äda'web si è conclusa a causa della mancanza di fondi messi a disposizione dal Walker Art Center. Come scrive Domenico Quaranta: “Nel 2003, per una serie di motivi molto diversi (la crisi della new economy, l'indebolirsi del mito della rete, la crisi economica mondiale, e forse la persistente sottovalutazione del settore new media, da perseguirsi solo in periodi di 'vacche grasse'), molti musei americani hanno ridotto al minimo il loro impegno in questo settore, fino al caso clamoroso del Walker Art Center, che ha interrotto le attività della Gallery 9, licenziando in tronco Steve Dietz, curatore della sezione new media e promotore di quella

straordinaria fase che ha avuto nell'acquisizione di Äda'web il suo momento centrale. E questo senza che altre istituzioni intervenissero a raccoglierne il testimone.”72

Una delle interfacce di Äda'web (1994-1998)

Come afferma Jon Ippolito, in un’intervista realizzata recentemente proprio da Domenico Quaranta: “Senza dubbio Äda'web è stata, e rimane ad oggi, la prima e più importante piattaforma per i lavori di Net Art prodotti nel corso della metà degli anni Novanta.”73 In ogni caso è bene ricordare che la modalità con la quale il Walker Art Center ha collezionato il progetto è stato assolutamente pionieristico, soprattutto il momento storico intorno alla metà degli anni Novanta, quando la New Media Art era un linguaggio ancora quasi sconosciuto dalla maggior parte del pubblico, col quale le istituzioni e i musei d’arte contemporanea non si erano mai confrontati, soprattutto in relazione alle problematiche conservative poste in essere dalla stessa natura effimera. Sempre a questo riguardo Jon Ippolito risponde che “Mentre altri curatori toglievano le mani dall’incubo dell’archiviazione dei media digitali, Steve Dietz, l’architetto del Walker's Digital Study Collection, si è calato in questo abisso, riemergendo con una perla. Ovviamente, per lui sarebbe stato ottimo realizzare con tutti gli artisti delle interviste basate sulla modalità del Variable Media Approach, bisogna ricordare che uno dei motivi ispiratori del Variable Media Network è stato proprio il problema che si è presentato a Steve. Nel campo della New Media Art, si impara facendo e Steve Dietz è stato il primo a farlo con assoluta consapevolezza.”74

72 Per la ricostruzione della storia del progetto si veda Domenico Quaranta, NET ART 1994 - 1998. La vicenda

di Äda’web, Vita & Pensiero, collana “Strumenti”, Milano 2004.

73 Cfr. Leaping into the abyss and resurfacing with a pearl. Interview with John Ippolito, di Domenico Quaranta, in http://www.noemalab.org/sections/specials/net_art_bioart/ippolito.html

Gia nel paragrafo 2.4 si è parlato del progetto Rizhome ArtBase e dell’importanza che questa piattaforma ha nell’ambito della conservazione di progetti di arte digitale. Rhizome ArtBase nasce nel 1999 come archivio on line di progetti di New Media Art, per un totale di 2.120 opere d’arte, in continuo aumento. ArtBase racchiude un’ampia gamma di progetti di artisti di tutto il mondo che utilizzano materiali che includono software, codici, website, immagini in movimento, giochi e browser con finalità estetici e critici. Il sistema con il quale vengono selezionati i lavori prevede la presentazione allo staff curatoriale di ArtBase, che decreta mensilmente l’immissione nell’archivio delle opere. Uno dei principali obiettivi di ArtBase è quello di provvedere alla conservazione delle opere e di garantire una totale accessibilità ai progetti di New Media Art. Poiché uno dei maggiori problemi in futuro sarà quello di come far girare i vecchi software o i documenti prodotti dentro nuovi sistemi, tra le attività di ArtBase una delle priorità affrontate è la conservazione delle opere digitali. ArtBase sostiene che una delle strategie migliori per ottenere dei risultati in futuro è la pratica dell’emulazione, adottando sostanzialmente l’approccio indicato dal Variable Media Network. Uno dei casi di studio più interessanti riguardo la conservazione di un’opera d’arte digitale è quello del progetto net.flag (2002) dell’artista americano Mark Napier. Il lavoro di Napier è stato commissionato dal Guggenheim Museum di New York con lo scopo di creare un “territorio geografico” e di appartenenza su Internet, attraverso la partecipazione di gente di varia provenienza, religione e ideologia. Gli utenti possono contribuire alla creazione di una loro bandiera, manipolandone i colori, i simboli, i campi. L’opera net.flag raccoglie una “browse history” che permette di visualizzare la cronologia di interventi avvenuti nell’opera. net.flag è stato esaminato come caso di studio da Jon Ippolito e pubblicato nel testo Permanence Through Change. The Variable Media Approach (Guggenheim Museum Publications, 2003). Nell’intervista di Ippolito a Mark Napier, l’artista spiega il significato dell’opera, la sua identità, le modalità di utilizzo e risponde alle domande che riguardano i metodi di documentazione e conservazione dell’opera. In un passaggio significativo l’artista dichiara: “Ho sempre pensato a net.flag come ad un pezzo unico. Non deve essere limitato in termini di database sincronizzati -chissà cosa accadrà nella tecnologia? Come Jeff Rothemberg ha detto, è un argomento logico. Se tu crei l’illusione attraverso il software che c’è solo un lavoro unico in Internet, allora ci sarà un lavoro unico in Internet”.75

CAPITOLO III

L’approccio alla conservazione e alla documentazione della New Media Art dei principali musei internazionali

3.1 Istituzioni e progetti per la ricerca di strategie e strumenti di conservazione e