Spazi pubblici e mondi paralleli | Cenzatti e Crawford
1.1.4 Sulla questione del non luogo
1.1.4.1 Non-lieu| M.Augè
“Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale e storico, uno spazio che non può definirsi nè identitario, nè relazionale, nè storico definirà un non luogo.”
Per definire il luogo il sociologo Marc Augè si rifà alla totalità del fatto sociale, che si pone sia come somma delle istituzioni che lo compongono sia come insieme delle diverse dimensioni in rapporto alle quali si definisce l’individualità di ciascuno di coloro che lo vivono e vi partecipano.
Le collettività hanno infatti bisogno di pensare nello stesso tempo all’identità e alla relazione e dunque di simboleggiare gli elementi costitutivi dell’identità condivisa, particolare e singola: il luogo an-
tropologico è principio di senso per chi lo abita e di intellegibilità per chi lo osserva. E’ la reiterazione stessa del luogo antropologico che ne condivide e conferma la necessità, decretandone quindi i tre caratteri principali, identitari, relazionali e storici.
• La concezione aristotelica di luogo lo definisce come spazio
in cui un corpo è posto, ogni corpo occupa quindi un proprio spazio e ne definisce l’identità di luogo.
• In ogni luogo possono coesistere elementi distinti e singoli,
ma non si possono negare le relazioni reciproche né l’identità condivisa che conferisce loro l’occupazione di un luogo comune.
• Un luogo è storico quando coloro che vi vivono possono
riconoscervi degli elementi che non devono essere oggetti di conoscenza.
I vari centri di potere sono al contempo luoghi monumentali, sim- boli della potenza dello stato e metafore visive di una ideologia condivisa da una nazione. Le abitazioni dei comuni mortali, anche se prive di aspetti monumentali o celebrativi, sono anch’esse luoghi che in diversa misura individuano la formazione culturale dei loro abitanti e la loro appartenenza sociale, conservano le loro memo- rie, condizionano comportamenti e creano consuetudini di utilizzo. Sono edifici che rendono riconoscibili i luoghi, sostanziano la me- moria individuale e collettiva.
che si può definire attraverso tre figure elementari dello spazio so- ciale, la linea, l’intersezione tra linee e il punto di intersezione. Nella città questi si traducono in itinerari, crocevia e centri più o meno monumentali. Sono queste stesse nozioni a sovrapporsi: un itine- rario può passare per differenti punti importanti che costituiscono altrettanti luoghi di incontro, questi punti possono essere fissi su itinerari che loro disegnano, e possono essere luoghi di attrazione e quindi caratterizzati da centri o monumentalità. Identità e relazio- ne diventano il centro di tutti i dispositivi spaziali, supportati anche dalla dimensione temporale, quindi gli itinerari si misurano in ore o minuti, il mercato, luogo di attrazione, si svolge in alcuni giorni, il monumento è espressione tangibile di permanenza.
La modernità non cancella i luoghi e i ritmi antichi, li pone sul- lo sfondo: le nostre città si trasformano in musei proprio mentre tangenziali, autostrade o strade a scorrimento veloce le aggirano. Lo fanno però con una punta di rimorso, infatti tempestano queste arterie esterne con indicazioni delle bellezze e della storia. I luoghi sono indicatori del tempo che passa e che sopravvive.
Il luogo si compie poi nelle parole, parlando lo stesso linguaggio si riconosce di appartenere allo stesso mondo, quindi nello scambio allusivo, nella convivenza e nell’intimità complice dei locatari. La surmodernità, prodotto di tre trasformazioni del mondo contem- poraneo : del tempo, dello spazio e dell’individuo
• Del tempo in quanto non possiamo più rifarci all’idea
dell’avanzamento temporale come sinonimo di progresso dopo i grandi stravolgimenti e le grandi atrocità avvenute nel XX secolo.
• Dello spazio, in quanto i mutamenti di scale, i riferimenti
immaginifici, l’accelerazione dei mezzi di trasporto comportano mutazioni fisiche considerevoli, che ci portano a dover reimparare a pensare lo spazio.
• Dell’individuo e del suo egocentrismo, in quanto ognuno
si considera compiuto in sé, rendendo labile e imprecisa l’identificazione collettiva in cui ogni individuo è implicato. Ed è proprio la surmodernità riproduce non luoghi antropologici che invece non integrano in sé i luoghi antichi.
Il concetto di non luogo si evolve in quello di superluogo quando torna ad accogliere in sé uno scambio sociale, anche se questo avviene nell’ottica del consumo. Il superluogo è un sintomo di cam- biamento di scala in un tessuto urbano tendente al decentramento: i centri storici delle grandi città sono ridotti a luoghi turistici, le attività e i centri commerciali migrano verso le periferie urbane, seguendo un percorso già praticato dal movimento di merci e persone. Ecco che i superluoghi diventano nuovi centri della città estesa, rimanen- do non luoghi nella loto indifferenza al sito, nella loro monumenta- lità e neutralità ma aggiungendovi l’isolamento della città storica e un concetto di spazio pubblico che prescinda dalla prossimità e sia trainato e unificato dall’elemento del consumo.
Un superluogo è una big box che ospita altre box di varie funzioni. La sovradimensionalità impera.
1.1.4.2 Sui non luoghi | L. Prestinenza Puglisi
Così quindi come Augè si chiede se la nostra società non stia di- struggendo il concetto di luogo come si è configurato nelle società precedenti, Luigi Prestinenza Puglisi ne biasima la lettura nostalgica esaltandone la dimensione dinamica12 : i luoghi tradizionali presup-
pongono una società sostanzialmente sedentaria, un microcosmo dotato di confini ben definiti; i non luoghi sono i nodi e le reti di un mondo senza confini.
Un luogo rimanda memorie, impone atteggiamenti e consuetudini, e proprio queste caratteristiche mancano per esempio alle strutture che nella nostra società contemporanea sono adibite al trasporto, al transito, al commercio, al tempo libero. Entriamo in un aeroporto: si fa una fila, si passa il check in, si mostrano i documenti, si visita il duty free shop, si paga preferibilmente mediante carta di credito, ci si muove seguendo messaggi anonimi, si sbarca in un altro ae- roporto simile al precedente dove ci attendono formalità identiche. Si pensa non per l’uomo specifico, conosciuto ed identificato come diverso rispetto agli altri, ma per l’uomo generico, individuato dal numero di un documento o di una carta di credito, queste strutture architettoniche sono configurate per ospitare un commercio muto, un mondo lasciato ad individualità solitarie, tutte assolutamente
uguali. La società democratica, non pone pregiudiziali di appar- tenenza: per poter accedere ed utilizzare le strutture della nostra contemporaneità basta che la persona – di qualunque nazionalità, credo o colore- rispetti alcune regole. Poche e ricorrenti, uguali per un centro commerciale, un parcheggio interrato , una autostrada o una macchina che eroga denaro. Ci si fa riconoscere come solvibili, si attende il proprio turno, si seguono le istruzioni, si fruisce del pro- dotto, si paga. L’identificazione è resa possibile dal passaporto, dal- la carta di credito, da un riconoscimento astrattamente sociale. Non più dalla conoscenza individuale, dal riconoscimento del gruppo. Dal punto di vista architettonico i non luoghi sono gli spazi dello standard. Sono strutture dove nulla è destinato al caso: al loro in- terno è calcolato il numero dei decibel, dei lux, la lunghezza dei percorsi, la frequenza dei luoghi di sosta, il tipo e la quantità di informazioni. Sono sicuramente gli unici spazi architettonici dove si è concretizzato il sogno della macchina per abitare, cioè della ergonomia, della efficienza, del confort tecnologico.
La loro quasi inevitabile omogeneizzazione è il prezzo pagato in termini figurativi. I non luoghi sono identici a Milano, a New York, a Londra o a Hong Kong. Monotonia, noia? –si chiede Prestinenza Puglisi- Tutt’altro. Gli utenti poco si curano che i centri commerciali siano tutti uguali. Anzi apprezzano la ripetizione delle infinite strut- ture così simili tra di loro, come dimostra la formula del franchising. L’utente sa, infatti, che troverà in qualsiasi città la catena dei suoi ristoranti preferiti o il suo albergo, e sarà certo degli standard di servizio a lui offerti. Similmente sa che qualunque aeroporto o auto-
strada vale un’altra e può tranquillamente avventurarvicisi sia che si trovi a Palermo o a Montreal.
Afferma Augè: “paradosso del non luogo: lo straniero smarrito in un Paese che non conosce ( lo straniero “di passaggio”) si ritrova soltanto nell’anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio, dei grandi magazzini o delle catene alberghiere”.
Simili a se stessi, eppure diversi: ecco un altro paradosso dei non luoghi. Entriamo in un grande centro commerciale: troveremo la cucina cinese, italiana, francese, tunisina, il negozio danese, ame- ricano, giapponese. Ognuno con un proprio stile. Continua Augè “ nei non luoghi vi è sempre un posto specifico ( in vetrina, su di un manifesto, a destra dell’aereo, a sinistra dell’autostrada) per del- le “curiosità” presentate come tali: ma essi non operano alcuna sintesi, non integrano nulla, autorizzano solo per il tempo di un percorso, la coesistenza di individualità distinte, simili e differenti le une dalle altre”.
Dal viaggio come esperienza della conoscenza, la società contem- poranea è arrivata al viaggio come concatenamento di diapositive, cioè di immagini frammentarie e tipiche. Ma se il mondo è ridotto al tipico, non è, in fondo, difficile estrarre i caratteri essenziali e portarli direttamente a domicilio. D’altronde noi europei che tanto storcia- mo il naso di fronte al potere devastante del tipico che caratterizza i non luoghi non ci accorgiamo, che nonostante le nostre Soprinten- denze imbalsamatrici, abbiamo permesso una simile omologazione di tutti i centri storici delle nostre città. A Londra, Parigi, Milano o a Roma si passeggia nello stesso modo: identici i negozi, i mimi, i
venditori di cibaglie, le macchine per il cambio di valuta, il senso di solitudine.
Per sentirci in un contesto sociale non ci rimane che guardare lo spettacolo degli altri che camminano e, a loro volta, ci osservano: uno spettacolo dove attori e spettatori si confondono in un recipro- co e continuo scambio delle parti.