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Contadini, aristocratici e contrabbandieri: il «dialogo politico tra diseguali» nelle Cicladi

Se le Isole Ionie costituirono i termini a quo e ad quem del viaggio di Ottaviano Bon, Giovanni Pasqualigo e Marco Loredan, la maggior parte del loro tempo fu dedicata alla visita di Creta, isola estesa e difficile, estremamente variegata nelle sue strutture sociali e nelle sue espressioni culturali e antropologiche, oltre che nella sua conformazione geografica439.

L’approdo a Candia, avvenuto nei primi giorni d’ottobre del 1612440, coincise con l’inizio di

un lungo periodo di permanenza degli Inquisitori nella capitale del Regno, dove essi tra- scorsero tutto l’inverno e parte della primavera 1612-’13, per poi ritornarvi temporanea- mente nell’autunno successivo441.

Durante i loro soggiorni nella città di Candia, essi profusero parecchie energie in rego- lamentazioni di carattere generale, avviate, per così dire, ex officio, cioè automaticamente, in forza di situazioni già note la cui effettiva gravità essi erano stati mandati a verificare sul posto per porvi opportuno rimedio.

Oltre a porre sotto inchiesta l’operato di quelle istituzioni giudiziarie che erano state plasmate su modello veneziano (come l’Avogaria di Comun e i Giudici del Proprio)442, o ad

assumere il giudizio di cause civili o penali di peculiare delicatezza443, gli Inquisitori dovet-

tero cercare di rimediare ai danni provocati dalle negligenze dei ministri della Cancelleria

così presente come absente, viene punito di pena pecuniaria e così pesante che a noi ha parso che per il più si sia dato nell'eccesso, e per ciò siamo stati necessitati a sollevare molti che ingiustamente furno condannati, né havemo possuto regolare in questo reggimento questo negocio come lo havemo fatto in altri luochi giusta la parte dell'eccellentissimo Senato, perché li conseglieri eletti per il Maggior Conseglio dissero di non volerci obedire, e per non taccar contese l'habbiamo lasciato inresoluto» cfr. ASV, Collegio, Relazioni, b. 79, fasc. 8, marzo 1616; nonostante il protocollo si riferisca a tutto il terzetto sindacale, i riferimenti interni al docu- mento fanno intendere che il solo autore sia stato Ottaviano Bon.

439 Gli anni a cavallo tra Cinque e Seicento videro un fiorire di scritti e descrizioni geografiche su tale territo-

rio, di primario interesse nei piani economici e di difesa militare della Repubblica, che dopo la perdita di Cipro ne sentiva enormemente minacciato il dominio. Cfr. Stefanos Kaklamanis, «Η χαρτογραφήση του τό- που και των συνειδήσεων στην Κρήτη κατά την περίοδο της Βενετοκρατίας», in Candia/Creta/Κρήτη. Ο χώ-

ρος και ο χρόνος. 16ος/18ος αιώνας, (s. l.: Morfotikò Idryma Ethnikìs Trapèzis, 2005), 11–69.

440 Probabilmente il 12 ottobre, giorno dell’inquisizione generale, cfr. supra. 441 Libro primo Atti; Libro secondo Atti.

442 Libro primo Atti, 12v-13r.

443 Come la disputa concernente le prerogative del primicerio della cattedrale di S. Marco a Candia, disputa

che fu all’origine di un consulto di Gasparo Lonigo, assistente di Paolo Sarpi. Cfr. ASV, Senato Mar, fz. 201, 21 maggio 1613; Collegio dei Dieci poi Venti Savi del Senato, b. 6.

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Ducale, che avevano smarrito o lasciato inevasi moltissimi fascicoli, determinando il cri- stallizzarsi di liti e tensioni concernenti il distretto di Candia e non solo; e ciò, nonostante un’oggettiva sovrabbondanza dell’organico rispetto al bisogno, o forse proprio per questo. La cosiddetta «riforma della Cancelleria», che ne risultò, consistette nella redazione di una specifica raccolta di terminazioni volte a regolamentare sia la materia delle assunzioni sia le modalità pratiche di registrazione di atti e processi, e destinata a costituire una delle basi legislative dei controlli sindacali svolti negli anni a venire444.

In ambito finanziario, questi tre Sindici procedettero a sanare il bilancio della Camera fiscale, emanando decreti di esazione destinati non solo a Candia ma anche alle altre tre province dell’isola: La Canea, Rettimo e Sitia, parte dei cui cespiti confluiva nella capitale. A Candia, inoltre, l’attività urbana del prestito a interesse venne parzialmente posta sotto controllo con l’istituzione del primo Monte di Pietà delle isole greco-venete, il quale andava a giustapporsi alle attività di credito dell’importante e antica comunità ebraica dell’isola445.

Si iniziò anche a Creta, dunque, a procedere a un’opera di identificazione dei soggetti debitori, modulandone i criteri in base al ceto sociale di appartenenza e alle potenziali con- seguenze civili e penali cui essi erano esposti. Come dimostrano i proclami banditi a ri- guardo, l’intenzione iniziale degli Inquisitori era probabilmente quella di porre un argine al malcostume, messo in atto dai feudatari cretesi446 con la complicità dei notai, di vantare

presso i contadini dei propri terreni crediti maggiori di quanto dovuto, grazie alla mancata registrazione delle cifre dovute o dei beni in natura pretesi. Il 22 dicembre 1612 Bon, Pa- squaligo e Loredan ordinavano quindi ai cavalieri di far annotare i crediti vantati entro il mese di febbraio prossimo venturo, pena la totale cancellazione dei debiti dei contadini verso i propri signori447.

444 Aspassia Papadaki, «Βενετική πολιτική και γραφειοκρατική οργάνωση στον Χάνδακα: πρoτάσεις ανασυ-

γκρότησης της δουκικής καγκελλαρίας κατά τον 17ο αιώνα», Θησαυρίσματα 34 (2004): 371–94. Il testo della riforma è conservato in: Libro primo Ordini, 7v-18v. Esso venne incorporato entro la legislazione presente all’interno della stessa Cancelleria candiota, come traspare da: ASV, Duca di Candia, b. 50bis.

445 Anastassia Papadia-Lala, Το Monte di Pietà του Χάνδακα (1613-μέσα 17ου αιώνα). Συμβολή στην κοινωνική

και οικονομική ιστορία της βενετοκρατούμενης Κρήτης (Athina: 1987); Jacoby, «Venice and the Venetian

Jews». L’anno successivo, cioè nel 1614, gli Inquisitori emanarono anche a Zante alcuni provvedimenti mirati a controllare le attività di prestito a interesse svolte dagli ebrei, cfr. Libro Secondo Ordini, 25r. Nello stesso tempo però tentarono di reprimere gli atti di «insolenza» usati nei confronti della locale Judaica, per esempio cercando di punire coloro che erano stati accusati di prelevare cadaveri dalle sepolture ebraiche, cfr. Ivi, 37v.

446 Adotto qui il termine in senso generale, cioè per indicare sia la feudalità di origine greca che quella di

ascendenza veneziana. Sui criteri e sulle criticità presenti nella definizione di questi gruppi sociali tra fine Cinquecento e inizio Seicento tornerò più oltre.

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Questo provvedimento mirava dichiaratamente a ripristinare simili leggi emanate da precedenti provveditori e inquisitori generali, e rimaste inapplicate «per via della malizia di scrivani e cavalieri»: era quindi questa, da parte dei Sindici, una re-imposizione dell’au- torità basata sulla fiducia nella capacità, da parte delle autorità veneziane, di far applicare la legge, nonché nell’autorevolezza dei magistrati sovralocali (come erano gli Inquisitori stessi ma anche, per esempio, il Provveditore Generale di Candia, che figurava loro pari grado all’interno delle loro commissioni di partenza).

Tuttavia, come dimostrano gli effetti immediati di tale provvedimento, era proprio questa propensione all’autoritarismo a far emergere la fragilità di questo modo di proce- dere. Come abbiamo accennato anche per le Isole Ionie, la debolezza degli ordini inquisito- riali stava nella necessità che essi avrebbero avuto, per essere applicati, di trovare una sponda proprio tra quegli scrivani che venivano definiti “maliziosi”: cioè, in pratica, tra i loro patroni nobiliari.

Un secondo proclama infatti, bandito il 29 febbraio 1613, ossia alla scadenza imposta dal summenzionato provvedimento, metteva in luce quello che nel frattempo era accaduto: venuti a sapere che, in vista dell'esecuzione dell’ordine del 22 dicembre, i contadini «fanno i conti» con i cavalieri per cercare di rinegoziare i propri debiti, e non volendo «che alcuno sia chi si sia ardisca fuggire di devenire ad un saldo reale», gli Inquisitori «fanno sapere che non possino li contadini chiamati dalli cavalieri ricusare di fare i conti per qual si voglia pretesto, né meno li cavalieri ricercati dalli contadini, sotto quelle maggiori pene che a loro eccellenze pareranno di dare alli transgressori, oltre quanto è contenuto nel ditto pro- clama»448.

Il testo del mandato in pratica denunciava l’imbarazzo degli Inquisitori, posti di fronte alla propria incapacità di “dare sollievo” ai contadini dal fatto che proprio molti di questi, probabilmente per evitare ritorsioni immediate o future in vista della possibile «libera- zione» dai debiti contestati, avevano preferito trovare un accordo coi feudatari; i quali, dal canto loro, per scongiurare il rischio di perdere improvvisamente il proprio guadagno, ave- vano approvato questo sistema di mediazione. Agli Inquisitori non era rimasto altro da fare che favorirlo, prestando la propria autorità affinché la contrattazione dei debiti tra le due componenti sociali avesse luogo.

448 Libro primo Atti diversi, 15r. Il mandato, pubblicato nella città di Candia, doveva essere consegnato in copia

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A ben guardare, questo modo di “sfruttare” l’autorità straordinaria dei magistrati iti- neranti veneziani era forse l’unico in cui essa, alla luce degli effettivi pesi in campo, trovava uno sbocco concreto. Come detto poc’anzi, la visita dei casali da parte degli Inquisitori co- minciò solo nell’estate del 1613, ed ebbe come primo raggio d’azione i villaggi e le province della Creta orientale. In particolare, gli Inquisitori, partiti da Candia a fine aprile, visitarono più o meno congiuntamente il distretto di Sitia, dove si videro costretti a processare e a destituire il podestà veneziano della città, Almorò Corner, assieme al suo cancelliere e al suo notaio, per un caso «grave e importante» che coinvolgeva pure un monaco eremi- tano449; quindi i tre magistrati dovettero finalmente dividersi, Giovanni Pasqualigo essendo

partito per l’isola di Cerigo nel mese di maggio e Marco Loredan per la piazzaforte meri- dionale di Ierapetra450. A Sitia era rimasto solo il capo della terna: Ottaviano Bon, il quale,

dopo aver completato il controllo della podesteria, tra giugno e luglio aveva iniziato a pre- sentarsi presso i casali, scegliendo come principali punti di raccolta delle denunce dei po- polani i villaggi di Catalagari, Pediada, Diavarde e Ligortino451.

La sua attività qui fu tanto intensa quanto monotematica, sia rispetto ai problemi ri- scontrati, sia rispetto al modo di darvi soluzione. Di fronte alla selva di piccole liti di vici- nato e piccoli e grandi abusi dei signorotti del posto, il mezzo cui egli ricorse più frequen- temente fu l’emissione di lettere penali, cioè di precetti con cui le parti che si ritenevano offese da un determinato comportamento o abuso potevano intimare la cessazione di que- sto ai principali responsabili, dietro la minaccia di una possibile pena (che sarebbe stata applicata immediatamente, in caso di trasgressione, dal magistrato responsabile dell’emis- sione di questi atti)452.

Così ad esempio una certa Agnese Darmaropula, matrigna di tale Todorin Calicà, ot- tenne l’eccezionale opportunità di poter mostrare al figliastro un precetto firmato dall’il- lustre diplomatico Ottaviano Bon in persona, di passaggio nel piccolo casale di Pediada il 13 luglio 1613, il cui mandato diffidava il Calicà dal molestare la supplicante nella persona

449 Cioè fra’ Giovanni Moro, priore del locale monastero di Santa Caterina, che venne arrestato in segreto a

Candia, dove furono tradotti anche i membri del reggimento di Sitia, con la collaborazione del provveditore generale Zane e con espressa raccomandazione al Duca di tenere gli imputati isolati l’uno dall’altro, senza la possibilità di potersi parlare, in attesa del ritorno dei Sindici nella capitale, cfr. Libro primo Atti diversi, 18v- 19r e 20r-21r.

450 Quasi sicuramente nella serata del 2 giugno, cfr. Ivi, 20r-v.

451 Libro primo Atti diversi, c. 22v e seguenti; Libro secondo Atti diversi, 1r-29v.

452 Mi si permetta in proposito un’autocitazione: Cristina Setti, «L’uso della lettera penale nella Repubblica di

Venezia (secoli XVI-XVII)», in Uomini del contado e uomini di città nell’Italia settentrionale del XVI secolo. Atti del

convegno internazionale di storia, arte e architettura, a c. di Edoardo Demo e Andrea Savio (Palermo: New Digital

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e nei beni453; dieci giorni dopo un prete greco-ortodosso, pappà Giorgi Fuschi, si servì ugual-

mente del Bon per far intimare a tal Michali Codogiorgi del casal Sabà di non molestarlo od offenderlo con fatti o con parole454.

Il tempo limitato di permanenza e la solitudine stessa del Bon favorivano l’incentiva- zione di questa prassi giudiziaria, che d’altro canto pareva fortemente conosciuta e solle- citata dalle popolazioni del luogo, le quali parevano non aspettare altro che di poterla eser- citare contro i propri signori455. Il 6 luglio, dal villaggio di Catalagari, l’Inquisitore intimò al

patrizio Renier Venier di Cesarin, che «sotto pena della publica disgratia non debba offen- dere né molestare nella persona e nelle cose il contadino Zuanne Sorocco del casal Miliaris, né alcun altro di casa sua»456. Lo stesso giorno furono precettati anche i fratelli Draco, Ni-

colò e Giorgio Gonali del casal Cudezzi, affinché non molestassero il proprio cognato Mi- chelin Varnazzo, la moglie e la sorella questo, sotto pena di galea, bando e altre a discre- zione dell’Inquisitore457.

A giudicare dalla quantità di precetti penali che furono sottoscritti dalla penna del Bon tra giugno e settembre 1613458, questi provvedimenti incontravano un discreto successo:

non tanto per la loro efficacia intimidatoria quanto piuttosto perché servivano a riaprire la possibilità di una mediazione tra le parti coinvolte, e quindi di maggiori concessioni per i più deboli, intorno a questioni o irregolarità che altrimenti sarebbero perdurate a lungo, a tutto vantaggio dei potenti. Il 9 luglio, dal villaggio di Pediada, si mandò a chiamare donna «Pardà», vedova «dell'eccellente dottor Vettor Mereri», affinché venisse a cospetto dell'In- quisitore a casal Apostolos, oppure vi mandasse dei propri «agenti», per sentire diretta- mente le accuse di «estorsioni» a lei rivolte da alcuni uomini del detto casale. Ella avrebbe dovuto portare con sé anche «i libri dello scosso delle sue entrate», necessari a stabilire

453 Libro secondo Atti diversi, 1r. 454 Ivi, 7r.

455 Secondo una tendenza già invalsa nella Terraferma veneta cinquecentesca, cfr. Setti, «L’uso della lettera

penale».

456 Libro primo Atti diversi, 23v. 457 Ivi, 24r.

458 O in qualche caso, precetti semplici, comportanti cioè una sola sanzione pecuniaria, come quello emanato

a favore di una vedova, Engina Capuzzopola, la quale poté ventilare una possibile sanzione di cento ducati contro un instromento notarile del 4 agosto 1598, già concessole da Franceschina Candiopula e dal fu marito di questo Nicolò Gradenigo. In ragione dell'atto la coppia aveva annualmente riscosso da Engina più vino e frumento dell'ammontare stabilito; si imponeva quindi a Franceschina di restituire l'equivalente del maltolto e di rispettare in futuro la quota di frumento stabilita (tre misure e mezza). Se Franceschina avesse avuto da dire qualcosa in contrario avrebbe avuto tempo quattro giorni per fare ricorso all'Inquisitore presso il casal Pediada; altrimenti il mandato avrebbe assunto il valore di una sentenza definitiva. Cfr. Ivi, 24v-25r.

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l’eventuale compenso alle parti lese. Se non avesse obbedito, l'Inquisitore si sarebbe riser- vato di procedere direttamente contro i suoi beni459.

Non stupisce dunque lo spirito d’iniziativa dei richiedenti le lettere, i quali appunto non esitavano a farne uso anche di fronte ad avversari scomodi. Il passaggio del Bon, dal punto di vista dei sudditi, non costituiva però un’occasione per dare sfogo a qualche desi- derio di rivalsa o vendetta quanto piuttosto un’opportunità per ridefinire la propria posi- zione rispetto a parenti, affini, signori o altri membri della comunità, riaffermando un’identità sociale e un’integrità giudiziaria altrimenti difficili da imporre.

D’altra parte, le modalità di interazione dei sudditi con i magistrati itineranti variavano a seconda che il contesto della performance inquisitoriale fosse urbano o rurale, isolato o culturalmente permeabile, socialmente “mobile” o rigido. Inoltre, una volta arrivati sul po- sto, gli Inquisitori avevano a che fare non solo con gli usi e costumi specifici di una data comunità, ma anche con istituzioni o forme di organizzazione della stessa che non erano affatto statiche o incontestabili.

Lo mostra bene l’esperienza fatta da Giovanni Pasqualigo nell’isola di Tinos (in vene- ziano: Tine) nel giugno 1613. Il Pasqualigo vi arrivò dopo un breve passaggio nell’isola di Cerigo460 e ci rimase per quasi un mese, buona parte del quale dedicò a far redigere un corpus

di Ordini mirato a rispondere alle esigenze e problemi incontrati ma anche destinato, di fatto, a divenire un corpus di leggi da integrare nelle fonti locali461.

459 Ivi, 25r-v.

460 Passaggio le cui tracce sono localizzabili dagli Ordini lasciati dall’Inquisitore, cfr. ASV, Materie Miste e Nota-

bili, fz. 73; questi sono stati parzialmente incorporati nel Libro della Comunità conservato presso l’archivio

dell’isola cfr. GAK-Cerigo, Archeio Benetikìs Kankellarìas, Provleptès kai Kastellanoi tou Tserigou, b. 28, 1 (1), c. 69v e seguenti. Forse è a causa dell’oggettiva brevità della visita, coincisa probabilmente con alcuni problemi di salute, che Giovanni Pasqualigo tralasciò esplicitamente di parlare di questa sua esperienza cerigotta nella propria relazione finale, per la quale cfr. ASV, Collegio, Relazioni, b. 74: Relazione Pasqualigo 1615.

461 ASV, Materie Miste e Notabili, fz. 72. (= Ordini Giovanni Pasqualigo, Tine). Il corpus di Giovanni Pasqualigo si

assomma a quelli dei Capitani e Sindici Inquisitori a lui successivi, conservati in Ivi, bb. 70 e 71. Tali raccolte assumono un’importanza fondamentale per la storia dell’isola, anche alla luce della rarità del materiale rela- tivo ai pochi Sindici Inquisitori che visitarono le Cicladi nel Cinquecento, tra i quali si ricordano soprattutto Nicolò Barbarigo (1561-‘62) e Giovanni Marco Molin (1582-‘84), cfr. ASV, Collegio, Relazioni, b. 84: Relazione Ni-

colò Barbarigo 1561; Senato, Dispacci PTM, b. 509 (ex fz. 746), dispacci Molin del 10 gennaio e 6 febbraio 1582

(1581 mv). Una consuetudine risalente almeno alla prima parte del Cinquecento voleva infatti che, salvo ec- cezionali spedizioni di sindacato come quelle summenzionate (dipendenti dal Collegio di Candia, prima che da Venezia), l’isola di Tinos fosse visitata periodicamente dal Capitano di Candia, il quale nella veste di visi- tatore assumeva le stesse funzioni dei Sindici Inquisitori. Dopo la visita di Giovanni Pasqualigo questa con- suetudine riprese con sostanziale regolarità a partire dal 1620, coi sindicati dei Capitani o Sindici Inquisitori Girolamo da Lezze (1620), Nicolò Valier (1624) e Pietro Giustinian (1630). Per la documentazione relativa cfr.

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Gli Ordini, banditi in pubblico nella propria interezza mentre Pasqualigo si stava appre- stando a salpare di nuovo per Creta, affrontano varie questioni: dagli intacchi al deposito degli orzi al censimento delle milizie presenti in fortezza; dalle liti per i danni degli animali in giardini e proprietà private alle frodi dei mugnai su pesi e misure; dal nepotismo nelle elezioni locali agli sconfinamenti di giurisdizione del vescovo latino; dalle vigne piantate abusivamente al dazio della seta462.

Quest’ultimi due argomenti toccavano nodi assai sensibili per gli equilibri politici e so- ciali dell’isola, in particolare per la gestione del rapporto città-campagna.

Nel primo caso, quello relativo ai vigneti, il problema non era diverso da quello che i veneziani stavano affrontando a Creta, Zante e Cefalonia sin dalle ultime decadi del Cin- quecento. Lì come a Tinos infatti l’incremento della produzione di vino e uva passa, e la vendita abusiva di tali beni a mercanti stranieri da parte degli isolani, privava Venezia di cospicue entrate fiscali, nonché dell’egemonia sui traffici effettuati entro le “proprie” ac- que;463 queste coltivazioni inoltre sottraevano agli abitanti di tali isole una parte conside-

revole dei terreni su cui produrre le proprie risorse annonarie, costringendoli a importare derrate di grano dai vicini territori ottomani464. All’epoca di Giovanni Pasqualigo Venezia

stava cercando di risolvere il problema con due mezzi tanto eclatanti quanto vani: primo, cercando di controllare il mercato del vino con dazi aggiuntivi e pressioni diplomatiche465;

secondo, procedendo a periodiche opere di espianto delle vigne466. Pure Pasqualigo, come i

in particolare ASV, Avogaria di Comun, Miscellanea Penale, b. 4658 (P 498); Duca di Candia, bb. 61bis e 72; e le menzioni degli Ordini Giustinian fatte da Fulgenzio Micanzio in Consultori in Jure, fz. 42.

462 Ordini Giovanni Pasqualigo, Tine. Sul vescovo latino, le cui pretese in materia pastorale e giurisdizionale da-

vano problemi a Venezia già da qualche decennio, cfr. Duca di Candia, b. 48, fasc. 3 e il recente contributo di Aspasia Papadaki, «Η δικαιδοσία του Λατίνου επισκόπου Τήνου στον ορθόδοξο κλήρο του νησιού κατά τη Βενετική περίοδο», in Δήμος Τήνου Α’ Ιστορικό Συνέδριο: Από την Τήνο του Βενετού Δόγη στην Τήνο της

Υψηλής Πύλης. 300 χρόνια από την παράδοση του κάστρου της Τήνου, a c. di Marcos Foscolos (Tinos: Typos,

2017), 119–46.

463 “Proprie” secondo la concezione veneziana di dominio territoriale dei mari che erano solcati, ovvero “pro-

tetti”, dalla flotta militare della Repubblica, come l’Adriatico. Quest’idea, risalente almeno agli scritti quat- trocenteschi del giurista corfiota Tommaso Diplovatazio, venne codificata dal punto di vista giuridico nel 1612 da Paolo Sarpi, in contrasto col crescente successo degli scritti di Ugo Grozio sulla libertà dei mari. Cfr. Paolo Sarpi, «Il dominio del mare Adriatico», in La politica adriatica di Venezia, a c. di Roberto Cessi (Padova: Tolomei, 1945). Sul Diplovatazio cfr. DBI, 40 (1991), ad vocem. Sull’estensione di tale problema agli imperi oceanici: Lauren Benton, A search for sovereignty. Law and geography in European empires, 1400-1900 (Cambridge: Cambridge University Press, 2010).

464 Michael Knapton, «Tra Dominante e Dominio», in La Repubblica di Venezia nell’età moderna. Dalla guerra di

Chioggia al 1517, a c. di Gaetano Cozzi, Michael Knapton, e Giovanni Scarabello, (Storia d’Italia, 12/II) (Torino: