L’angular analysis
3.1.1 Considerazioni in generale
“La libertà non è stare sopra un albero, non è neanche il volo di uno moscone […] Libertà è partecipazione” (G.Gaber, La libertà 1972)
Lo sprawltown è stato lo scenario dove l’individuo ha voluto perse- guire la necessità moderna della libertà individuale, espressa nella completa accessibilità ai servizi, al benessere, alla casa e al lavoro. Essere liberi significa dunque esser liberi di consumare, ma la fuga individualistica da un’identità ereditata dalla cultura urbana non è necessariamente liberatoria. Persiste ancora l’idea e la necessità di partecipare al dialogo e risolvere problemi collettivi per sentirsi libe- ri, così come accadeva nella polis greca, dove la massima vergogna era essere ostracizzati dalla comunità. Sotto il manifesto della libertà individuale, i praticanti dello sprawl si sono auto ostracizzati, ma tra tutti i frammenti alienati della città diffusa, ci si attende un nuovo synoikismos, l’accordo di vivere insieme nel dialogo. E questo non è un mandato per i politici ma anche una questione per i progettisti.
Sprawl descrive come la città si sia sdraiata sul territorio, town signi- fica comunità. Così come la città, anche la comunità esce mutata da questa espansione, soprattutto nella deriva dei rapporti di vicinanza e partecipazione: il mondo civico della piazza è stato abbandonato perché si lavora e si vive altrove, i valori della polis sono monu- mentalizzati nella forma urbana dei centri storici o riprodotti in altri contesti, di fatto terra di nessuno. All’indeterminatezza del territorio corrisponde uno spaesamento del cittadino, la strada di scorrimento e il paesaggio spezzettato dello sprawl inducono soltanto dubbi in- torno al legame tra sistema viario e tessuto urbano. Al di fuori della town, la comunità si risolve senza adiacenza e propinquità.
Con la crisi del modello fordista, l’articolazione urbana non è più tra i due poli del centro e del territorio circostante, ma bensì un si- stema policentrico di nodi collegati da assi, il cui funzionamento ha rimandi alla dinamicità del flusso. Lo spazio urbano è frammentato, da nodi e connessioni, e mantiene in sé il rischio implicito di non riuscire a riconnettersi: si crea una rete di occasioni individuali che ristringono le possibilità di incontro e lo spazio che ne rimane. La nuova città è insieme città generica e città incerta, generica perché tende all’omogeneizzazione e similitudine delle forme, determinan- do la perdita del luogo e la sua identità, incerta perché si articola in una pluralità di zone territorialmente segregate e culturalmente segmentate. Nella città in generale e nella periferia in particolare si assiste a una crisi spaziale: la periferia è luogo di disorientamento, di ripetizione e standardizzazione, di frenesia, dove ci si muove in continuazione. C’è un’accezione negativa di periferia intesa come
lontananza, uno spazio definito attraverso la negazione, dove non c’è città, non c’è paesaggio, non ci sono servizi, non ci sono luoghi, ma ce n’è anche una positiva che ritiene che in questa stessa peri- feria, attraverso la varietà e pluralità che la caratterizzano, si man- tengano il conflitto e l’innovazione che sono il fondamento di ogni organismo urbano. La crisi spaziale porta, o ne è causa, alla crisi dello scenario dove spazialità e comunità agiscono, lo spazio pub- blico che veniva vissuto nella piazza, quindi uno spazio per natura aperto ed esterno, nella città contemporanea sempre più spesso si associa alla forma chiusa e interna del grandi contenitori di terziario e tempo libero. Nel mentre che si accresce il concetto di una comu- nità senza prossimità, dove si accede a canali di comunicazioni, a nuove idee e gli individui possono prendere parte a relazioni sociali non dettate dalla prossimità spaziale, decresce l’importanza della comunità luogo, per cui conta la posizione fisica.
Alla crisi spaziale corrisponde inevitabilmente una crisi sociale, che si imputa al cedimento di tre capisaldi della coscienza dell’essere umano: la crisi del concetto di tempo, che non porta più con sé quella di progresso, del concetto di spazio, che deve fare i conti con la nuova dimensionalità del luogo in cui si vive, e la crisi infine dell’individuo, lo sviluppo dell’egocentrismo che porta a ritenerci compiuti in noi stessi, senza necessità della comunità.
Se il luogo si definiva attraverso tre figure elementari, la linee, l’in- tersezione di linee e il punto di intersezione, e quindi identità e rela- zione e storia erano il centro di ogni dispositivo spaziale, qui, ades- so c’è il non luogo, dove non c’è identità, dove non c’è relazione,
dove non c’è storia.
Rimane ancora una possibilità, che può venir colta grazie a una crisi maggiore e più recente che ci ha investito, gli spazi scartati, bianchi, che si rendono disponibili alla trasformazione e al cambiamento: i tasselli dismessi delle città spesso incorrono in semplicistiche demo- lizioni così i territori di mezzo centrali nell’esperienza urbana perché capaci di raccontare le transizioni e gli stravolgimenti di specifiche configurazioni spazio temporali, sono lasciati a se stessi, spazi bian- chi che potrebbero diventare campi di applicazione di una modalità operativa che sa cogliervi margini di utilizzo e di senso.
La progettazione si deve basare sulla ricerca di questa possibilità, sulla capacità di lettura e interpretazione dell’esistente e dell’inne- sco di un processo di risignificazione.
Il territorio municipale è quasi completamente insediato, in stile e fasi differenti, si è andato a occupare il settore racchiuso dalle sue infrastrutture perdendo il senso dei primi insediamenti, che avevano concepito il rapporto con la campagna di Roma come il privilegio della nuova direzione di espansione. Il rischio che quindi adesso è insito nel territorio così articolato è quello di un’ulteriore saturazione degli spazi andando a perdere definitivamente la forte caratteriz- zazione verde, espellendo il volume verde al di fuori del Raccordo Anulare. Questo spazio bianco rimasto, privo o incompleto di una progettazione reale, diventa una barriera più che un territorio di confronto tra quelle che adesso sono le principali dimensioni del municipio: l’insediamento, frammentato certo, ma consolidato nel- la forma e nella funzione residenziale, e la Centralità Urbana Bu- falotta, nuovo centro del commercio su vasta scala che rischia di diventare, per gli utenti esterni, l’elemento caratteristico dell’intero municipio. Un superluogo, una big box tutta proiettata al suo in- terno, che instaura una distanza insormontabile rispetto al mon- do circostante: la sua accessibilità è principalmente su vasta scala, dimentichi di provvedere a una locale. Oltre che l’impatto fisico, l’impatto sociale di questo insediamento sul quartiere è devastante, i commercianti, schiacciati dalla supremazia del centro commercia- le, lasciano gli spazi lungo le vie principali a attività di scarso livello, come kebabbari e minimarket, riducendo la frequentazione di que- ste strade e l’innesco di un fenomeno di percezione dell’insicurezza, in un circolo vizioso che porta ad un complessivo impoverimento della vita di quartiere.