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Settembre 8-10, 1997, Modern Art: Who Cares?, Foundation for the Conservation of Modern Art, Amsterdam

R. L.H.: Riguardo la documentazione esistono almeno due livelli che hanno necessità d

4.1 La scelta del questionario

Questa ultima parte della ricerca presenta una serie di interviste realizzate tra la fine del 2006 e l’inizio del 2008 con modalità diverse, sia attraverso un contatto diretto con gli interlocutori, sia per corrispondenza via e-mail. Si è ritenuto che la scelta del questionario fosse la soluzione più appropriata per realizzare un vero e proprio monitoraggio della situazione conservativa contemporanea condotta da alcuni dei principali musei internazionali. Questa indagine ha permesso in ultima fase di comparare le differenti posizioni critiche degli intervistati, con il risultato di potere tracciare una mappa aggiornata delle attuali strategie conservative e delle attività promosse nelle istituzioni coinvolte. E’ chiaro che i curatori, i direttori e i conservatori da me coinvolti in questa indagine hanno risposto in base ai criteri applicati alle collezioni delle loro istituzioni di appartenenza. Ritengo, proprio in virtù di questa non omogeneità di indicazioni, che risulti più semplice individuare le differenze e trovare i punti di raccordo soprattutto tra le esperienze internazionali e la tradizione conservativa italiana, anche se nell’ambito ancora poco esplorato del campo della New Media Art si avverte una totale decoesione sia di intenti, sia di metodi operativi.

Ogni istituzione opera singolarmente, con strumenti e standard di conservazione definiti senza un’effettiva condivisione, a parte alcuni casi specifici. Questa condizione di mancata condivisione delle strategie operative risulta ancora più evidente tra le istituzioni italiane, che non avendo ancora vissuto in questi anni alcuna esperienza di tipo internazionale mantengono una prospettiva più individualistica, anche se bisogna ammettere che proprio in questi tempi più recenti si è mostrata l’esigenza di incrementare una maggiore conoscenza e di migliorare il livello di comprensione dei problemi attraverso la crezione di comuni tavoli di lavoro. Recentemente si è infatti costituto un network italiano -INCCA Italy Group- coordinato da Marina Pugliese, all’interno dell’INCCA-International Network for Conservation of Contemporary Art (vedi paragrafo 3.1.ii) che accoglie nella sua piattaforma reale-virtuale uno scambio di critici, conservatori, restauratori con l’obiettivo di mettere in comunicazione le esperienze italiane con quelle internazionali.1 Senza dubbio la

1 Nella primavera del 2008 è in programma lo svolgimento di una serie di incontri sul tema “La conservazione

del presente: leganti sintetici, plastiche, video e installazioni. Giornate di studio sulla conservazione e il restauro dell’arte contemporanea”, presso la Pinacoteca di Brera, a Milano. Le quattro giornate di approfondimento, rispettivamente dedicate ai dipinti realizzati con leganti di origine sintetica, alle installazioni, alle opere di materiale plastico e ai video, coinvolgono critici, curatori, restauratori, conservatori

volontà di trovare delle aree di ricerca comuni registra l’esigenza oramai diffusa di acquisire gli strumenti pratici e metodologici e il desiderio di individuare un nuovo approccio conservativo per le opere di New Media Art e in generale tutti quei lavori prodotti con materiali non tradizionali.

Le domande del questionario riguardano sia gli aspetti teorici della conservazione, che hanno lo scopo di illustrare quali linee guida l’istituzione utilizza come riferimento al suo interno, sia la promozione di progetti o iniziative legate alla conservazione o alla documentazione di opere di New Media Art condotte negli anni più recenti, o attualmente in atto.

Le interviste qui presentate mostrano una situazione internazionale piuttosto frastagliata, che certamente non è possibile classificare o definire precisamente. Si è ritenuto invece più utile poter confrontare le considerazioni espresse in risposta al questionario. Una delle questioni più interessanti riguarda la grande varietà di approcci conservativi, in cui spesso non è possibile individuare una linea teorica ben definita, mentre l’aspetto dell’operatività, dell’organizzazione di progetti e casi di studio, lo sviluppo di ricerche interconnesse risulta essere la modalità pratica condivisa soprattutto dai musei di area anglosassone.

In una recente corrispondenza con Carol Stringari, Chief Conservator del Solomon R. Guggenheim Museum di New York, alla mia domanda sull’effettiva validità del progetto Variable Media, e sui risultati ottenuti ad ormai cinque anni dalla sua attivazione, Carol Stringari risponde: “Dal momento in cui il Variable Media Paradigm è stato concepito, credo che abbia funzionato come impulso per iniziare a guardare le cose in modo diverso per i curatori, i conservatori e gli artisti, cercando di instaurare un dialogo e una piattaforma entro la quale discutere le nostre responsabilità. Questa non è una metodologia da usare autonomamente. Dobbiamo prima di tutto guardare ai precedenti storici, cercando di mettere d’accordo ciò che l’artista sta tentando di fare con i nostri principi etici e con i nostri criteri, al fine di salvaguardare l’esattezza storica e la “reversibilità”. Qualche volta non ci poniamo domande e abbiamo bisogno di cercare altre strategie per la risoluzione dei problemi. Credo che il Variable Media Network abbia fatto molta strada nel definire che l’arte contemporanea parte da un punto di vista concettuale, e insieme alla specifica formazione del conservatore si possono rendere più consapevoli le decisioni su che tipo di “trattamento” potrebbe essere più appropriato”.2 Tra le indicazioni che si possono cogliere

italiani e internazionali, e sono state organizzate stata organizzata in collaborazione tra l’INCCA e il PARC- Direzione generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l'architettura e l'arte contemporanee. Inoltre chi scrive è membro dell’INCCA dal 2006, in qualità di ricercatore dell’Università degli Studi della Tuscia.

2 “As far as the variable media paradigm is concerned, I think it has functioned as an impetus to start looking

nel questionario di Carol Stringari si legge che una delle priorità con cui opera il Guggenheim, anche attraverso le iniziative promosse dal Variable Media Network, è quella della documentazione delle opere. Questa constante attività di studio dell’opera d’arte di New Media, come anche delle opere d’arte concettuale, prevede di raccogliere informazioni sia tecniche che concettuali, come il rapporto con lo spazio, la luce, la presenza del pubblico, la storia dell’opera, il contesto. Questa attività di documentazione viene realizzata, come dichiara Carol Stringari, sia attraverso le modalità di registrazione dati del Variable Media, sia attraverso le strategie e i modelli sviluppati da altre iniziative, quali: Media Matters, DOCAM, IMAP, EAI-Electronic Art Intermix.

Con la stessa modalità di condivisione, anche Alex Adriaansens del V_2 Organization di Amsterdam sottolinea l’importanza di connettere le esperienze attraverso la condivisione dei database e degli archivi on line, ad esempio. In questa stessa ottica sembra muoversi anche la TATE Modern di Londra, dove Kelli Dipple, nella sua intervista parla della necessità di interagire con altre realtà istituzionali. Ad esempio, la TATE recentemente ha acquistato un’opera di Bruce Nauman con due altri partner istituzionali (che la Dipple non menziona). Attraverso questo sistema la responsabilità della gestione dell’opera viene distribuita tra tutti i partner, che hanno in carico le attività di conservazione e gestione dell’opera, sostenendola in termini pratici ed economici.

Come si è visto, un altro aspetto fondamentale dell’approccio conservativo anglosassone nasce dalla necessità di documentare l’opera attraverso le intenzioni rilasciate direttamente dall’artista. Laddove è possibile, il museo cerca di coinvolgere l’artista nella scelta delle strategie conservative, all’interno di linee guida tracciate dal progetto Media Matters, che è coordinato da Pip Laurenson. L’approccio della TATE, secondo quanto afferma Kelli Dipple, è finalizzato più alla documentazione delle opere. Per quanto riguarda l’aspetto conservativo, Dieter Daniels, Direttore del Ludwig Boltzman Institute New Media Art Research di Linz afferma che pur non avendo una collezione museale, ma lavorando con l’archivio del Festival Ars Electronica di Linz, è fondamentale lavorare in una nuova prospettiva che guarda l’opera d’arte contemporanea nella molteplicità dei suoi aspetti, legati non solo alla parte materica, ma a fattori ulteriori come lo spazio, la luce, il suono, il

our deep-seated assumptions. It is not a methodology to be used by itself. We must first look at historical precedent, try to reconcile what the artist is trying to do with our ethics and criteria for historical accuracy and "reversibility". Sometimes the questions do not apply and we need to look for other strategies for problem- solving. I think the variable media network has come a long way in defining what contemporary art is from a conceptual standpoint, and with that kernel of information the conservator can make more informed decisions about what an appropriate ‘treatment’ might be”. Da una corrispondenza via e-mail tra chi scrive e Carol Stringari, nel mese di marzo 2008.

contesto, l’interattività, che sono elementi “ripetibili” in futuro solo se dettagliatamente documentati. Daniels afferma inoltre che in alcuni casi, proprio solo grazie ad un’attenta attività documentativa e di registrazione dati è possibile ricostituire un’opera nella sua versione originaria. Laddove non è possibile è poi fondamentale raccogliere informazioni dai collaboratori più stretti dell’artista, dai tecnici, da tutti coloro che possono conoscere le modalità di lavoro specifiche. Il Ludwig Boltzman Institute New Media Art Research, oltre a lavorare con l’archivio di Ars Electronica, per il quale sta sviluppando un modello di archiviazione della documentazione digitale da loro prodotta, collabora con il secondo museo di Linz, il Lenthous Museum che non ha una vera e propria collezione, in quanto si interessa di opere di Net Art. L’attività del Boltzman Institute è indirizzata quindi alla ricerca di soluzioni focalizzate sulle esigenze dei due musei di Linz, e che le linee guida perseguite sono quelle del Variable Media Project del Guggenheim Museum.

All’interno del SFMOMA, che è uno dei partner del progetto Media Matters un gruppo di conservatori del museo (il “team media”) si riunisce periodicamente per discutere e sviluppare argomenti legati alla conservazione delle opere della collezione, in merito alla gestione e al mantenimento. Il “team media” è costituito da diverse figure professionali: registrar, staff tecnico, esperti di proprietà intellettuale, ricercatori del dipartimento di conservazione, curatori e conservatori, coordinati dal direttore della collezione del museo. Così come è stato dichiarato da Rudol Frieling -che è anche Tutor di questa mia ricerca- le scelte conservative vengono effettuate secondo le indicazioni della direzione curatoriale, in collaborazione con gli artisti stessi o con i loro più stretti assistenti.

Spesso però accade che manchi alla base un dialogo interno all’istituzione stessa, ad esempio, proprio sul problema della divisione dei dipartimenti all’interno del museo Berta Sichel, Direttore del Dipartimento di Audiovisivi presso il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid, sembra essere piuttosto critica. E’ in effetti una questione di particolare importanza perché dimostra come anche in grandi istituzioni come il MNCARS, che in questi ultimi anni ha arricchito la collezione permanente del museo con l’acquisto di opere della prima generazione di videoartisti, come Nam Jum Paik e Wolf Vostell, presentate in occasione della mostra Primiera Generaciòn. Arte y Imagen en Movimento. 1963- 1986 (7 novembre 2006-2 aprile 2007). L’esposizione è stata accompagnata da un ciclo di seminari di approfondimento sulla storia del video, tenuti nel corso del mese di marzo 2007 da curatori, direttori di musei, esperti di video e artisti da tutto il mondo a cui ho partecipato personalmente per tutta la durata del ciclo delle conferenze. Questa modalità dimostra che la strategia culturale del MNCARS, oltre all’attività espositiva, è finalizzata a

sviluppare un nuovo modello museale, che promuove la ricerca scientifica, e nel caso di questa esposizione, ha offerto per la prima volta una visione storicizzata della storia della videoarte.

Un caso che merita attenzione è l’attività svolta da EAI-Electronic Art Intermix di New York, che nel 2007 ha lanciato il progetto “Online Resource Guide for Exhibiting and Collecting Media Art” finanziato da New Art Trust, anche promotore del progetto Media Matters. Lory Zippay, che da diversi anni promuove la ricerca sulla documentazione e conservazione delle opere di New Media Art della propria collezione (in maggioranza video e opere digitali) è convinta che il migliore approccio alla conservazione sia la condivisione delle esperienze e delle competenze. EAI cerca infatti di condividire e implementare gli strumenti stessa della conservazione, con altri istituti di ricerca e musei, come IMAI, IMAP e il MoMA. EAI inoltre non è un archivio stabile, ma continuamente aggiornato, che anche attraverso l’attività di distribuzione, rivitalizza e aggiorna lo stato conservativo delle opere della collezione. Una delle attività fondamentali che EAI svolge attraverso gli strumenti approntati dal progetto “Resource Guide” è la documentazione dell’intento dell’artista, che viene registrato con un’intervista e conservato nel database, dove oltre alle informazioni tecniche si trovano anche le indicazioni dell’artista su diversi aspetti, come la regolazione del volume, la saturazione del colore, le modalità di riversamento e i parametri da utilizzare. Queste informazioni guidano la definizione della “best practice”, che dovrebbe garantire una presentazione filologicamente corretta dell’opera. A questo punto è chiaro che queste istituzioni operano all’interno di una struttura operativa strutturata secondo un “codice etico” che guida la pratica del “caso per caso”.

Dalle indagini condotte in Italia si evince invece un quadro meno rassicurante, in quanto musei e istituzioni, sia pubbliche che private, agiscono autonomamente proprio per la mancanza di indicazioni strategiche provenienti a livello istituzionale, ma anche per una grave assenza di progetti o iniziative specifiche, relativamente all’introduzione di standard conservativi per le opere che utilizzano supporti elettronici o tecnologici. La situazione dunque apparirebbe meno grave se le istituzioni pubbliche italiane guardassero ai progetti internazionali, anche al solo scopo di aggiornarsi sullo stato della ricerca che all’estero è già ad un livello più strutturato. Tra le dichiarazioni raccolte mi sembra interessante riportare ciò che Elena Volpato, Conservatore della Videoteca della GAM di Torino, a proposito della creazione di modelli unici di catalogazione e di un unico software di digitalizzazione delle opere audiovisuali, quando afferma: “Ognuno va per conto suo perché le amministrazioni museali e le strutture istituzionali in genere sudano già abbastanza per

veder approvato e pagato un progetto al loro interno, se si mettessero di impegno ad aspettare gli altri invece che una velocizzazione se ne avrebbe un rallentamento per il semplice fatto che non esiste (e forse per fortuna ) una verticalizzazione del potere decisionale tra queste istituzioni.”3

Per concludere, alla domanda sulla possibilità di individuare una strategia conservativa comune quasi tutti sono dell’opinione che non può esistere una “soluzione finale”, in quanto le tecnologie evolvono rapidamente e continuamente mettono gli addetti ai lavori davanti a nuove sfide, non solo teoriche e pratiche, ma anche economiche, poiché nella maggior parte dei casi questo tipo di iniziative non è adeguatamente sostenuto dalle amministrazioni centrali, non costituendo di fatto una priorità sulla quale investire.

3 In un’altra risposta del questionario relativa alle modalità di conservazione la Volpato afferma “Credo che il

lavoro fatto per la conservazione in HARD DISK e la conservazione a temperatura stabile in celle frigorifere dei nastri e delle pellicole originali sia il primo criterio, per la conservazione. Dettagli molto più complessi riguardano l’esposizione, lì si parte dagli appunti dell’artista, dalla filologia storica che consiglia una trasmissione su monitor piuttosto che una proiezione a seconda dei casi e di un rispetto assoluto della comprensibilità dell’audio. Si studia e si ricerca per avere il massimo dei dettagli, poi resta solo la sensibilità che è la stessa necessaria per leggere e interpretare un’opera.” Per l’intervista completa ad Elena Volpato si rimanda al paragrafo 4.2.

MODELLO DEL QUESTIONARIO

UNIVERSITY OF TUSCIA VITERBO

FACULTY OF CONSERVATION OF CULTURAL AND ARTISTIC HERITAGE

PhD in “Memoria e materia dell’opera d’arte” Largo dell’Università - 01100 Viterbo - ITALY Tel. +39-0761-357169/34 - Fax. +39-0761- 357675

Titolo della tesi:

Il dibattito internazionale intorno alla conservazione e alla documentazione della New Media Art. 1995-2007

Dottoranda di Ricerca: Laura Barreca

Tutor: Rudolf Frieling, Curatore del Dipartimento di New Media Art, SFMOMA, San Francisco

Tutor: Raphaele Shirley, New Media Specialist, New York