• Non ci sono risultati.

i Limiti e aperture della Teoria di Cesare e Brandi in rapporto alla New Media Art

Settembre 8-10, 1997, Modern Art: Who Cares?, Foundation for the Conservation of Modern Art, Amsterdam

14 febbraio 2005, Preservation and/or Documentation, conferenza al Netherland Media Art Institute Amsterdam

2.5. i Limiti e aperture della Teoria di Cesare e Brandi in rapporto alla New Media Art

L’attuale teoria del restauro ha nello scritto di Cesare Brandi la più compiuta espressione. Nonostante l’onnicomperensività che il testo filosofico possiede, anche a distanza di oltre mezzo secolo, il discorso brandiano appare modellato prevalentemente sul restauro e sui problemi conservativi della pittura e dei monumenti architettonici, come anche confermato dalle indicazioni che Brandi fornisce in riferimento della sua stessa Teoria. Potremmo facilmente affermare che la Teoria brandiana oggi risulta inapplicabile alla conservazione dei linguaggi contemporanei, in special modo a tutte quelle opere che utilizzano le nuove tecnologie come supporto o che si presentano con modalità effimere, come la performance, ad esempio. In questo senso, e in fase di restauro, è ovviamente fondamente operare una distinzione tra l’antico e il moderno e considerare queste opere attraverso la lente di nuova posizione storico-critica. Le riflessioni che in questi ultimi tempi si sono sviluppate intorno al tema della conservazione del contemporaneo vedono due differenti posizioni: da un lato è evidente la necessità di affermare con forza la presenza di un profilo teorico, indispensabile per la scelta e la formulazione di una strategia operativa che garantisca la sua effettiva correttezza. D’altra parte l’esigenza manifestata da molti soggetti pubblici, ha messo in luce la volontà di intraprendere una via in cui la sfera puramente teorica debba essere affiancata dalla formulazione di nuovi strumenti pratici e nuove metodologie di approccio alla conservazione. A mio parere, l’opera brandiana, che nella sua essenza di statuto storico ed estetico rappresenta un indicatore di strategie volte a limitare in sede di restauro scelte arbitrali o dettate da un certo gusto, costituisce proprio il punto di partenza e la base teorica sulla quale costruire una moderna, aggiornata teoria del restauro. Sappiamo che le attuali ricerche sulla conservazione condotte dai principali musei contemporanei, dalle università, dai centri di studio si muovono sul terreno fertile e instabile allo stesso tempo, della sperimentazione pratica. L’approccio conservativo che ne deriva -come si è visto in precedenza dalla cronologia di conferenze e incontri svolti nell’ultimo decennio- soprattutto in area anglosassone, è tendenzialmente condotto seguendo un approccio pragmatico, che si affida ad un “codice etico” di comportamento, le cui finalità ultime sono il mantenimento dell’autenticità dell’opera e la reversibilità dell’intervento di restauro, senza però avere una vera e propria teoria del restauro di riferimento.

Al contrario, analizzando alcuni degli assunti della teoria brandiana è evidente l’assenza di riferimenti fondamentali sulle caratteristiche specifiche su cui si fondano la maggior parte

delle espressioni artistiche contemporanee. Ad esempio, non è possibile applicare il principio brandiano secondo il quale si restaura solo la materia dell’opera d’arte, a quei linguaggi privi per loro stessa natura di materia e supporto fisico, di quella che Gillo Dorfles definisce come arte sine materia. Se pensiamo infatti che la teoria brandiana è stata concepita in una congiuntura temporale in cui l’attenzione degli artisti era rivolta alla scoperta dei materiali, basti solo citare il binomio Cesare Brandi-Alberto Burri, probabilmente possiamo immaginare che anche la Teoria, che in quel periodo e in quell’atmosfera è stata concepita, non contempla la dimensione immateriale dell’arte. Il secondo principio della teoria afferma che il restauro deve mirare al ristabilimento dell’unità potenziale dell’opera d’arte, senza per questo cancellare le tracce lasciate dal tempo. Ma Brandi nella sua teoria non aveva preso in considerazione in concetto di funzionalità e di serialità, che invece sono tra i fattori costituenti l’opera d’arte contemporanea. La sostituzione di elementi seriali è un argomento centrale nel dibattito sul restauro contemporaneo, quindi bisogna chiedersi cosa fare quando la disponibilità di materiali in commercio che possono sostituire la parti danneggiate vengono meno. Brandi anche in questo punto non avendo considerato la serialità come strumento per assicurare la funzionalità dell’opera, non può rispondere su questo aspetto. Nell’arte contemporanea risulta poi fondamentale l’intento dell’artista, le decisioni sulle modalità di trasmissione dell’opera al futuro e la sua presentazione o migrazione in nuovi formati. Su questo aspetto si prenda allora in considerazione l’assunto brandiano che “l’opera d’arte condiziona il restauro, e non già l’opposto” e che sulla questione, ancora dibattutta, del coinvolgimento dell’artista nelle fasi di restauro esistono posizioni di natura differente e non del tutto chiare. Massimo Carboni, in un recento scritto presentato a Roma, sostiene: “Così come l’opera classico-tradizionale, diceva Brandi, contiene in sé il suo stesso restauro, il fatto di non riconoscere all’opera l’“obbligo” di sopravvivere e trasmettersi al futuro è spesso insito nell’opera stessa, e dunque si rivela paradossalmente (ma l’arte contemporanea è letteralmente fatta di paradossi) un modo per rispettare il suo legato estetico-culturale.”47 Al contrario, credo che proprio questo argomento rappresenti uno dei nodi concettuali su cui si fondano le contemporanee strategie internazionali di conservazione e documentazione, laddove la documentazione delle caratteristiche dell’opera realizza preventivamente il primo passo fondamentale per la sua esistenza futura. Credo che la ricerca scientifica debba

47 Cfr. Massimo Carboni, Indirizzi per una riflessione comune sul restauro del contemporaneo, ciclo di seminari, atti del

ciclo di seminari sulla “Conservazione del contemporaneo”, promosso dall’Associazione Amici di Cesare Brandi, MAXXI, GNAM, Roma novembre 2007-febbraio 2008 (in corso di stampa).

muoversi sui binari di una armonizzazione di criteri e strategie, in una dimensione di condivisione delle modalità operative, come dei concetti teorici, una fusione tra la teoria italiana e gli standard internazionali, che in questo momento storico appaiono certamente più avanzate. Mi riferisco principalmente alle esperienze condotte da musei e istituzioni internazionali che hanno affrontato il tema della conservazione delle arti elettroniche e della New Media Art attraverso una metodologia che studia la “variabilità” e il comportamento delle opere e dei supporti utilizzati. A questo proposito la posizione di Sebastiano Barassi, studioso e professore alla Kettle’s Yard, University di Cambridge, chiarisce un aspetto interessante: “mi sembra la frammentazione e diversificazione della pratica artistica dell’età contemporanea richiedano di abbandonare l’ispirazione a creare per il restauro un sistema teorico universalmente valido. Questo innanzitutto perché non sembra più possibile una definizione univoca di arte, che è presupposto sul quale la Teoria si fonda. E dunque, se, come credo sia legittimo fare, si identificano nel rifiuto tanto concettuale quanto tecnico dell’idea “accademica” di arte (quella a cui Brandi sembra principalmente riferirsi) e nella resistenza ai tradizionali processi che governano la sua museificazione e conservazione degli sviluppi cruciali dell’arte dell’ultimo secolo, bisogna chiedersi se questa diversificazione dell’intenzione artistica non debba portare ad una diversificazione degli approcci conservativi […]. Io ritengo che la risposta debba essere positiva, e che sia necessario affronatre ogni caso a sé, ma non più, brandianamente, entro un unico sistema teorico, bensì accettando la possibilità che il rispetto del messaggio dell’opera possa esigere strategie nuove per la sua trasmissione al futuro”.48 L’espressione di questa opinione credo renda più evidente la difficoltà ideologica - un misto di acquiescenza e devozione alla Teoria brandiana - che una parte della critica italiana tende ad esercitare nella difesa di una Teoria che appare superata se vista attraverso la dimensione effimera, immateriale, processuale dell’opera d’arte contemporanea. In virtù di questo status, una delle problematiche maggiori che affliggono restauratori e conservatori di musei riguarda proprio le modalità con le quali queste opere possono essere conservate e trasmesse alle generazioni future. Non solo la conservazione, ma anche la documentazione costituisce ormai una strategia propedeutica e necessaria alla conservazione stessa, che oggi si può definire non solo come operazione di salvaguardia materiale, ma come atto di trasmissione dell’idea dell’opera nel futuro. La raccolta di dati e informazioni delle opere di New Media Art dunque prende in

48 Cfr. Sebastiano Barassi, Riflessioni sulla Teoria del restauro di Cesare Brandi in relazione alla conservazione dell’arte

contemporanea, atti del ciclo di seminari sulla “Conservazione del contemporaneo”, promosso dall’Associazione

considerazione e registra una diversa gamma di fattori, non solo relativi alle caratteritiche tecniche dei supporti, ma al contesto, ai fattori ambientali, al rapporto instaurato col pubblico. Queste cono componenti nuove e di natura differente, indispensabili per la corretta presentazione e reinstallazione dell’opera in futuro. In questi termini l’attività di documentazione può e deve essere considerata come parte imprescindibile della conservazione stessa, confermando l’importanza di considerare la documentazione come conservazione preventiva.49