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SICUREZZA E FLESSIBILITÀ DEL LAVORO: L’AMBIVALENZA DEL WELFARE AGRICOLO

3.6 Considerazioni conclusive

L’assetto istituzionale del mercato del lavoro agricolo, riletto nella prospet- tiva della flexicurity, mostra evidenti limiti in termini di scarsa coerenza e efficien- za nella integrazione con le politiche attive. La crescita della flessibilità numerica esterna non è stata controbilanciata da un welfare attivo che garantisca l’accesso ad adeguati trattamenti di disoccupazione e alla partecipazione ad attività forma- tive. Le peculiarità del mercato del lavoro agricolo fanno ritenere ancora incerte e imprecisate le possibilità di realizzare programmi di formazione continua e di ri- qualificazione professionale come condizione necessaria per migliorare l’occupa- bilità. Ciò non soltanto per le difficoltà di attivare l’offerta di politiche che siano in grado di assolvere efficacemente questo compito, ma anche perché l’attività agri- cola genera un’elevata domanda di lavoro non qualificato, mentre ancora limitata appare la quota di domanda di lavoro qualificato in termini di contenuto intellettua- le e di conoscenze codificate, oltre che tacite, come si è visto in precedenza.

La bassa qualificazione di capitale umano è considerata un ostacolo impor- tante alla mobilità del lavoro e, quindi, alla sua efficiente allocazione. Investimenti in istruzione e riqualificazione dovrebbero facilitare il passaggio verso una regola- zione del lavoro più efficiente (Bojnec et al., 2003). Nei mercati del lavoro agricolo e rurale non vi sono incentivi per spostarsi da posizioni di lavoro a bassa qualifi- cazione verso quelli più qualificati. Si osserva, invece, una mobilità che dà origi- ne a vulnerabilità più che favorire prospettive di riqualificazione. Ne deriva per la maggior parte dei lavoratori meno qualificati che gravitano nel settore agricolo un elevato rischio di esclusione sociale.

La flessibilità del rapporto di lavoro in agricoltura, scollegata da efficienti misure di riqualificazione, sembra costituire un ostacolo all’integrazione dei la- voratori agricoli in un mercato del lavoro che risponda alla visione della strategia Europa 2020, basata sulla conoscenza, sostenibilità e inclusione. La forte incenti- vazione alla costituzione di rapporti di lavoro a tempo determinato rende scarsa- mente efficaci le misure per incoraggiare i rapporti di lavoro a tempo indetermina- to, quali quelle previste mediante l’uso della leva fiscale e di quella contrattuale. Pertanto, si riconosce la necessità di rivedere il sistema di tutele per la disoccu- pazione, tenendo distinte le tipologie di trattamento su base assicurativa da quelle su base solidaristica. A questo scopo è stato più volte rimarcata l’esigenza di pro- muovere un assetto proattivo delle tutele in modo da non disincentivare il lavoro e ridurre la permanenza nella condizione di disoccupato e il lavoro non dichiarato (Tiraboschi, 2004).

Quanto agli effetti della flessibilità sulla competitività, è stato da più parti rimarcato che l’adozione di modalità flessibili può ridurre gli incentivi per l’innova- zione e la formazione on the job. In agricoltura il lavoro dipendente extra-familiare è per lo più un fattore variabile e il costo di investimento in capitale umano (adde- stramento) è piuttosto basso, di conseguenza i costi associati alle rioccupazioni sono ritenuti irrilevanti dalle imprese di questo settore. Ciò vale soprattutto in un contesto produttivo scarsamente dinamico, dove incentivi diretti principalmente a ridurre il costo del lavoro hanno come effetto quello di spingere le imprese a pra- ticare una strategia difensiva, riducendo i costi immediati per mantenere in vita le proprie attività nel breve periodo. Le imprese non orientate all’innovazione tendo- no a muoversi, dunque, in una logica di competitività marginale che si scarica sui segmenti più deboli del mercato del lavoro (Raitano 2008; Isfol, 2013).

A fronte di situazioni economiche poco favorevoli e della crescente espo- sizione del settore agricolo alle forze del mercato globale, le imprese sono poste davanti a sfide che spesso mettono in pericolo le sicurezze e le tutele dei lavora- tori. Ci si aspetta che in questo nuovo scenario le pressioni economiche globali spingano a un ulteriore aumento del lavoro irregolare e sommerso. L’inserimento dei lavoratori immigrati in agricoltura in sostituzione della manodopera locale ha consentito in alcune aree e comparti un aggiustamento al ribasso dei livelli sala- riali e delle condizioni di lavoro. La condizione del lavoratore migrante è in gene- rale di maggior rischio e di più grave sfruttamento, sia per le condizioni di lavoro che per il salario. Bisogna interrogarsi sul fatto che una frazione crescente della produzione di beni e servizi è realizzata utilizzando forza lavoro che resta al di fuori della normativa salariale, priva di copertura mutualistica e previdenziale, al di fuo- ri di qualsiasi tutela sulle condizioni di lavoro (Inea, 2009; Isfol, 2011, Commissione Europea, 2012b).

L’analisi dell’impatto della flexicurity, nella sua prima fase di attuazione, evidenzia una scarsa rispondenza, in termini di capacità attuativa, degli strumenti rispetto agli obiettivi fissati dalle politiche pubbliche messe in campo (Tangian, 2008; Keune, 2008, Eurofound, 2012). La crisi economico-finanziaria, inoltre, met- te in discussione l’attuazione di politiche attive per il lavoro, limitando le risorse finanziarie destinate non soltanto per l’istruzione e la formazione dei lavoratori ma anche per mantenere gli standard di protezione del reddito. La critica più radicale riguarda l’indirizzo politico seguito dall’Unione Europea con la strategia di Lisbona e in particolare l’assenza di un sistema più coercitivo per assicurare un maggiore rispetto degli impegni sociali da parte degli Stati membri. Tali critiche giungono anche da studiosi che avevano accolto positivamente la sfida di una soft law euro-

pea in materia di politiche sociali, assumendola come una possibile opportunità di rilancio del welfare nell’epoca del lavoro atipico. Il dibattito resta tuttavia aperto e, come osserva Rogowski (2008), il successo del modello sociale europeo, che s’incardina nel sistema di soft law, dipende in ultima analisi dalla capacità delle politiche europee di diventare “riflessive” attraverso un adeguato processo che tiene conto delle esigenze e delle condizioni di autoregolazione degli Stati membri.

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POLITICHE DI EMERSIONE ED INCLUSIONE SOCIALE: