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Spazi pubblici e mondi paralleli | Cenzatti e Crawford

1.1.5 Sulla questione dell’infrastruttura

1.1.5.1 Infrastrutture e nuova mobilità | AA.VV

La città contemporanea si è andata configurando come un orga- nismo disperso e frammentato, interconnesso da un sistema di in- frastrutture: quello delle infrastrutture è un ambiente fisico dove si svolge la maggior parte del tempo di coloro che utilizzano la città, uno spazio che non si è ancora riusciti a costruire come luogo, ma di cui è palese il ruolo collettivo, perché è anche li che la città vede e riconosce se stessa.13

In tale organismo è aumentata la necessità di mobilità, sia per mo- tivi professionali, culturali, turistici sociali, ma anche solo per il pia- cere di muoversi. Ecco quindi che la mobilità è diventata elemento caratterizzante della stessa società contemporanea, esigendo un ripensamento di ciò che una volta era considerato uno spazio pura-

mente tecnico. 14 Le cosiddette “infrastrutture della mobilità” conno-

tano spazi sempre più rilevanti di paesaggio senza riuscire a creare luoghi, anzi spesso creando le condizioni di degrado dei medesimi luoghi da queste attraversati. Pensate e progettate per migliorare la vita della collettività, aumentando la possibilità e il raggio d’a- zione dell’individuo queste infrastrutture hanno spesso contribuito alla dequalificazione del paesaggio: nell’attraversare territori hanno definito altri territori marginali, spazi sottoutilizzati o inutilizzati, dif- ficilmente accessibili e quindi degradati. Le cause di questa cattiva integrazione sono da ricercare nell’indifferenza verso la natura e il carattere dei luoghi, la banalità e la povertà di soluzioni progettuali e la concezione di spazio dei trasporti come elemento rigidamente monofunzionale.

La frattura tra progetto dell’infrastruttura e disegno della città, tra infrastruttura e qualità dei suoi spazi pubblici è piuttosto recente, per tutto l’Ottocento infatti è proprio l’infrastruttura a definire la modernizzazione della città, dotandola di nuovi servizi necessari e reinventandone la forma e gli spazi pubblici e a rendersi parte fon- damentale della forma della città.

Nel Novecento il movimento diventa l’interesse primario. E’ il secolo in cui l’infrastruttura incontra l’utenza di massa e mette a punto le tecniche che ne garantiscono il funzionamento.15 Complice quindi

l’irruzione dell’automobile e degli aeroplani, una serie di percorsi aerei e di viadotti, con lo scopo della massima velocità traforano edifici e sorvolano lo spazio urbano sottostante, secondo un criterio di organizzazione monofunzionale che sancisce il distacco tra la

strada e lo spazio pubblico. A partire dagli anni 20/30 del Nove- cento l’infrastruttura viaria si svincola quindi dal disegno del tessuto edilizio acquistando autonomia e rendendosi indipendente, seman- ticamente e praticamente, dalle contingenze e dai condizionamenti imposti dai luoghi. Un oggetto isolato nel paesaggio.

Ecco quindi che gran parte delle città del mondo, ad oggi si tro- vano a dover fare i conti con una serie di superstrade e autostrade a scorrimento veloce realizzate senza particolar attenzione al fatto urbano nella misura propria della città e quindi ad aver a che fare con l’indagine sulla rimodellazione di infrastrutture esistenti, che si articolino in relazione alle specifiche urbane e contaminando la se- zione stradale con l’introduzione di altre funzioni rispetto a quelle veicolari.

La ricerca di una maggiore integrazione tra infrastruttura di traspor- to e spazio pubblico porta a un’ibridazione del singolo manufatto con altre tipologie o frammenti di queste, soprattutto come nel caso in cui l’infrastruttura si sollevi da suolo diventando un elemento tridi- mensionale con una propria evidente spazialità: un esempio su tutti il Ponte Vecchio a Firenze.

Il ponte Vecchio deve la sua immagine attuale a una stratificazione ottenuta nei diversi secoli, colonizzato in primis dai macellai, cac- ciati dalle vie della città per i loro scarti e i loro odori, successiva- mente dalla costruzione del corridoio vasariano, la vista del fiume è adesso praticamente inaccessibile per i passanti: lo spazio interno è creato dall’attività di chi lo vive e dal prolungamento delle strade che vi danno accesso in una sintesi che fa pensare a uno spazio

fuso tra interno e esterno e che sancisce il superamento dell’idea zeviana dell’opera architettonica che nasce dal rapporto tra spazio esterno con cui interagisce attraverso il proprio volume e lo spazio interno dove l’uomo svolge la propria attività. Questa concezione di spazio è un intermezzo tra lo spazio classico e lo spazio urbano che trova la propria dimensione ritagliandosela nella città, uno spazio in between.

Sostiene Vittorio Gregotti che i due aspetti che intrecciano le in- frastrutture, il territorio e l’architettura, due aspetti connessi ma in qualche modo separabili. Mentre il territorio riguarda il tracciato dell’infrastruttura visibile o invisibile, subendone o imponendo mo- dificazioni nel percorso stesso, così come negli aspetti insediativi circostanti, l’architettura riguarda il disegno del manufatto, la sua capacità di dialogo con il circostante, con cui si deve confrontare anche a livello di scala, una questione spesso risolta con il trion- falismo dell’infrastruttura. Sulla base della duplicità semantica del termine territorio, che può essere paesaggio e panorama, Gregotti riprende lo studio di Paolo d’Angelo affermando che l’insieme della nostra storia è presa di possesso del paesaggio, invenzione di figura e modificazione della natura in modo da trasformarla in paesaggio conoscibile: nascono i paesaggi industriali, paesaggi di periferia, di rovine, di assenze e paesaggio di sogno, che appartengono in ogni risoluzione, alla natura. Che ruolo gioca quindi questa pluralità di paesaggi nei grandi sistemi infrastrutturali e sulle opere di architettu- ra? Una grande architettura deve apparire come se avesse sempre abitato quel luogo e fatto parte di quel paesaggio, diventandone

parte necessaria, pur continuando a sorprendere.

Nel saggio “Mutazioni strutturali” Franco Purini parte dal significato etimologico di infrastruttura, che indica ciò che sta sotto le strutture. Quindi sia tutto quello che risulta nascosto, sia qualcosa che costi- tuisce la base degli edifici. Nello sviluppo di questa dicotomia, le infrastrutture oggi rappresentano un elemento pervasivo che lega le varie parti della città conferendo ad essa un’ambigua relazione di continuità e discontinuità. Ecco che le infrastrutture, come duplici emblemi di articolazione e disarticolazione, hanno ceduto il passo a una volontà di proporsi come architetture integrali, momenti di accensione linguistica e scalare che segnano il tessuto urbano, pas- sando dallo stare sotto allo stare tra. Ma cosa sono le infrastrutture? Elementi di geografia artificiale. Sculture.

L’Autostrada del Sole per esempio si può interpretare come un uni- co manufatto composto per tutta la sua lunghezza da un rilevato che prevede l’inserzione di ponti, viadotti, raccordi, autogrill: essa possiede una dimensione narrativa costituendosi come la successio- ne di ambienti simili e allo stesso tempo diversi. Questa architettura territoriale non è però leggibile nel suo complesso, ma solo attra- verso singole inquadrature. Da questo punto di vista la natura delle infrastrutture è insieme unitaria e seriale, nel senso che il continuo scorrere di una sezione è contrappunto alla ripetizione modulare di alcune componenti standardizzate, come ad esempio i caselli che introducono nel sistema una nota di atopicità. Un’infrastruttura non ha uno spazio interno, quindi secondo la definizione zeviana non sarebbe propriamente un’architettura, anche se, quando si entra in

un tunnel questa limitazione viene a cadere. Ma se un ‘infrastruttura non ha spazio interno, senza dubbio essa produce spazialità, una spazialità in movimento. Il carattere plurale delle infrastrutture con- ferisce un’instabilità concettuale che influisce sul loro progetto, ma anche essere un’infrastruttura assimilabile a una struttura urbana, a una città lineare contrasta con la sua riduzione a una somma di episodi architettonici isolati.

Ecco perché non abbiamo ancora una potente espressività o una singolare fisionomia figurativa.

Le incertezze fino a qui rilevate si sommano creando un rigetto de- gli organismi urbani verso le stesse infrastrutture, per due ragioni fondamentali :

• sia perché le infrastrutture che penetrano nel tessuto urbano

sono principale fattore di degrado, poiché molto più spesso che connettere, separano diverse parti urbane. L’incompatibilità tra elementi delle infrastrutture e paesaggio della città è di natura funzionale, ambientale ed estetica, creando delle vere e proprie barriere topografiche che creano fratture nel contesto urbano, introducendo nella scena violenti scarti di immagine e irriducibili contrasti scalari.

• sia perché le infrastrutture hanno un’idea temporale veloce

e lineare che oggi è profondamente cambiata: la rapidità del collegamento eliminava qualsiasi interferenza nel tragitto sovrapponendo al tracciato della città un sistema superiore

di viabilità più veloce, oggi si ritorna a una disseminazione dello spazio urbano come disseminazione reticolare delle comunicazioni, una modalità più attinente al tracciato che legge la città come qualcosa di poroso e continuo. La città diffusa ha infatti bisogno che ogni sua singola parte sia raggiungibile senza percepire alcun problema di accessibilità. Ecco come la rete è il calco viabilistico in relativo di ogni insediamento sparso. La situazione così posta va a evolvendosi secondo una strategia della rimozione di numerose opere infrastrutturali, anche se il re- cupero dell’High Line a New York è paradigma di come le infra- strutture, classici non luoghi, possano essere interamente ripensati come luoghi. Le metropoli attuali stanno subendo il doppio cam- biamento ,per un verso si liquefanno, secondo la teoria di Zigmunt Bauman perdendo l’identità delle cose e la loro coesione, dall’altro si mescolano in una metamorfosi spesso indecifrabile cercando di adeguarsi alla sostenibilità e alla decrescita. Anche le infrastrutture dovranno votarsi all’invisibilità.

Anche Aldo Aymonino tratta il tema del rapporto tra architettura e infrastruttura ma in termini di conflittualità materiale: l’incontro/ collisione tra il tracciato stradale e architettura si è sempre risolto in favore del primo: inteso come elemento di permanenza nella forma della città ogni volta ha obbligato l’architettura, considerata alla stregua di un mero accadimento, a delle vere e proprie stranezze costruttive16. Il flusso veicolare è diventata la nuova sintassi della

ricamente occupato dall’elemento statico centripeto è sostituito dal flusso veicolare centrifugo, mentre chi utilizza uno spazio pubblico vero e proprio si dispone sui bordi. Il movimento infrastrutturale diventa così uno spettacolo urbano. Negli ultimi anni la percezio- ne del manufatto infrastrutturale si è trasformata dall’essere subita come espressione ostile a un sistema duttile e stimolante per alloca- re molteplici funzioni. Colonizzando le fasce di rispetto, l’infrastrut- tura è diventata uno dei modelli estetici pervasivi dell’architettura. Ma nell’equilibrio instabile del rapporto tra manufatti infrastrutturali e spazi urbani, l’ultimo tassello irrisolto rimane quello del conflitto tra manufatto tecnico e spazio collettivo. A sistemarlo ci pensano Artura Baeza e Alberto Cruz con il progetto dell’Avenida de Mar, un progetto in cui un’infrastruttura funzionante e uno spazio pubblico compongono due spazi equipollenti di pari espressività e significato funzionale collettivo che si rendono completamente essenziali l’uno all’altro. A partire da questo spartiacque ideologico si è andati a recuperare un’infrastruttura dismessa o ridimensionata per trasfor- marlo in spazio pubblico. Come dimostrano i progetti della Prome- nade Planteè e della High Line, la dimensione prevalente dell’infra- struttura, ossia la lunghezza, accompagna il movimento naturale dello spazio pubblico, disegnando una serie di spazi di incontro e di sosta per i piccoli numeri, trasformando il manufatto monofunzio- nale in un territorio lento. Entrambe i progetti stanno poi avendo un ruolo attivo come rigeneratori del tessuto urbano edilizio circostan- te, in quanto facility per lo spazio pubblico e anche come strumento efficace di controllo e indirizzo della trasformazione urbana, incenti-

vando anche la trasformazione dello spazio intermedio tra pubblico e privato, trasformando zone di negletta urbanità in spazi residuali con senso spaziale compiuto.

Come sostiene Carmen Andriani nel saggio “Infrastrutture mino- ri nei territori dell’abbandono”, sono proprio queste infrastrutture minori, obsolete e sottoutilizzate, sull’orlo della dismissione o di un nuovo ciclo di vita su cui possono attecchire diverse forme di ap- propriazione: le infrastrutture deboli possono essere abitate, aggre- gare attorno o lungo il proprio sedime altre funzioni. Dalla loro integrazione ed alternanza deriva la loro efficacia sul territorio e la capacità di attivarne le energie latenti e le potenzialità difficili da vedere. Si tratta, continua Andriani, di cominciare da ciò che esiste, leggere un contesto sapendone le vocazioni negate e le domande che non hanno avuto risposta, di riprendere possesso con i luoghi, risignificando l’esistente e mettendo in relazione le cose con le idee rilevando creativamente tracce di atti già compiuti.