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La New Media Art è un termine cosiddetto ad ombrello che genericamente descrive opere d’arte che incorporano un elemento tecnologico o si presentano su supporti analogici o digitali. Tra le varie teorie che si sono sprecate nella definizione di New Media Art, si riporta, tra le altre la famosa “combinazione delle tre C”: Computing, Comunicazione, Contenuto. Il diverso intreccio dei fattori di questa combinazione ha contribuito nel corso dell’ultimo secolo all’evolversi della cosidetta rivoluzione elettronica. All’apice della combinazione delle tre C si trova il World Wide Web e Internet. Esistono altre possibili combinazioni delle tre C, e di seguito ecco i loro risultati:

• Network di comunicazione + Computing = Telefonia mobile

• Network di comunicazione + Contenuto = TV via Cavo, TV interattiva • Contenuto +Computing= CD-ROM, DVD

Quando ciascuno dei risultati ottenuti è impiegato in un’opera d’arte, questa viene classificata sotto la dicitura di New Media Art. Questa classificazione si applica anche quando un nuovo medium tecnologico è utilizzato come mezzo (o display) per presentare un’opera d’arte al pubblico. All’interno della New Media Art esiste un’ampia varietà di pratiche e modalità espressive che vanno dall’Arte concettuale, alla virtualità, dalla Performance alle Installazioni. In generale le opere prodotte con componenti tecnologiche durante il XXI secolo vengono definite “nuovi media”, in contrapposizione ai “vecchi” media, come la scultura, la pittura, il disegno. In questa prospettiva è un dato di fatto che i nuovi linguaggi artistici si sono evoluti in base agli sviluppi tecnologici, inventando nuove forme d’arte realizzate con i dispositivi messi a disposizione dalla scienza ingegneristica. Già nel 1945 lo scienziato militare Vannevar Bush pubblicava un suo articolo intitolato “As We May Think” sulla rivista americana Atlantic, dove ipotizzava la realizzazione di un

l’input e lìoutput: lo schermo, la tastiera e il mouse. Consiste anche in metafore utilizzate per visualizzare l’organizzazione dei dati informatici. Per esempio, l’interfaccia del Macintosh introdotta dalla Apple nel 1984 usa la metafora dei file e dei folder dislocati su una scrivania. […] Il termine HCI fu coniato quando il computer veniva usato principalmente come strumento di lavoro”. Cfr. L. Manovich, Il linguaggio dei Nuovi

dispositivo in grado di conservare e scambiare informazioni, immagini, suoni. “Memex”, secondo la fantasia di Vannevar, era uno strumento veloce e flessibile, dotato di uno schermo luminoso e di una tastiera, in grado di operare a distanza. Con queste caratteristiche Memex può essere considerato l’antenato, mai costruito, del computer contemporaneo e di internet.90 Nel 1961, Theodor Nelson coniò il termine “ipertesto” e “ipermedia”, riferiti allo spazio della scrittura e della lettura, alle immagini e ai suoni che possono essere elettronicamente interconnesse e collegate. Possiamo quindi affermare che oggi questi riferimenti di Vannevar e Nelson si sono concretizzati nel web e nei computer solo allo scadere del XX secolo. L’interazione tra arte e tecnologia ha però avuto alcuni precedenti storici che dimostrano come già a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta si sentisse l’esigenza di fondere insieme le due discipline. Nel 1966 la Fondazione E.A.T. (Foundation for Experiments and Technology) aveva supportato il progetto di una stretta collaborazione tra ingegneri e artisti, permettendo l’interazione di due mondi totalmente distanti. Billy Klüver, fondatore di E.A.T., come si è già detto in precedenza diede vita a degli esperimenti con alcuni degli artisti più significativi dell’arte americana del secondo dopoguerra: Andy Warhol, Robert Raushemberg, John Cage, Jasper Johns, Merce Cunningham. Il progetto Nine Evenings: Theatre and Engineering, rappresenta ancora oggi uno dei più importanti esempi di fusione tra l’industria tecnologica e i linguaggi dell’arte. Oltre Nine Evenings: Theatre and Engineering (1966), sono seguite altre due mostre svolte con la stessa modalità di interazione tra scienziati, ingegneri, programmatori e artisti: Some More Beginning (1968), è la prima mostra internazionale di arte e tecnologia, ospitata presso Brooklyn Museum di New York; nel 1970 un gruppo di artisti e ingegneri realizzano il Pepsi Pavilion all’Expo 70 ad Osaka, in Giappone. Negli anni Settanta, lo sviluppo delle nuove tecnologie soprattutto nel campo delle telecomunicazioni e dei software è stato peraltro sostenuto dal contributo della ricerca degli artisti, dalla continua, profonda sperimentazione dei mezzi tecnologici, che spesso hanno permesso di migliorare i processi tecnologici e le loro applicazioni.91 dal punto di vista della scoperta, gli artisti che oggi

90 Vannevar Bush, As We May Think, Atlantic Monthly, Luglio 1945, citato da C. Paul, Rendering of Digital Art,

in Leonardo, volume 35, 2002 The MIT Press, Cambridge, citato da Christiane Paul

91 A questo proposito torna assai utile una citazione di Mark Tribe, fondatore di rhizome.org, che afferma:

“L’arte è sempre andata a braccetto con la tecnologia, perché gli artisti sono sempre stati tra i primi ad abbracciare sul nascere le nuove tecnologie. […] Ma alcune tecnologie sembrano contenere delle promesse

lavorano con i New Media possono essere paragonati ai videoartisti della prima generazione degli anni Settanta, proprio per questo atteggiamento di continua sperimentazione, consentita dal fattore di interattività presente in questi mezzi e dalla capacità di innestarsi diffusamente nella cultura popolare. Alla fine degli anni Novanta l’innovazione più evidente nel sistema dell’arte è stata l’introduzione della Net Art, e mentre i musei comincivano ad aprirsi a questo nuovo linguaggio artistico (come si è visto, attraverso la commissione di progetti specifici di Net Art) i netartisti cercavano di sviluppare una diffusione del messaggio artistico al di là del contenitore museale, anzi più spesso in contrasto con le leggi -commerciali- che governano il sistema stesso. Lo sviluppo di questo processo è stato inoltre affiancato dall’attività dai centri di ricerca e dalle ricerche condotte da molte università internazioanli, che hanno favorito la sperimentazione all’interno dei laboratori informatici. Si pensi, per esempio, alla funzione del Media Lab del MIT-Massachusetts Istitute of Technology di Cambridge, tra le istituzioni che hanno maggiormente contribuito alla diffusione della rivoluzione digitale negli anni Novanta.92

decisamente più ricche per gli artisti che per i comuni mortali. Internet è particolarmente adatto a facilitare nuovi modelli di produzione collaborativi, di distribuzione democratica e di esperienza partecipativa. E’ proprio questa novità che fa dei New Media un ambito di lavoro assai interessante per chi produce cultura.” Cfr. Mark Tribe, prefazione, in L. Manovich, Il linguaggio dei Nuovi Media, Edizione Olivares, Milano 2002, p. 12

92 Il Media Lab apre nel 1985 all’interno del MIT. E’ considerata l’istituzione che ha pionieristicamente diretto

la ricerca specialistica nell’elettronica, nel campo dei video digitali ed olografici, nella ricerca sui sensori di campi elettronici e sui progetti di network wireless. Nel corso degli anni Novanta erano molte le aziende internazionali che supportavano finanziariamente la ricerca al Media Lab ed inviavano loro rappresentanti nella famosa Kendall Square di Cambridge, la sede del laboratorio mediatico. Era un’epoca in cui la formazione era considerata un’occasione di interdisciplinarietà, dove un gruppo di ricercatori lavorava tra scienza e tecnologia. Quando gli si chiedeva quale fosse il maggior successo o il più grande risultato raggiunto al lab, Nicolas Negroponte, allora direttore del centro, rispondeva tipicamente “la sua stessa esistenza”, poiché il laboratorio era stato creato con l’idea che l’invenzione, la creazione e la sperimentazione di nuovi media potesse contribuire al progresso tecnologico e favorire l’espressione artistica.

CAPITOLO II

Il dibattito internazionale intorno alla conservazione e alla documentazione della New Media Art. 1995- 2007