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i Il museo: la documentazione dell’opera Il vapore (1975) di Bill Viola

Settembre 8-10, 1997, Modern Art: Who Cares?, Foundation for the Conservation of Modern Art, Amsterdam

14 febbraio 2005, Preservation and/or Documentation, conferenza al Netherland Media Art Institute Amsterdam

3.2. i Il museo: la documentazione dell’opera Il vapore (1975) di Bill Viola

Allo scopo di descrivere la modalità con la quale in Italia si stanno svolgendo alcune importanti iniziative sulla conservazione e la documentazione del contemporaneo si riporta il caso di studio condotto dal MAXXI nel maggio 2007, a cui ho preso parte nell fase ultima dell’allestimento dell’opera. Si tratta della reinstallazione dell’opera Il Vapore (1975) di Bill Viola. L’opera, di proprietà della collezione permanete del MAXXI di Roma, è stata presentata al pubblico nel secondo appuntamento del ciclo di mostre MAXXI-Installazioni, curato da Alessandra Barbuto e documentato secondo le modalità del progetto pilota DIC- Documentare Installazioni Complesse (realizzato in collaborazione con Marina Pugliese, delle Civiche Raccolte d’Arte di Milano). L’intera iniziativa si è svolta nel corso del 2007 e, oltre l’opera di Bill Viola, ha ripresentato le installazioni di cinque artisti di fama internazionale appartenenti alla collezione del MAXXI: Gargoyle di Tony Oursler, Quadro di fili elettrici - Tenda di lampadine (1967) di Michelangelo Pistoletto, Collapse-Construct (2005) di Charles Sandison e Sfera avional (1968) di Maurizio Mochetti. L’idea di documentare le installazioni della collezione è nata dalla necessità di registrare, e in qualche modo anche di “testare” le opere che presentano dispositivi tecnologici e che dal momento dell’acquisto sono state conservate nei depositi del MAXXI. Questa esperienza, condotta da Alessandra Barbuto, ha di fatto mostrato che i problemi relativi alla rimessa in scena di opere complesse pongono in essere numerose questioni legate non solo alla documentazione delle parti tecniche e al loro corretto funzionamento, ma anche alla natura relazionale e contestuale che alcuni questi lavori richiedono: quali il contatto col pubblico, la dimensione interattiva e partecipatoria, l’illuminazione, la presentazione. Problemi di altra natura sono stati individuati anche su un piano meramente tecnico, ad esempio l’opera Collapse-Construct (2005) dell’artista americano Charles Sandison, è un progetto di Software Art che visualizza una “caduta” casuale e randomica di numeri con quali si compone un’immagine. Il codice software che rende possibile la visione è stato scritto dall’artista e rappresenta la vera

essenza dell’opera.10 Al momento dell’installazione, e al fine di garantire il corretto funzionamento, la presenza dell’artista è stata indispensabile, poiché a distanza di soli due anni dalla creazione dell’opera, si è resa evidente la necessità di un intervento diretto di riprogrammazione del software. Questa vicenda dimostra che il semplice deposito per queste opere non è una modalità conservativa più attuabile. Si consideri la vicenda anche dal punto di vista della proprietà dell’opera da parte del Museo: in questo caso il MAXXI ha acquistato un lavoro che si presenta come una proiezione, ma che non si trova su un supporto fisico come un DVD o un formato analogico. L’opera è composta da un codice binario che è custodito fisicamente dentro un hardware. Il Museo ha il diritto di riprodurre l’opera nel suo linguaggio elettronico e conservarla attraverso l’archiviazione del software o del codice-sorgente all’interno di un hard-drive o di un server, mantenendo di fatto solo la parte elettronica.

Visione d’insieme della mostra di Pistoletto, Sandison, Mochetti, MAXXI, Roma, settembre 2007

Nel suo complesso il progetto DIC è servito a monitorare le opere durante la fase di presentazione come una sorta di “prova tecnica”, ma anche come possibilità di indagare la possibile riproducibilità o sostituibilità di alcune componenti.

Il caso di studio dell’opera Il Vapore, 1975 di Bill Viola che qui si è scelto di menzionare ha offerto l’opportunità di mettere in atto per la prima volta le operazioni di registrazione e la documentazione tecnica dell’opera in fase di allestimento. La reinstallazione dell’opera è stata ospitata nel mese di maggio al Museo Hendrik C. Andersen di Roma.

Il Vapore è un’installazione video e audio realizzata dall’artista nel 1975 durante il suo soggiorno a Firenze, quando aveva lavorato come tecnico per il centro di produzione video art/tapes/22. L’opera è stata esposta a Zona, sede di un collettivo di artisti attivo a Firenze dalla metà degli anni Settanta alla metà degli anni Ottanta. Nel 2006 l’opera è entrata a far

parte della collezione del MAXXI, che l’ha acquistata dalla galleria James Cohan di New York. Il progetto è composto da una proiezione video, trasmessa da un televisore posto in una nicchia, da una pedana, da un fornello elettrico e da una pentola con dell’acqua profumata alle foglie di eucalyptus. La trasmissione video interagisce con le immagini riprese in diretta e con lo stesso visitatore, che diventa parte integrante dell’opera, poiché solo attraverso la sua presenza e la sua partecipazione fisica può assistere alla fusione tra l’immagine reale sovrapposta all’immagine fittizia del video.

Bill Viola, Il Vapore, 1975, Videoinstallazione - MAXXI - Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, Roma 3.2.ii L’artista: le videoinstallazioni ambientali di Raphael Lozano-Hemmer. La

documentazione come conservazione preventiva. Analisi delle opere: Pulse

Room (2006), Vectorial Elevation, Subtitled Public

Alcune delle videoinstallazioni dell’artista messicano Rafael Lozano-Hemmer sono spettacolari opere d’arte pubblica che presentano un uso delle tecnologie elevatissimo e un livello di interazione col pubblico fondamentale per la stessa attivazione dell’opera. Oltre ad una corrispondenza abbastanza frequente, ho avuto l’opportunità di conoscere personalmente l’artista nel suo studio di Montreal, in Canada nell’estate del 2006, e di incontrarlo nuovamente e intervistarlo in occasione dell’ultima Biennale di Venezia, dove rappresentava il Messico nel Padiglione di Palazzo Soranzo-Van Axel.

Avendo lavorato fin dagli esordi della sua carriera con le nuove tecnologie, Lozano- Hemmer ha sviluppato nel corso degli ultimi anni un altissimo livello di sofisticazione

tecnologica, comune a pochi, grandi artisti. Il fattore di interazione tra pubblico e opera, lo scambio di reciprocità instaurato con lo spettatore è alla base dell’intera opera dell’artista, ma con la particolarità che proprio questo uso del linguaggio elettronico e della virtualità viene calato in una dimensione ambientale, in cui arte e tecnologia si fondono in una sorta di grande gioco collettivo di arte pubblica. A parte il fascino esercitato da questi lavori, si è scelto di utilizzare questo riferimento proprio perché la natura effimera dei lavori, la componente tecnologica e la tipologia delle opere pongono una serie di questioni fondamentali sulla conservazione e sulla documentazione, nonché su problematiche legate alla presentazione. Quasi tutti i lavori di Rafael Lozano-Hemmer nascono da uno staff di ingegneri, programmatori, designer che lavorano in modo interdisciplinare alla creazione dell’idea dell’artista. In una delle considerazioni scambiate con Lozano-Hemmer riguardo la conservazione dei suoi lavori, l’artista è convinto che siccome non è possibile conservare tutto, nelle opere che utilizzano software o la rete si può conservare solo il codice, ad esempio, poiché ciò che è realmente importante consiste del documentare l’essenza dell’opera, l’aura di cui parla Benjamin. E continua dicendo “Quando vivi o hai un approccio con questo tipo di opere avverti qualcosa di speciale, senti di stare vivendo un’esperienza totalizzante. Sono convinto che è questa l’aura da preservare, attraverso il suo renactment, la sua rimessa in scena”.11

Dall’analisi qui presentata di alcune installazioni realizzate in spazi pubblici si comprende che l’attività artistica di Rafael Lozano-Hemmer induce a riconsiderare l’evento artistico nel suo valore contestuale e non più nella sua oggettualità, poiché la tecnologia utilizzata costituisce solo il medium col quale si realizza l’idea dell’opera, la cui attivazione invece è affidata alla partecipazione pubblica.

Vectorial Elevation, 1999-2000

L’opera Vectorial Elevation, realizzata per la prima volta nel 1999-2000 a Mexico City, è una delle più spettacolari opere d’arte pubblica e di Net Art realizzate da Rafael Lozano- Hemmer. Dopo la tappa messicana, il progetto è stato presentato in diverse città del mondo: nel 2002 a Artium Square, Vitoria, Paesi Baschi, nel 2003 a Place Bellecour, Lyon, Fête des Lumières, nel 2004 a O'Connell Street, Dublino. Il progetto si svolge in due distinte sedi: la piazza o la sede urbana dove vengono collocati i proiettori che hanno una capacità di 126,000 watt ognuno, visibili fino a 15 km di distanza e capaci di proiettare il raggio luminoso in altezza fino ad 1 km, e un sito web su Internet

(http://www.alzado.net/) che gestisce la partecipazione del pubblico. Attraverso un software (applet java, costruito su piattaforma Linux) messo appunto dall’artista con la collaborazione di un team di dodici tra ingegneri, programmatori, designer e tecnici dislocati a Montrèal, Madrid e Mexico City, è possibile regolare individualmente ciascuno dei diciotto proiettori. Il software permette agli utenti da casa di modificare la geometria spaziale delle luci sulla piazza, creando una sorta di vere e proprie coreografie luminose nel cielo, al di sopra la città, ogni giorno dalle 6 di sera alle 6 di mattina. Questo progetto realizza il concetto di “architettura relazionale” teorizzato da Rafael Lozano-Hemmer, che consiste nella riappropriazione umana di spazi urbani, attraverso il riposizionamento del ruolo del fruitore nel luogo fisico e nel luogo virtuale. Come conferma Lozano-Hemmer, Vectorial Elevation tenta di creare un rapporto tra le tecnologie di controllo, paesaggio urbanizzato e il pubblico locale e remoto di Internet.12 Un elemento significativo nel progetto di Lozano-Hemmer è costituito dal fatto che l'interfaccia del sito è stata realizzata in maniera da permettere agli utenti della rete di interagire attivamente, potendo osservare il risultato delle geometrie luminose attraverso quattro webcam che registrano lo spettacolo da altrettanti punti di vista. Ogni sei secondi le luci si orientano automaticamente e tre webcam su internet mostrano in tempo reale, da altrettante angolazioni, le coreografie temporanea create dall’utente. Un archivio conservato nello stesso sito web conserva tutte le coreografie realizzate, i commenti dei visitatori, le informazioni relative agli utenti. Un messaggio di notifica viene in seguito inviato per avvertire l’utente che la pagina web ha registrato la partecipazione al progetto, registrando tutto su Internet. In questo modo l’opera vive sia attraverso la sua interazione pubblica, si attraverso la documentazione conservata online.

12 Un archivio on line ha raccolto le differenti modificazioni delle coreografie luminose prodotte dalla

partecipazione del pubblico. Nel progetto realizzato a Zòcalo Square hanno partecipato più di 800.000 mila persone, da 89 paesi, visitando il sito in un periodo di due settimane. Il videostream su internet ha registrato le modificazioni sul sito ed era possibile vedere le luci da 20 kilometri di distanza, quindi da tutta la città. E’ possibile vedere la documentazione dell’evento sul sito http://www.lozano-hemmer.com/video/alzado.html in cui un video, accompagnato dalla voce dell’artista, spiega tutto il funzionamento del progetto sia nei dettagli tecnici, che attraverso le testimonianze dirette della gente.

Rafael Lozano-Hemmer, Vectorial Elevation, Relational Architecture #4, Zocàlo Square, Città del Messico, 1999- 2000

Rafael Lozano-Hemmer, Vectorial Elevation, 2003, Artium Square, Vitoria, Paesi Baschi

Subtitled Public, 2005

Nell’opera Subtitled Public, lo spettatore è al centro dello spazio e viene “seguito” dall’occhio della luce, che proietta sul corpo dei verbi o delle parole, a seconda del movimento dello spettatore nello spazio. L’unico modo per distogliere da sé la luce e di evitare di essere “sottotitolati” è quello di toccare un altro visitatore. Anche in questo lavoro Lozano- Hemmer rivela le qualità interattive dello spazio facendo uso di un semplice dispositivo di sorveglianza ad infrarossi, che viene trasformato come strumento relazionale tra tecnologia, spettatore e spazio in cui questo si muove. La differenza dunque tra un’architettura virtuale e un’architettura relazionale è che la prima dà vita ad una simulazione, mentre la seconda ad una sorta di dissimulazione, incoraggiando l’interazione fisica, il tatto, l’azione, l’operatività reale dello spettatore all’interno della videoinstallazione. Questa capacità dell’opera di “reagire” viene così teorizzata dall’artista: “oggi l’arte digitale - in verità, tutta l’arte- è

consapevole. Questo concetto è sempre stato vero, ma noi siamo diventati consci di questa consapevolezza solo adesso. Le opere ci ascoltano, ci guardano, avvertono la nostra presenza e aspettano noi per essere inspirate, e non in un altro modo. Non è una coincidenza che l’arte postmoderna enfatizza la partecipazione del pubblico. Nella teoria della linguistica Saussure afferma che non può esserci dialogo senza la reciproca consapevolezza dell’interlocutore. Proprio lo stesso concetto è stato espresso da Duchamp, per esempio quando egli afferma «C’est le le regardeur qui fait le tableaux». […] Difendo l’idea che anche l’opera stessa ha una vita propria”.13 E ancora, Lozano-Hemmer parla del concetto di aura dell’opera d’arte, affermando che se Benjamin afferma che l’immagine moderna, meccanicamente riproducibile ha perso la sua aura, al contrario l’artista messicano sostiene che “con le nuove tecnologie l’aura è ritornata, e con una rivendicazione, perché quello che la tecnologia enfatizza, attraverso l’interattività, è la lettura multipla, l’idea che l’opera d’arte è creata attraverso la partecipazione del fruitore. L’idea che un lavoro non è ermetico, ma qualcosa che richiede una presentazione al fine di esistere, è fondamentale per comprendere il concetto di «rivendicazione dell’aura»”.14

Rafael Lozano-Hemmer, Subtitled Public, Sala de Arte Público Siqueiros, Mexico City, Messico, 2005, sistema di sorveglianza computerizzato a raggi infrarossi,

proiettori, dimensioni variabili, collezione TATE Modern, Londra

Pulse Room, 2006

L’istallazione ambientale Pulse Room è composta da una serie di bulbi ad incandescenza, sensori del battito cardiaco, computer e una scultura metallica che permette l’interazione col pubblico e l’attivazione dell’opera. L’installazione funziona solo attraverso la partecipazione del pubblico. Un sensore collegato ad una postazione con due maniglie registra il battito cardiaco del pubblico che stringe per qualche secondo le maniglie. Il ritmo

13 Cfr. A conversation between Josè Luis Barrios and Rafael Lozano-Hemmer, in Rafael Lozano-Hemmer, catalogo della

mostra Subscultures, Galerie Guy Bärtschi, Ginevra, 2006, p. 7.

cardiaco viene trasformato in impulso elettrico e registrato dai bulbi ad incandescenza che si illuminano ad intermittenza. Al centesimo visitatore, tutte le lampadine rimangono accese, per poi spegnersi e ricominciare da capo. L’installazione ambientale di Rafael Lozano-Hemmer è stata pensata per attivare un’ampia partecipazione pubblica. L’opera si presenta come un grande ambiente, una sorta di piattaforma all’interno della quale lo spettatore si muove e interagisce con l’opera stabilendo una relazione di reciproco scambio. Lo stesso Lozano-Hemmer afferma che le opere d’arte contemporanee richiedono la presenza umana per poter sopravvivere. Questo concetto può essere identificato nella definizione di “architettura relazionale”, coniato dall’artista messicano qualche anno prima che il critico francese Nicolas Bourriaud parlasse di “estetica relazionale”, che invece possiede un’accezione più socio-antropologica.15 Recentemente l’opera era stata proposta per l’acquisto da parte della TATE di Londra, che dopo alcune fasi di contrattazione ha ritenuto che il museo non avrebbe potuto sostenere i costi delle eventuali sostituzioni dei bulbi ad incandescenza, oltre il prezzo di vendita dell’opera. Questa vicenda, emblematica per molti aspetti, si concluse con la decisione di acquistare un’altra opera dell’artista, che invece avrebbe permesso al museo una conservazione e una gestione più semplice. Anche la scelta dell’artista di lasciare solo la documentazione dell’opera quando le componenti fisiche non saranno più reperibili in commercio, non fu ritenuta una scelta vantaggiosa per il museo.

Rafael Lozano-hemmer, Pulse Room, 2006, bulbi ad incandescenza, sensori del battito cardiaco, computer e scultura metallica.

3.3 Intervista a Rafael Lozano-Hemmer (10 giugno 2007, 52. Biennale di