La visita di Cappello, Correr e Contarini si contraddistinse dunque per il tentativo di questi Sindici di contrastare i problemi imposti dal sovrapporsi di una mobilità sociale di tipo “verticale” alla mobilità sociale di tipo “orizzontale” propria delle società di frontiera.
Prima di analizzare questa missione, soffermiamoci brevemente sulla sua organizza- zione, sulle sue premesse e sulle figure dei suoi principali interpreti.
Il capo della terna sindacale era Giovanni Cappello di Lorenzo (1584-1662), personaggio assai noto alla scena politica veneziana degli anni ’30 del Seicento e destinato ad esserlo, suo malgrado, anche in quella degli anni ‘50, quando nel corso dell’invasione turca di Creta egli venne spedito a Costantinopoli come ambasciatore per tentare di negoziare un accordo di pace: nel corso di tale missione Cappello cadde prigioniero del sultano e tentò il suicidio, fallito il quale, trascorse i suoi ultimi anni di vita da prigioniero nella capitale del sultano. Nulla in effetti lasciava presagire quest’esito quasi tragico. All’epoca della guerra di Candia (1645-1669) il Cappello era ormai un politico navigato, forte di un cursus honorum quarantennale, partito dalle cariche giudiziarie e in seguito approdato a ruoli di estrema importanza e delicatezza, quali quello di Capo del Consiglio dei Dieci, di podestà di Brescia e di Savio alla Mercanzia; nel 1648 egli era riuscito a reprimere un’insidiosa rivolta popolare scatenatasi a Vicenza, fatto che assieme agli altri suoi meriti lo fece rientrare tra i candidati alla carica dogale poco prima di venir spedito a Costantinopoli per il suo ultimo, sfortunato, soggiorno549. La casata di Giovanni Cappello era d’altronde assai prestigiosa, visto che, come
egli stesso ci lascia intendere durante il proprio incarico di Sindico Inquisitore, essa era annoverata tra le famiglie dei papalisti, cioè di coloro che, in grazia di stretti rapporti con Roma, avevano beneficiato di importantissime investiture vescovili e cardinalizie550.
549 DBI 18 (1975), ad vocem; Guido Candiani, «Conflitti di intenti e di ragioni politiche, di ambizioni e di interessi
nel patriziato veneto durante la guerra di Candia», Studi Veneziani, n.s., 36 (1998): 145–275.
550 Fatto che imponeva al Cappello di asternersi dal giudicare le questioni concernenti la Chiesa latina in Le-
vante, come egli stesso ammise sin dai suoi primi dispacci da Sindico, cfr. ASV, Senato, Dispacci, Provveditori da
terra e da mar e altre cariche, b. 818 (da qui in avanti: Dispacci PTM 818), n° 10, 7 agosto 1635. Sui papalisti nel
XVII secolo e sull’ambiguità del loro senso di appartenenza allo stato veneziano cfr. Antonio Menniti Ippolito, «“Sudditi d’un altro stato”? Gli ecclesiastici veneziani», in Storia di Venezia, a c. di Gino Benzoni e Gaetano Cozzi, vol. VII: La Venezia barocca (Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1997), 325–65.
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La notizia della nomina a Inquisitore, Sindico, Avogadore e Provveditore in Levante lo colse di sorpresa, al ritorno dalla sua prima missione come bailo di Costantinopoli (1631-1633)551.
Vedremo che quest’esperienza fu fondamentale per come Cappello interpretò il suo sinda- cato, forse assai più di quanto lo era stata, vent’anni prima, per il predecessore Ottaviano Bon552.
Il modello della visita Bon-Pasqualigo-Loredan doveva essere forse ancora vivo nella mente dei senatori dei primi anni Trenta, date le evidenti analogie di carriera nella com- posizione della terna Cappello-Correr-Contarini. Ancora una volta, infatti, si scelse si acco- stare a un ex ambasciatore due patrizi di caratura lievemente minore, ma già inseriti nei circuiti di distribuzione delle cariche più complesse e della marina militare veneziana.
Di Pietro Correr (1582-1640) non sappiamo molto, ma dal suo percorso nelle istituzioni ne deduciamo l’appartenenza all’oligarchia senatoria, essendo egli stato non solo membro «del Pregadi» ma anche più volte Savio in Collegio, ed avendo egli ricoperto la prestigiosa ma assai dispendiosa carica di podestà a Padova553. Marco Contarini (1570-1639) godeva in-
vece di una considerevole esperienza nella flotta e nella gestione di fortezze e milizie, dato che, secondo il genealogista Marcantonio Barbaro, «fu sovracomito, pregadi, governatore di galea ma non armò, proveditor alli Orzinuovi, conte a Zara e poi capitan delle nave [sic] tornate dal 1621»554.
Il periodo in cui la missione Cappello-Correr-Contarini venne deliberata, cioè l’inizio degli anni ’30, era relativamente tranquillo per la Repubblica di Venezia, perlomeno per quanto concerne le relazioni coll’impero ottomano555. Quest’ultimo infatti era militarmente
551 Giovanni Cappello, «Relazione di Costantinopoli (1634)», s.d., versione online disponibile presso:
http://ww2.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit001404/bi-
bit001404.xml&chunk.id=d6508e123&toc.depth=1&toc.id=&brand=newlook; per reperire la versione cartacea si veda: Maria Pia Pedani, «Elenco degli inviati diplomatici veneziani presso i sovrani ottomani», EJOS - Elec-
tronic Journal of Oriental Studies 5, n. 4 (2002): 1–54: 42.
552 Le cui conoscenze e reti diplomatiche traspaiono tutto sommato assai poco negli atti della visita del 1612-
’15. Peraltro, gli scritti dal Bosforo di Ottaviano Bon sono noti anche per la loro natura folkloristica, dato che costui aveva avuto l’opportunità di penetrare nel Serraglio approfittando dell’assenza del sultano, cfr. Preto,
Venezie e i Turchi, 192-193, Pedani, «Elenco», 38-39; Eric R. Dursteler, Venetians in Constantinople. Nation, identity, and coexistence in the early modern Mediterranean (Baltimore: The Johns Hopkins University Press, 2006), passim.
553 Genealogie Barbaro, III.12, CORRER (B).
554 Ivi, II.10, CONTARINI (Hhh): ritengo più probabile che il profilo corrisponda a quello di Marco Contarini di
Alvise e non a quello dell’omonimo Marco Contarini di Girolamo, la cui età anagrafica (1614-1679) lascia sup- porre un’età troppo giovane dell’interessato (appena vent’anni nel 1634) per poter gestire i compiti di estrema complessità che più sotto vedremo caratterizzare la missione del nostro Marco Contarini Sindico. Nei registri elettorali quest’ultimo viene però indicato come figlio di Domenico, rendendo dubbia la ricostru- zione della sua genealogia in base ai soli alberi del Barbaro. Cfr. ASV, Segretario alle Voci, Elezioni in Maggior
Consiglio, reg. 16, c. 187r..
555 Per la verità gli studiosi non ne hanno parlato molto; fondamentalmente sembra che la capitolazione (ᶜahd-
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impegnato sul fronte persiano, mentre le abituali scaramucce tra pirati levantini e navi veneziane non lasciavano presagire provocazioni tese a una guerra aperta, anche se l’ansia della Serenissima nel controllo delle fortificazioni candiote non si era mai spenta, come testimoniano le relazioni di numerosi ingegneri, cartografi, condottieri, provveditori ge- nerali, commissari e inquisitori straordinari inviati in Levante per tutti gli anni ’20556. Sul
fronte ionico, la rivolta dei popolari di Zante era stata appena sedata, mentre le tensioni religiose provocate dall’attitudine controriformista di vescovi e legati cattolici venivano decisamente rintuzzate dalle argomentazioni del consultore in jure Fulgenzio Micanzio, allievo del celebre Paolo Sarpi e, come questo, deciso sostenitore dell’indipendenza del «rito greco» dalle pretese egemoniche del «rito latino»557.
Nondimeno Venezia era ancora indebolita da una grave situazione di crisi demografica ed economica oltre che politica: la peste del 1628-’30, al pari che in altri stati italiani, ne aveva decimato la popolazione, influendo negativamente sulle sue risorse erariali; le fi- nanze della Repubblica erano state altresì messe a dura prova dai conflitti con gli altri stati italiani, dopo che Venezia era riuscita a sfilarsi dalla Guerra dei Trent’Anni adottando una politica di decisa neutralità e di progressivo riavvicinamento a Roma558.
I motivi di fondo per cui si decise di riprendere la consuetudine delle spedizioni sinda- cali in Levante, sospese da quasi vent’anni per via di questa serie di problemi, vanno quindi ricercati nei fattori di contesto: è possibile cioè che l’investimento in una nuova missione
fosse in continuità con i precedenti accordi di pace; il sultano del resto era ancora minorenne e sottoposto alla tutela della madre, la sultana Kösem, destinata ad avere grande influenza anche dopo la morte del figlio. Costui aveva ereditato una grave situazione di instabilità e guerra civile che aveva contribuito alla presa per- siana di Baghdad (1622), imponendogli di volgere la propria attenzione sul fronte orientale per tutta la durata del suo regno. Cionondimeno le tensioni nelle acque veneziane, legate alla pirateria, si dimostrarono in quegli anni persistenti, tanto da culminare in una pericolosa escalation negli anni 1637-’38, cfr. Maria Pia Pedani Fabris, La dimora della pace. Considerazioni sulle capitolazioni tra i paesi islamici e l’Europa (Venezia: Cafoscarina, 1996); Hans Theunissen, «Ottoman-Venetian diplomatics: the ᶜAhd-names. The historical background and the development of a category of political-commercial instruments together with an annotated edition of a cor- pus of relevant documents», EJOS - Electronic Journal of Oriental Studies 1, n. 2 (1998): 1–698; Colin Imber, The
Ottoman empire, 1300-1650. The structure of power (New York: Palgrave Macmillan, 2002), 78-82.
556 A titolo indicativo si vedano le relazioni degli Inquisitori e Commissari in Armata Antonio Civran (1627-
’29) e Francesco Basadonna (1633-’35), nonché quelle dei Provveditori e Inquisitori Generali delle Tre Isole, cfr. ASV, Collegio, Relazioni, bb. 74, 75 e 77. Per alcuni “ingegnieri” cfr. Sterghios G. Spanakis, Μνημεία της
Κρητικής ιστορίας, 6 vol. (Iraklion: s.e., 1940-1976), in particolare i vol. 2 e 3.
557 Per una sintesi di tale problema e per i relativi riferimenti bibliografici, mi permetto anche qui un’autoci-
tazione: Setti, «Sudditi fedeli». Sul rapporto tra Roma e Venezia in questo periodo, con particolare riguardo alle isole greche cfr. Gerassimos D. Pagratis, Εκκλησία και Κράτος στα βενετικά νησιά του Ioνίου Πελάγους:
Μαρτυρίες για τη δράση Ιταλών Φραγκισκανών Μισσιοναρίων από τα αρχεία της Propaganda Fide (17ος αιώ- νας) (Athina: ?, 2008).
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fosse stato incentivato dalla congiuntura relativamente “pacifica” in cui si trovava la Re- pubblica nel 1633 (anno della prima deliberazione in merito) e quindi dalla presenza di nuove disponibilità finanziarie559; non è inoltre azzardato ipotizzare che la visita venisse
pensata per smussare, con una retorica istituzionale più conciliante, i risvolti “autoritari” del passaggio nelle isole dei provveditori generali e dei nuovi inquisitori e commissari in Armata, inviati in circostanze assai più turbolente560.
A livello ufficiale, in effetti, le motivazioni della visita rimasero quelle consuete; s’in- tendeva cioè mandare i Sindici «per rivedere, remediar e consolar quei sudditi»561, asse-
gnando loro, già nella pars eligendi precedente alla nomina, alcuni compiti il cui contenuto era grossomodo lo stesso di quelli dei loro predecessori, così come deglii inquisitori in Ar- mata562. Il testo della commissione ufficiale arrivò solo verso la fine del 1634, ovvero dopo
notevoli dilazioni, dovute forse anche in questo caso alle procedure elettorali, e per di più con la raccomandazione fatta ai neoeletti di partire entro il marzo del 1635563.
La commissione data ai Sindici Inquisitori questa volta era assai meno retorica rispetto alle precedenti, tanto da essere forse soggetta a qualche clausola di segretezza, vista la sua mancata registrazione tra le deliberazioni ufficiali del Senato564. L’attenzione del governo
rimaneva centrata su Creta, dove Cappello, Correr e Contarini avrebbero dovuto innanzi- tutto sedare i conflitti giurisdizionali insorti tra i rettori ed ascoltare le lamentele della
559 La pars eligendi fu posta in Senato il 22 dicembre 1633 e ratificata dal Maggior Consiglio il 27, cfr. ASV,
Maggior Consiglio, Deliberazioni, reg. 38 «Padavinus» (1631-1639 m. v.), cc. 95r-98r; essa reca a margine la dicitura non detur exemplum (“non si dia copia”), fatto che probabilmente spiega la sua mancata registrazione nei re-
gistri del Senato, dove al pari della commissione, risulta introvabile. La parte succedette di soli due mesi un’analoga deliberazione riguardante l’invio di Sindici in Terraferma e Istria, riprendendo così l’antica alter- nanza cinquecentesca, cfr. Ivi, cc. 91r-92v. Il fatto che le ragioni della rarefazione delle visite in Levante fos- sero principalmente di carattere economico pare suffragato dai parallelismi che si osservano nel totale con- gelamento di quelle in Dalmazia (che nel periodo tra 1596 e 1639 praticamente spariscono dai registri del Senato). Cfr. ASV, Senato Mar, regg. 56-98.
560 I già menzionati inquisitori e commissari Antonio Civran (1627-’29) e Francesco Basadonna (1633-’35), ad
esempio, ebbero rispettivamente a che fare con i tumulti dei popolari di Zante e Corfù, così come il provvedi- tore generale delle tre isole Antonio Pisani (1631-‘33), cfr. Augliera, Libri politica religione, e Arvanitakis, Οι
ποπολάροι. Sulle differenze costituzionali tra Sindici Inquisitori e provveditori generali in termini di autorità
e autorevolezza si veda: Filippo Maria Paladini, «Un caos che spaventa».
561 Così si scrisse al provveditore generale di Candia, parlando dei Sindici, il 7 gennaio 1634 (1633 m.v.), cfr.
ASV, Senato Mar, reg. 91, c. 347r-v.
562 ASV, Maggior Consiglio, reg. 38, 95r-98r.
563 ASV; Senato Commissioni, fz. 2 (1634-’39), cc. 433r-438r. La commissione si rivolge a Giovanni Cappello, Pietro
Correr e Vincenzo Gussoni, un altro ex diplomatico di prestigio, il quale aveva rinunciato alla carica di Sindico già il 27 dicembre, cercando invano di addurre «giuste cause» al fine di evitare le sanzioni previste in caso di diniego, cfr. Maggior Consiglio, reg. 38, c. 118; DBI, 61 (2004), ad vocem. Egli (che come abbiamo accennato nel capitolo 3 era avversario di Ottaviano Bon) venne sostituito il 3 gennaio 1635 con Marco Contarini. Cfr. ASV,
Segretario alle Voci, Elezioni in Maggior Consiglio, reg. 16, c. 187r.
564 Sul ruolo della segretezza nella logica di governo veneziana cfr. Filippo De Vivo, Information and communi-
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cavalleria feudata, soprattutto in merito alla compravendita dei cavalli obbligatori; essi poi dovevano «venir in chiaro se nell'elettione di egumeni, abati ad altre chiese o carichi di qualsivoglia sorte sian passati donativi, spese o intelligenze, per castigarli del modo che conviene»565.
Tanto a Venezia quanto nei domini veneziani, in specie quelli levantini, la disciplina del clero era materia di pertinenza dello stato, e ciò sia nei confronti dei chierici latini sia nei confronti dei greci, come dimostra la menzione parallela degli abati cattolici e degli
egumeni (igumeni) ortodossi, due cariche che nei fatti si equivalevano; tutte le questioni
riguardanti alle nomine e all’assegnazione di benefici ecclesiastici in quei territori erano quindi di pertinenza dei rettori e, in seconda istanza, del Senato e del Collegio566.
Non stupisce pertanto l’assegnazione ai Sindici Inquisitori della regolamentazione della proprietà ecclesiastica greco-ortodossa, che fu per la prima volta sottoposta a censi- mento, fondamentalmente al fine di risolvere il problema dell’invadenza del clero greco nell’assegnazione di beni considerati laici567; lo stesso problema si era del resto avuto col
clero latino pochi anni prima, nel 1629, quando a provvedervi era stato il provveditore ge- nerale di Candia Francesco Morosini, che in gioventù era pure stato «legato» degli Inquisi- tori Bon, Pasqualigo e Loredan568.
Come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, l’invadenza degli ecclesiastici in campi considerati loro estranei non si doveva tanto ai conflitti interconfessionali, che da secoli
565 ASV, Senato Commissioni, fz. 2, 433r.
566 Così era stato stabilito almeno dal 1603, quando un consulto dei giuristi Erasmo Graziani e Marc’Antonio
Pellegrini di fatto subordinò nello stesso tempo la giurisdizione del patriarca latino di Venezia e quella dell’ar- civescovo di Filadelfia, capo spirituale della comunità greca nella città lagunare, alle autorità veneziane. Cfr. Cristina Setti, «La contaminazione nel discorso giuridico e sociale: i matrimoni tra greci e latini nella Repub- blica di Venezia (secc. XVI-XVIII)», Acta Histriae 23 (2015): 43–65.
567 «Essendosi inteso che nei luochi di Levante sia introdotto che li vescovi e prelati del ritto greco s'ingeri-
scano nel far sententie concernenti interesse di beni meramente laici, di dotte e atti simili, che spettano a rappresentanti publici, capitandosi, alcuna volta da essi prelati a scomuniche e solenni maledittioni contro chi non assente al giuditio, v'informerete del fatto e vi rimedierete con vostra terminatione per oviar l'abuso, avvertendo, in materia di papà [= papades] e ritto greco, che sian essequiti gl'Ordini Foscarini. Farete un cata- stigo diligente di tutte le chiese del ritto greco in Candia e nelle isole, con specificatione delle entrate loro così certe come incerte, nominando quelli che sono di iuspatronato della Serenità Nostra separatamente dalle altre, e così anco dechiarando quelle che havessero cura di anime, overo fossero benefici semplici. Penetre- rete nelli disordini che fossero nelle fraglie, scuole e confraternità, facendo risarcir quelle che fossero state mal administrate, castigando li colpevoli», cfr. ASV, Senato Commissioni, fz. 2, 436v-437r.
568 Tea, Saggio sulla storia religiosa di Candia, 1420-1422; Spanakis, Μνημεία, II: Relazione di Francesco Morosini,
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contrassegnavano la vita religiosa delle isole greco-venete, alternandosi a momenti di con- divisione rituale voluta o forzata569; tale invadenza era piuttosto il frutto di una scarsità di
mezzi identificativi dei soggetti proprietari o titolari di un qualche privilegio.
Non fu dunque un caso se, nella commissione data ai Sindici Giovanni Cappello, Marco Contarini e Pietro Correr, il problema dell’identificazione riemergesse qua e là come un fiume carsico, poiché, di fatto, era connesso a vari tipi di frode: dalle consuete falsificazioni sulle cariche distribuite dai rettori (e delle connesse «utilità») alla titolarità dei beni immo- bili registrati nelle Camere fiscali570; dalla individuazione dei possessori delle baronie iso-
lane alle esenzioni dei «privilegiati», cioè di quelle persone che in base a qualche titolo pregresso potevano rifiutare la coscrizione (le fattioni) e il servizio obbligatorio in galea (le
angarie); per non parlare delle truffe delle «paghe morte» e dei «passavolanti», cioè di quei
soldati mercenari che si intascavano la paga senza combattere, fuggendo alla prima occa- sione571.
Al pari dei beni religiosi dei greci e delle proprietà dei laici, le identità di tutte queste persone, così come le loro cariche ed emolumenti, dovevano essere registrate in appositi libri chiamati catastici, ovvero censite dai Sindici con l’aiuto dei loro funzionari al seguito. Tra i membri della familia sindacale deputati a questo compito vi doveva quindi essere un «interprete della lingua greca»: cosa curiosa, visto che in altre occasioni il problema lin- guistico era stato risolto ricorrendo a membri illustri del notariato isolano572, e tuttavia
569 Come ad esempio nelle cerimonie comuni, cfr. Aspassia Papadaki, Cerimonie religiose e laiche nell’isola di Creta
durante il dominio veneziano (Spoleto: Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2005). Sulle re-
nitenza dei chierici greco-ortodossi a partecipare alla cerimonia del Laudo, cfr. capitolo 2.
570 «Molti beni si trovano obligati corrisponder alcuna cosa di ricognitione in quelle camere, che, per la mu-
tatione del [n]ome de possessori e per altro, vengono tenuti occulti con danno della Serenità Nostra; anzi, il capitano di Candia Venier ha ravivato certo catastico fatto dal precessor suo Marcello. Doverete riveder tali catastici in ogni luoco per rinovarli, facendone rimaner copia in quelle camere, e mandandone anco alla Se- renità Nostra, operando che essequiscano li pagamenti che devono, overo sodisfino ad altri oblighi che ha- vessero per beni havuti in feudo, per sargentarie, baronie o in altro qualsivoglia modo, astringerete quelli che fossero diffettivi, annulerete le concessioni non confermate dal Senato», cfr. ASV, Senato Commissioni, fz. 2, 434v. L’ordine di fare un catastico sulle utilità degli officia del Levante venne ribadito anche in una delibe- razione di poco successiva, che lo estendeva anche a quelli della Dalmazia, cfr. ASV, Senato Mar, reg. 93, c. 66r- v, 8 giugno 1635.
571 ASV, Senato Commissioni, fz. 2, 434-435v.
572 Come nel caso del grande censimento compilato dal notaio e nobile cretese Pietro Castrofilaca, assunto dai
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cosa non sorprendente alla luce del fatto che, forse per la prima volta, il Senato raccoman- dava ai Sindici di prestar «particolar mira» alla qualità degli interpreti per poter avvalersi «di gente desinteressata per cautella del servitio»573.
Un po’ ovunque, del resto, gli elementi locali condizionavano l’amministrazione, non- ché la capacità d’azione e di relazione dei vari attori sociali, ricchi e poveri, titolati e non titolati, latini e greci, ebrei, musulmani e stranieri. Nei punti in cui la commissione esten- deva i poteri dei Sindici alle Isole Ionie, si introduceva non a caso una piccola innovazione, che possiamo interpretare come volta a limitare il peso delle cancellerie distrettuali nelle cause miste: si attribuiva cioè agli Inquisitori in Levante la giurisdizione d’appello sulle cause dei mercanti inglesi e di altre «nationi»; fatto fino ad allora inusuale, peraltro susse- guente alla consegna di penetrare «nelle intelligenze» che i rettori veneziani «havessero con persone particolari de negotii de ogli, uve passe e simili»574.
La Repubblica in tal modo cercava di irreggimentare nelle trame un po’ sdrucite del proprio sistema giuridico gli effetti del contrabbando e delle cause giudiziarie che coinvol- gevano i mercanti inglesi di uva passa a Zante e Cefalonia, così come i commercianti d’olio a Corfù; tant’è vero che uno di questi casi, forse il più spinoso di quegli anni, venne delegato ai Sindici Inquisitori il 29 giugno 1635, cioè poco dopo la loro partenza da Venezia, su sol-