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SICUREZZA E FLESSIBILITÀ DEL LAVORO: L’AMBIVALENZA DEL WELFARE AGRICOLO

3.3 Le forme di flessibilità in agricoltura

La flessibilità del mercato del lavoro in agricoltura è intesa generalmente come la capacità dei rapporti di lavoro di adattarsi alle esigenze tecniche e orga- nizzative delle imprese, connesse alle caratteristiche della produzione agricola. Riguardo a queste esigenze trova giustificazione una struttura istituzionale se- gnatamente flessibile, in cui prevalgono nettamente i rapporti lavorativi a tempo determinato, discontinui, occasionali o stagionali, mentre scarsa rilevanza assu- mono quelli stabili e a tempo indeterminato. Il costituirsi di un numero elevato di rapporti temporanei dà luogo a una consistente flessibilità numerica di cui si avva- le l’impresa agricola. Essi costituiscono l’89,1% dei rapporti di lavoro nel settore, con una prevalenza ancora più netta nel Mezzogiorno (94,5%), espressione di una specificità che offre non pochi spunti di riflessione al dibattito aperto sulla flessi- bilità del lavoro, oggi in primo piano, per le sue conseguenze sull’occupazione e sulla competitività delle imprese (cfr. Tab.3.1).

Tab. 3.1 - Operai agricoli dipendenti per ripartizione geografica e tipologia di con- tratto (2000, 2011)

Ripartizioni

geografiche Anni OTD OTI TOTALE

OTD % OTI % Nord 2000 161.916 52.232 210.362 75,6 24,4 2011 237.597 57.188 290.991 80,6 19,4 V. % 2011/2000 46,7 9,5 38,3 6,6 -20,5 Centro 2000 77.373 19.296 94.796 80 20 2011 99.084 21.225 118.515 82,4 17,6 V. % 2011/2000 28,1 10 25 2,9 -11,6 Mezzogiorno 2000 604.777 24.227 625.681 96,1 3,9 2011 580.408 33.589 611.514 94,5 5,5 V. % 2011/2000 -4 38,6 -2,3 -1,7 42 Italia 2000 844.066 95.755 930.839 89,8 10,2 2011 917.089 112.002 1.021.020 89,1 10,9 V. % 2011/2000 8,7 17 9,7 -0,8 6,8

Anche in situazioni produttive che operano su base familiare, il ricorso a una pluralità di rapporti di lavoro e a differenti lavoratori esterni alla famiglia e all’impresa è molto diffuso. La discontinuità dei processi produttivi e gli assetti or- ganizzativi delle imprese agricole in cui predomina l’impresa a carattere familiare, dunque, fanno sì che un gran numero di persone sia coinvolto in modo temporaneo e sia attivata una pluralità di rapporti di lavoro. Nei sistemi di produzione che ope- rano su base familiare, quindi, l’uso di manodopera non familiare riguarda un nu- mero elevato d’imprese agricole in ambienti produttivi anche molto diversi tra loro. Con l’aumento della dimensione aziendale si associa generalmente un più elevato utilizzo del lavoro salariato in sostituzione di quello familiare (Dries et al., 2012).

Il ricorso al contratto a tempo determinato – che ha storicamente mante- nuto un’autonomia disciplinare, con rilevanti elementi di differenziazione rispetto agli altri settori – è pienamente libero e flessibile, senza vincoli di forma, di cau- sale, di durata, di proroga, di reiterazione, di intervallo (Vindigni, 2011). Le misure di liberalizzazione degli anni ’Novanta (Pacchetto Treu) e Duemila (Riforma Biagi) hanno introdotto tipologie contrattuali nuove, quali il lavoro a tempo parziale, in- cluso il lavoro ripartito (job sharing); il lavoro intermittente a chiamata (job on call); la somministrazione di lavoro, il contratto di inserimento e l’apprendista- to, con l’effetto di aumentare la flessibilità numerica di detto mercato. La riforma del mercato del lavoro (L. n. 92/2012, cosiddetta Riforma Fornero) non ha toccato quegli istituti – come, ad esempio, il contratto a tempo determinato con gli operai agricoli (OTD), le agevolazioni contributive per zone montane e svantaggiate, lo speciale sistema di ammortizzatori sociali, ritenuti fondamentali per le imprese e per l’occupazione agricola.

Per rappresentare in modo adeguato i tratti peculiari della flessibilità del lavoro in agricoltura occorre tenere conto di tre aspetti. Il primo concerne l’ete- rogeneità di status o di situazioni giuridiche soggettive dei prestatori d’opera; il secondo si riferisce alle loro frequenti transizioni da una posizione a un’altra nel mercato del lavoro. Entrambi terreno di elezione della flessibilità contrattuale e dell’autonomia privata. Vi è infine da considerare la mobilità territoriale della ma- nodopera, associata al suo impiego stagionale nelle aree produttive specializzate, in un’epoca di migrazioni interne e internazionali.

L’eterogeneità di status si riferisce alla molteplicità di figure contrattuali atipiche che vanno dalla compartecipazione agraria allo scambio di manodopera tra piccoli imprenditori agricoli (art. 2139 c.c.); al lavoro occasionale di parenti e affini fino al quarto grado con prestazioni svolte a titolo di aiuto, mutuo aiuto, ob-

bligazione morale, senza corresponsione di compensi (art. 74 Dlgs n. 276/2003)12;

al lavoro accessorio, consentito per prestazioni di carattere stagionale da parte di pensionati e studenti (artt. 70 e 72 del Dlgs. n. 276/2003) . Alcune di queste figure contrattuali affondano le radici in abitudini secolari che rispondono spesso a di- versissimi intenti economico-pratici perseguiti dai contraenti e non raggiungibili attraverso i mezzi giuridici forniti dalle fattispecie legali tipiche (Carrà, 2011).

Riguardo alle transizioni, non è agevole stimarne il loro volume e solo in parte sarebbe possibile cogliere, attraverso un’analisi diacronica (longitudinale), tutti gli status personali e professionali occupati in successione. Indagini rico- gnitive e casi studio hanno evidenziato la complessità degli schemi occupazionali dei lavoratori agricoli. Si tratta di una mobilità del lavoro che non si riferisce ai movimenti all’interno di una determinata forza lavoro, ma anche a modifiche da uno stato di occupazione a uno di disoccupazione e viceversa, all’alternanza tra occupazione e inattività, tra occupazione agricola ed extra-agricola, subordinata e autonoma, formale e informale, regolare e irregolare (Bove et al., 1993; Lagala, 2002; Avola, 2007).

Occorre, quindi, un framework che permetta un’analisi più approfondita del- la flessibilità del mercato del lavoro agricolo, nel quale il lavoro precario si combi- na con la pluriattività e dove l’assetto istituzionale consente un’elevata flessibilità e, allo stesso tempo, paradossalmente, l’estensione del lavoro irregolare.

Nella letteratura si rintracciano diverse tipologie che possono contribuire a definire la complessa flessibilità̀ del mercato del lavoro agricolo (Wilthagen e Tros, 2004; Tangian 2006):

- flessibilità numerica interna: adattamento della quantità di lavoro impiega- ta alle esigenze produttive tramite variazioni dell’orario lavorativo, ricorso a straordinari o part-time senza modifiche formali del rapporto di lavoro; - flessibilità numerica esterna: modifica del numero di lavoratori in rapporto

alle esigenze dell’impresa tramite assunzioni o licenziamenti;

- flessibilità salariale o finanziaria: variazione delle condizioni economiche dei lavoratori dipendenti;

- flessibilità funzionale: mobilità interna con modifica dei contenuti del lavoro dei lavoratori dipendenti in rapporto alle necessità organizzative delle im- prese;

12 Il lavoro occasionale di tipo accessorio nella nuova disciplina L. n. 92/2012, non è soggetto ad alcu- na esclusione, sia di tipo soggettivo che oggettivo, per cui prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti sono ammessi con riferimento a committenti privati e pubblici richie- dendo solo il rispetto del limite economico.

- flessibilità esterna funzionale: esternalizzazione mediante affidamento di alcuni compiti a lavoratori esterni sotto forma di supporto tecnico e di servi- zi professionali senza ricorrere a lavoro subordinato.

La rilevanza delle prime due tipologie nel mercato del lavoro agricolo è imputabile sia alla larga diffusione del contratto a tempo determinato e di altri strumenti contrattuali a carattere temporaneo e occasionale di cui si è detto in precedenza, sia al fenomeno della pluriattività, largamente sostenuto dalla nor- mativa previdenziale. A questo proposito va richiamata la previsione ampia della L. n. 247/2007 riguardo alla possibilità di cumulare lavoro agricolo ed extra-agricolo; quest’ultimo è utile anche al fine della rideterminazione dell’indennità di disoccu- pazione agricola.

I dati Inps riportati nella Fig.3.1 mettono in evidenza una distribuzione de- gli OTD (operai agricoli a tempo determinato) per classi di impiego in cui prevale nettamente la categoria degli “eccezionali” (fino a 50 giornate annue), con aliquote più elevate al Nord (54,6%) e al Centro (45,7%), mentre al Sud risulta più contenuta (21,1%).

Fig.3.1 - Operai agricoli a tempo determinato per classi di giornate lavorate e ripartizione geografica (2011; in percentuale)

0

10

20

30

40

50

60

≤ 50 gg 51 -100 gg. 101 -150 gg. >150 gg.

Nord Centro Mezzogiorno Italia

La tendenza verso la precarizzazione del lavoro agricolo procede insieme a quella più lenta della sua stabilizzazione, secondo un processo bipolare che si svol- ge da diversi decenni. Ne risulta un limitato numero di impieghi “stabili” e “abitua- li”, accanto ai quali si situano ampie fasce di impieghi “eccezionali” e “occasionali”, con percorsi segnati da frequenti transizioni. Le risultanze statistiche INPS sotten- dono comunque situazioni non uniformi per la natura della fonte che maschera si- tuazioni differentemente caratterizzate con riferimento ai mercati locali e regionali, ma soprattutto per l’intreccio di posizioni professionali diverse (lavoro dipendente e autonomo), di attività agricola ed extragricola, di lavoro formale e informale, rego- lare e irregolare13, di disoccupazione e inattività (Lagala, 2002; Carrà, 2011).

Quanto alla flessibilità finanziaria e salariale, essa include non solo il costo diretto del lavoro (salario) ma anche quello indiretto (oneri sociali). Quest’ultima è guadagnata ricorrendo anche a prestazioni lavorative che non rispettano la nor- mativa in materia fiscale-contributiva. Questa forma di flessibilità è consueta in agricoltura e corrisponde al fenomeno del lavoro irregolare, il cui tasso, secondo stime ufficiali, si attesta al 43,9% delle unità di lavoro dipendenti ed è in crescita14

(Tab.3.2). La flessibilità istituzionale del lavoro e quella fattuale non coincidono, poiché la prima non tiene conto del lavoro svolto, in tutto o in parte, al di fuori dalla regolamentazione del mercato del lavoro. A questo riguardo viene osservato come l’indice EPL (employment protection legislation) dell’OCSE – che misura la rigidità della legislazione a tutela dell’occupazione – faccia riferimento ad una sola dimen- sione del complesso insieme di fattori che influenzano la flessibilità del mercato del lavoro, dimostrando perciò di non poter apprezzare a sufficienza l’effetto fat- tuale (Tangian, 2008).

13 Per un’analisi aggiornata sul fenomeno del lavoro sommerso/irregolare in agricoltura, si rinvia alla ricerca condotta dall’ISFOL (2011).

14 L’impiego di lavoro non regolare, secondo la definizione che ne dà l’ISTAT, fa riferimento al som- merso economico con il quale s’intende, nell’ambito della contabilità nazionale, qualunque impiego di lavoro in attività produttive legali svolte contravvenendo a norme fiscali e contributive al fine di ridurre i costi di produzione.

Tab. 3.2 – Evoluzione del tasso di irregolarità delle unità di lavoro in agricoltura per categoria Anni Dipendenti % Indipendenti % Totale % 1981 38,8 27,0 30,5 1991 49,9 11,9 25,5 2001 41,2 10,7 20,5 2008 43,9 12,4 24

Fonte: ns. elaborazioni su dati ISTAT, L’occupazione non regolare secondo le statistiche ufficiali (2011)

La flessibilità funzionale, riferita alla mobilità interna, si basa in larga mi- sura sulla polivalenza della manodopera non qualificata che può essere utilizzata per diverse mansioni. Come mostrano i dati del Sistema Informativo Excelsior sui fabbisogni professionali e formativi delle imprese agricole (cfr. Tab.3.3), la doman- da di lavoro non qualificato e con basso livello d’istruzione risulta prevalente e in misura superiore nelle assunzioni di lavoro stagionale rispetto a quello stabile. Le richieste di personale non qualificato sono il 55,9% del totale dei lavoratori stagio- nali e il 31,5% di quelli stabili. E’ sufficiente aver conseguito la scuola dell’obbligo nel 90,2% delle previste assunzioni di lavoratori stagionali e nel 54,5% di quelle di lavoratori stabili.

Tab. 3.3 - Assunzioni di dipendenti stagionali e stabili, per grandi gruppi profes- sionali e livello di istruzione (previsioni 2011)

Tipologie Stagionali Stabili

000 di unità 000 di unità 493,5 11,5

% %

Gruppi

professionali Professioni tecniche 0,0 8,2

Impiegati e professioni commerciali 1,7 10,8 Operai e agricoltori specializzati 32,8 34,0 Conduttori impianti e macchine 9,6 15,4 Personale non qualificato 55,9 31,5

Livello di istruzione

Laurea o diploma 4,2 31,8 Qualifica professionale 5,7 13,7 Scuola dell’obbligo 90,2 54,5

L’esternalizzazione, infine, risponde ad esigenze organizzative tradizional- mente connesse al fenomeno del contoterzismo, ma coinvolge soprattutto risorse umane esterne con più elevata qualificazione tecnico-professionale, non assunte come lavoratori dipendenti (Tab. 3.4). La diffusione del lavoro autonomo e parasu- bordinato nelle attività di servizio alle imprese agricole si inserisce nel quadro dei molteplici rapporti di lavoro che le imprese agricole intrattengono secondo schemi variabili per competenze, responsabilità, tempi e funzioni in grado di garantire una elevata flessibilità in funzione dei processi di adattamento che si rendono neces- sari (Carrà, 2011).

Tab. 3.4 - Imprese agricole che fanno ricorso a imprese contoterziste e consulenti esterni per classe dimensionale (2011)*

Indicazioni Classe dimensionale (n. dipendenti) Totale

1-9 10-49 50 e oltre

Imprese che fanno ricorso a im-

prese contoterziste (% sul totale) 31,2 32,1 26,1 31,2 Imprese che fanno ricorso a con-

sulenti esterni (% sul totale) 73,9 82,1 92,0 74,7

(*) Classe dimensionale determinata sul numero di dipendenti medi annui.

Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, Sistema Informativo Excelsior, 2011