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Gli anni Settanta Le esperienze italiane più significative: art/tapes/22, il Palazzo dei Diamanti di Ferrara, la videoteca di Luciano Giaccar

Accanto alle esperienze internazionali anche in Italia la sperimentazione e l’uso del video si diffusero ampiamente soprattutto attorno ad alcune significative vicende che vedono come protagonisti, in questa fase iniziale, l’operato di alcuni appassionati del video. Solo grazie alla loro perseveranza e molto spesso alla capacità di autosostenere le proprie attività in Italia giunsero alcuni artisti di fama internazionale come Bill Viola, Gary Hill, Nam June Paik. Le iniziative più significative tra gli anni Sessanta e Settanta si svolgono a Ferrara con il Centro Video Arte del Palazzo dei Diamanti, sotto la direzione di Lola Bonora, che rappresenta peraltro l’unica iniziativa istituzionale a supporto della videoarte; a Firenze con art/tapes/22, progettata e gestita dal 1972 al 1977 da Maria Gloria Bicocchi; a Varese, con la Videoteca creata dal regista e documentarista Luciano Giaccari, oggi attiva nella promozione e nella diffusione delle origini del video. Dal punto di vista della conoscenza del mezzo video in Italia non c’era una grande disponibilità di strumentazioni tecnologiche

78 Fluxus nasce da un’idea del lituano-americano George Maciunas (1931-1978) e “dopo la metà del secolo

diffuse la consapevolezza dell’inclusione delle nuove tecnologie di comunicazione nell’arte concettuale”. Il testo tratto dal saggio introduttivo di H. P. Schwarz, Media-Art-History, Prestel, Munich 1997, p. 12, pubblicato in occasione dell’apertura del Media Museum ZKM – Center for Art and Media Karlsruhe.

e inizialmente anche le istituzioni pubbliche mancarono di sostenere la ricerca del linguaggio video.79 A sostegno della nuova ricerca linguistica invece si attesta la partecipazione di alcune importanti gallerie, che spesso sostennero il lavoro di numerosi artisti italiani e stranieri e si aprirono ai nuovi dispositivi, con il vantaggio di introdurre nel circuito dell’arte gli strumenti tecnologici necessari alla visione. Secondo quanto riportato in un’intervista, Luciano Giaccari afferma: “le poche persone che si interessano al video in quel periodo non sentono la necessità di organizzarsi insieme, con idee precise e obiettivi chiari in partenza, in modo da realizzare video con continuità, né tantomento si organizza un vero e proprio circuito della visione”.80 Le parole di Giaccari illuminano evidentemente sulla situazione italiana e sulla mancanza di strutture di riferimento per la ricerca video, e già dalla seconda metà degli anni Settanta la vena di curiosità e di fascinazione di questi primi anni finisce con l’esaurirsi progressivamente, con la conseguenza di relegare nei seguenti anni Ottanta la videoarte ad un circuito sempre più marginale.

Tra le prime iniziative dedicate alla Videoarte, il Museo Civico di Bologna organizza la prima mostra video dal titolo Gennaio ’70 all’interno della III Biennale internazionale della giovane pittura, a cura di Renato barilli, Maurizio Calvesi Andrea Emiliani, Tommaso Trini. Nella sezione dedicata al video, chiamata da Barilli video-recording, viene trasmesso un programma di due ore con le opere video di Giovanni Anselmo, Gilberto Zorio, Pierpaolo Calzolari, Mario Merz, Giuseppe Penone, Alighiero Boetti, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Jannis Kounellis, Luca Maria Patella, Claudio Cintoli, Eliseo Mattiacci, Mario Ceroli, Luciano Fabro, Gianni Colombo, Gino De Dominicis.81 Nel catalogo della mostra Renato Barilli affronta il tema del video affermando la necessità di sperimentare il più possibile con il nuovo dispositivo tecnologico, come mezzo ‘inedito’ della civiltà elettronica e sottolinea soprattutto le differenze rispetto al mezzo cinematografico, che invece ha un supporto rigido e deve sottostare ai tagli del montaggio, mentre il nastro magnetico visualizza le immagini in modo fluido e continuativo. L’importanza di Gennaio ’70 sta anche nella rubricazione delle opere video che Barilli propone in catalogo nella sezione video- recording, con lo scopo di fondare una nuova terminologia, in grado di leggere e definire il linguaggio video attraverso un lessico dedicato.82

79 “Nell’Italia degli anni Settanta, il video è vissuto e trattato più come una moda, effimera per definizione,

che come un mezzo linguistico ricco di potenzialità espressive ancora da individuare”. Cfr. S. Fadda, op. cit., p. 99

80 Ibidem, pp. 100-101 81 Ibidem, p. 140

82 Qualche esempio della rubricazione proposta da Barili: suggerisce il termine ‘iterazione’ riferita alla ricerca

Sempre nel 1970, con la serie di mostre “Anticipazioni memorative” la Galleria del Cavallino di Venezia inizia la sua ventennale attività di promozione, grazie alla quale può considerarsi la prima galleria privata in Italia ad interessarsi alla ricerca video.83 In ordine cronologico nel 1972 a Ferrara inizia l’attività del Centro Video Arte del Palazzo dei Diamanti, affidato a Lola Bonora che lo ha diretto fino al 1994 con la collaborazione di Carlo Ansaloni e sotto la direzione della Galleria Civica d’Arte Moderna. Il Centro Video Arte inizia la sua attività lavorando soprattutto nel campo della documentazione video e negli anni accumula una ricca serie di interviste e dichiarazioni rilasciate da artisti e critici, oltre che promuovere un’attività di organizzazione di mostre, incontri, dibattiti sul tema della videoarte. In pochi anni riesce a diventare un punto di riferimento per le contemporanee ricerche video a livello internazionale. Negli anni Settanta e Ottanta il Centro Video Arte è stata una struttura pionieristica nel panorama culturale italiano, proprio per l’impegno militante a fianco di artisti e sperimentatori che grazie a quel supporto produssero videotape e videoinstallazioni di fondamentale importanza. Tra questi Fabrizio Plessi è stato supportato enormemente dal Centro fino alla sua chiusura.

Alra esperienza di fondamentale importanza per la breve storia della Videoarte in Italia è art/tapes/22, nata sotto la direzione di Maria Gloria Bicocchi. La breve parabola del polo fiorentino si svolge in un periodo compreso tra il 1972 e il 1975 e costituisce il primo esempio di un laboratorio di produzione e distribuzione di videotape d’artista, in un clima di scambio culturale di livello internazionale che nei pochi anni di vita del centro ha visto la presenza di alcuni dei maggiori protagonisti della scena della videoarte internazionale, tra cui: Marina Abramovic, Vito Acconci, Joseph Beuys, Chris Burden, Giuseppe Chiari, Joan Jonas, Bill Viola. Quest’ultimo fu peraltro coinvolto nella gestione del centro a partire dal 1974, anno in cui Maria Gloria Bicocchi riuscì a stabilire una proficua collaborazione con la casa di produzione di video Tapes and Films, le gallerie di Leo Castelli e Ileana Sonnanbend a New York, che – come si detto precedentemente – rappresentavano i maggiori promotori della ricerca video negli Stati Uniti. Nello stesso anno art/tapes/22 organizza la mostra itinerante “Americans in Florence: Europeans in Florence” (poi spostata negli Stati Uniti, in Jugoslavia e in Olanda). La presenza dei numerosi artisti che frequentarono la casa-studio di Maria Gloria Bicocchi fu estremamente importante e costituisce un esempio unico in Italia in quegli anni. In un saggio pubblicato in un catalogo

sulla terra nell’opera di Giuseppe Penone; ‘metateatro’ per il riflesso doppio degli specchi di Pistoletto; ‘montaggio’ per la meditazione sul nulla di Fabro. Cfr. S. Bordini, op. cit., p. 10

83 Cfr. V. Fagone, Videoinstallazioni, ambienti e eventi multimediali. 1985-1999. Il contributo di Cannobio al VideoArt

nel 2003, Bill Viola usa queste parole per descrivere l’atmosfera di quegli anni: “Maria Gloria non voleva creare semplicemente un atelier per le mode artistiche né una boutique per oggetti morti. Voleva creare uno spazio vivo – un ambiente lavorativo e creativo riempito con presenze attive, un posto dove gli artisti sarebbero stati liberi di esplorare questa nuova tecnologia. Aveva subito capito come, con questi nuovi strumenti elettronici dell’immagine in movimento e del suono, le azioni transitorie e i gesti concettuali della nuova pratica dell’arte potessero trovare una forma compatibile e duratura; come il video fosse il nuovo linguaggio per una nuova era”.84 In seguito all’interruzione della collaborazione con la Tapes and Films art/tapes/22 chiude definitivamente. L’archivio delle opere prodotte è stato affidato all’Archivio Storico della Biennale di Venezia, che ne detiene i diritti.

Nel giro di pochi anni le vicende artistiche legate alla ricerca video si infittiscono e nel 1971 la Galleria dell’Obelisco a Roma organizza la mostra “VideObelisco AVR (Art Vide Recording)”. La Galleria viene trasformata in un laboratorio di ricerca e offre mezzi tecnologici, strumenti di registrazione video che permettono una sperimentazione del video di notevole importanza storica. Basti ricordare che in occasione della mostra “VideObelisco AVR (Art Vide Recording)” fu redatto un catalogo, curato da Francesco Carlo Crispolti, nella cui introduzione si leggono gli intendimenti di cui vuole farsi sostenitore la galleria: ”videoregistrazione come modulo nuovo; telecamera e videotape come memoria, presa diretta, provocazione, dissenso dai canali ufficiali, happening, gesto, presenza, casualità, spontaneità, scatole cinesi e infinite altre possibilità per le arti visive, questa volta inserite nel concetto più vasto di informazione. La videoregistrazione offre un canale preciso allo sforzo dell’arte d’oggi diretto a penetrare nelle possibilità interne del flusso reale”.85

A partire dall’inizio degli anni Settanta comincia il lavoro della Videoteca di Luciano Giaccari, regista e documentarista che oggi può essere considerato uno dei protagonisti della storia della ricerca video in Italia. Già dal 1968 Giaccari aveva raccolto un’ampia documentazione sulla musica, teatro e danza, che fu il nucleo principale del progetto del 1968 “Televisione come memoria”, che documentava gli happening teatrali prodotti dallo studio 970/2, e fu presentato con 24 monitor che trasmettevano in diretta e in differita gli eventi in corso (della durata, appunto di 24 ore). Luciano Giaccari comincia l’attività di documentazione di eventi video nel 1971 con la registrazione su nastro di Print Out,

84 Cfr. Bill Viola, Un Rinascimento a Firenze in art/tapes/22. Tra Firenz e Santa Teresa. Dentro le quinte dell’arte.

1973-1987, Edizioni Cavallino, Venezia 2003, p. 9

85 Tratto da F. C. Crispolti, Videolibro n° 1, Catalogo della mostra, Galleria dell’Obelisco, Roma, 1971 citato in

happening realizzato da Allan Kaprow a Milano. Nei quattro anni successivi lavora con molti artisti per riprendere le loro azioni o realizzare video autonomi sulla suggestione delle loro opere. Però si produce una sorta di ibrido: non è semplice discernere tra il suo ruolo come autore del video e quello dell’artista nella concezione dell’opera. Nel 1972 elabora la Classificazione dei metodi di impiego del video in arte, in seguito pubblicata nel 1973, che immediatamente suscita un grande interesse in quanto costituisce il primo tentativo di descrizione del video dal punto di vista del suo uso concreto. Le teorie di Giaccari relative al “video diretto” (il video prodotto dagli artisti) e al “video mediato” (il video che documenta le azioni degli artisti) hanno il pregio di tentare un’analisi del mezzo basata unicamente sui suoi utilizzi diversificati. L’impiego diretto e creativo poteva avere diverse applicazioni: il videotape che usa un linguaggio indipendente; la videoperformance o il videoenviroment, riferito ad ambienti installati o allestiti con l’impiego di circuiti chiusi e per indicare eventi concepiti per essere registrati. Per l’impiego mediato del video Giaccari indicava le performance, la musica, gli spettacoli teatrali, eventi che necessitavano di una registrazione. La Classificazione fu pubblicata anche negli Stati Uniti, dove fu accolta con grande attenzione, poiché l’atteggiamento degli americani verso il video è sempre stato complessivamente molto più ricettivo e lungimirante di quello italiano. Nonostante l’interesse degli stessi artisti verso il nuovo mezzo, infatti, alla fine degli anni Settanta il sistema artistico italiano ed europeo si è dimostrato generalmente scettico e incapace di sostenere e portare avanti autonomamente la ricerca video.