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I musei e le istituzioni internazionali d’arte contemporanea negli ultimi dieci anni hanno progressivamente incrementato le loro collezioni includendo un’ampia varietà di opere d’arte di New Media Art. In particolare, in occasione di alcuni eventi d’arte contemporanea di livello internazionale, come le ultime due edizioni di Documenta a Kassel e le varie Biennali sparse per il mondo, la New Media Art si è affermata rapidamente, fino ad avere quasi una predominanza su altri linguaggi artistici, che utilizzano supporti tradizionali. Questo sviluppo ha dimostrato d’altra parte che le istituzioni pubbliche non erano sufficientemente preparate ad approntare le condizioni necessarie per la documentazione, la conservazione, come anche la presentazione e il mantenimento di opere d’arte che utilizzano supporti tecnologici variabili. Tanto meno i profili professionali dei conservatori, degli storici dell’arte o degli stessi curatori museali mostrano spesso l’inadeguatezza nel prendersi cura di questa nuova categoria artistica, potendo fare forza solo sulle proprie conoscenze tradizionali. Il fatto che la New Media Art utilizzi “il tempo” come struttura estetica - tanto da adottare la definizione inglese Time-based Media Art - costituisce un altro aspetto di grande interesse nel dibattito, poiché la New Media Art ha scardinato, e più spesso messo in crisi, i tradizionali impianti teorici, imponendo una nuova modalità di interazione tra l’opera, il museo, il curatore o il conservatore che infine è colui che ha il compito di garantire l’originalità dell’opera attraverso la sua corretta presentazione, documentazione e conservazione. Non ultima la necessità di utilizzare nuovi parametri di lettura sia pratica che teorica rappresenta un argomento estremamente interessante, a cui musei e istituzioni pubbliche stanno dedicando una grande attenzione.

Ad esempio, il deposito di dati della New Media Art (videocassette, film, nastri magnetici, video, laser-disc, CD-ROM, DVD, etc.) come anche la presentazione tecnologica (su monitor, su schermo video o LCD, su proiezione, etc.) dipendono entrambi dal rapido sviluppo dei dispositivi tecnologici, e impongono un continuo aggiornamento. Queste strategie conservative sono generalmente condivise, meramente per ragioni di ordine pratico, date dal rapido decadimento fisico dei supporti analogici e digitali, che impongono

un continuo aggiornamento dei formati, come nel caso dei supporti analogici, la cui esistenza oscilla tra i 7 e i 10 anni.

Ciò che manca, e che invece è oggetto prioritario del dibattito internazionale è sostanzialmente la mancanza di strategie generali, di principi teorici e linee guida, condivisi da tutti i musei. L’urgenza quindi di sviluppare un dibattito attraverso la partecipazione di numerosi musei, come la necessità di creare un net-work internazionale per l’accrescimento teorico di questi temi, dimostra l’enorme interesse scaturito attorno alla New Media Art in questi ultimi anni.

Alcune videoinstallazioni ambientali di artisti come Stan Douglas, Gary Hill, e di molti altri artisti che realizzano complesse installazioni multimediali, dipendono fondamentalmente dalle tecnologie utilizzate. Nel caso di Gary Hill i tubi catodici hanno una duplice valenza: da un lato permettono la trasmissione dell’immagine video, dall’altro possiedono una valenza scultorea, che è intrinsecamente legata all’idea creativa che caratterizza tutta l’opera dell’artista.1

Anche la Software Art e la Net Art, linguaggi che il mondo dell’arte ancora fatica ad accettare del tutto, come i primi lavori di uno dei pionieri della Net Art JODI sono seriamente a rischio di scomparire a causa del rapido sviluppo commerciale di nuovi browser e nuove versioni di software che rendono inutilizzabili i vecchi sistemi. JODI è una collaborazione tra i due artisti olandesi Dirk Paesmans e Joan Heemskerk, che hanno lavorato per circa cinque anni, realizzando progetti unicamente su Internet. Dopo aver lasciato l’Olanda ed essersi trasferiti a Silicon Valley, in California per “visitare il posto dove viveva Netscape”2, si sono trasferiti a Barcellona. Con atteggiamento di sfida, ma

soprattutto di contestazione verso un certo, fittizio, sviluppo tecnologico il sito web di JODI è realizzato con una grafica obsoleta, dove sul fondo nero appare un codice scritto in verde, così come erano le “vecchie” interfacce dei primi computer. L’utente immediatamente si domanda se il proprio computer sia stato infettato da un virus o se lo schermo del computer sia danneggiato, provocando quindi una reale sensazione di panico. Ciò che JODI mostra, con questa tipologia di lavoro, è l’attitudine comune a trasferire empaticamente sulle tecnologie un atteggiamento di “umanità”, che spesso è causa di scelte

1 A proposito del carattere scultoreo dell’opera di Gary Hill (1951) e delle problematiche legate alla

documentazione e alla conservazione delle sue installazioni, si rimanda all’articolo di Pip Laurenson, Developing

strategies for the Conservation of Installations incorporating Time-based media with reference to Gary Hill’s Between Cinema

and a Hard Place, in JAIC, n.40, 2001, p.259-266. L’articolo è illuminante poiché, nell’analisi del caso di studio dell’opera di Hill, rivela che l’approccio adottato dalla Tate Gallery di Londra si fonda essenzialmente sul rispetto dell’intento dell’artista, come fonte imprescindibile per la pratica conservativa dell’opera.

2 Cfr. Gregor Muir, Past, Present and Future Tense, in Leonardo, vol. 35, n. 5, MIT Press, Cambridge 2002, pp.

sbagliate sulla gestione e anche sulla conservazione dei dispositivi stessi. Citando Alex Gallowey, “ JODI is the Web site that makes you wonder if your computer is broken” (“JODI è il sito web che ti fa pensare che il tuo computer sia rotto”). 3

Due interfacce di progetti di Net Art di JODI su Internet

Il problema della rapida obsolescenza delle nuove tecnologie è, in effetti, un argomento centrale nel dibattito sulla conservazione e sulla documentazione della New Media Art, che ha sollecitato la ricerca di nuove strategie alternative alle tradizionali modalità conservative. Pertanto, allo scopo di garantire un’adeguata presentazione nel futuro della New Media Art, è necessaria un’attenta opera di documentazione, come anche di accessibilità alla documentazione, che permetta cioè di conoscere e registrare le caratteristiche appartenenti alla sfera fisica, come a quella concettuale dell’opera d’arte variabile. Questo aspetto rappresenta una sfida per musei e istituzioni che oggi si occupano sempre più assiduamente di conservazione, e che hanno come scopo istituzionale quello di garantire la trasmissione e la fruizione dell’opera alle generazioni future. La ricerca sta tentando di immaginare nuove modalità pratiche e teoriche in grado di tutelare prima di ogni cosa l’originalità dell’opera, che è l’aura di Walter Benjamin, e la stessa unità potenziale di Cesare Brandi, in cui risiede la singolarità e l’unicità dell’opera d’arte. Bisogna peraltro tenere in considerazione che la ricerca degli standard internazionali per la documentazione delle opere di New Media Art sta procedendo allo scopo di garantire la più ampia accessibilità, e allo stesso tempo, per assicurare una maggiore flessibilità nel rispetto delle necessità specifiche di un’opera di New Media Art. Nell’ottica della conservazione, i problemi che riguardano la presentazione, la documentazione e la conservazione appaiono piuttosto complessi, poiché nella maggior parte dei casi essi dipendono dalle caratteristiche fisiche o tecnologiche del supporto e dei materiali , che per la loro ampia variabilità, rendono impossibile l’applicazione di un criterio generale. A questa considerazione bisogna aggiungere che nella maggior parte delle

metodologie conservative in uso da parte di istituzioni internazionali, la pratica del caso per caso sembra essere l’unica via da percorrere per l’individuazione delle strategie di intervento conservativo. A questo riguardo, i principi teorici espressi nella Teoria del restauro di Cesare Brandi e la metodologia del caso per caso possono costituire, non solo in ambito italiano, ma auspicabilmente a livello internazionale, uno strumento teorico per la scelta dei metodi applicativi alla conservazione delle opere d’arte che utilizzano supporti non tradizionali. Negli ultimi anni dieci anni, le istituzioni, le iniziative, le conferenze che si sono svolte in Europa, negli Stati Uniti e in Canada hanno permesso di individuare alcuni temi principali - ad esempio la strategia della documentazione come atto di conservazione preventiva - ma rimane un problema l’individuazione di un modello strategico condiviso, come strumento scientifico per tutti quei musei e istituzioni che operano quotidianamente con la New Media Art.4 Esistono strutture nate per creare network di comunicazione tra le varie

istituzioni. Ad esempio, come si vedrà più avanti, l’INCCA-Internazional Network for the Conservation of Contemporary Art e il DOCAM Project rappresentano le principali piattaforme internazionali per lo scambio, la condivisione e la realizzazione di ricerche dedicate alla conservazione dell’arte contemporanea, in particolare per le opere di New Media Art.