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Affinché questa sorta di analisi “genealogica” del sindacato veneziano vada a buon fine, è essenziale soffermarsi brevemente su cosa fosse diventato in effetti, nel corso del Me- dioevo, l’istituto del sindacato tout court. Esso infatti rimanda a una nozione giuridica piut- tosto ambigua, il sindacatus appunto, di certa e antica accezione romanistica; com’è è stato recentemente notato, tuttavia, le condizioni in cui tale istituto venne ripreso nell’Italia e nell’Europa basso-medievale furono assai diverse da quelle del suo contesto d’origine, l’Im- pero romano, e ciò ha implicato diversi approcci e conclusioni nella definizione dell’argo- mento, almeno tra gli storici del diritto74.

74 Mi riferisco ad esempio all’emergere, nei pochi studi dedicati a sindacato e sindacazione, di due differenti

linee interpretative: una di tipo “legalista” e una di tipo “finanziario”, le quali verranno discusse più oltre. I riferimenti bibliografici fondamentali sono, per il primo approccio: Gino Masi, «Il sindacato delle magistra- ture comunali nel sec. XIV (con speciale riferimento a Firenze)», Rivista italiana per le scienze giuridiche 5, n. 1 e 2 (1930): 43-115 (parti I-II-III) e 331-411 (parti IV-V-VI); Ugo Nicolini, Il principio di legalità nelle democrazie

italiane. Legislazione e dottrina politico-giuridica dell’età comunale (Padova: Cedam, 1955), pp. 139-140. Per il se-

condo si veda invece: Emilio Morpurgo, «Le inchieste della Repubblica di Venezia, frammenti di una storia della statistica», Archivio statistico 3, n. IV (1879); Pietro Torelli, Studi e ricerche di diplomatica comunale, Mantova : Stab. tip. G. Mondovi, 1911, [Estratto da: «Atti e memorie della Reale Accademia Virgiliana di scienze, lettere ed arti», n. s., 4 (1911)]; Victor Crescenzi, Il sindacato degli ufficiali nei comuni medievali italiani, in L’educazione

giuridica, vol. IV: Il pubblico funzionario: modelli storici e comparativi, 5 vol. (Perugia: Libreria editrice universi-

taria -Licosa, 1981), 383–529. La linea legalista è stata recentemente ripresa, ma in chiave politica, da: Riccardo Ferrante, La difesa della legalità. I sindacatori della Repubblica di Genova, (Torino: Giappichelli, 1995).

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Semplificando al massimo, possiamo partire dall’etimologia di tale concetto, sottoli- neando che sin dall’antichità la nozione di sindacatus racchiuse in sé almeno due accezioni fondamentali: quella della rappresentanza e quella del controllo.

La prima delle due era essenzialmente di natura diplomatica, connessa cioè alla rappre- sentanza ufficiale di una figura, ente o corpo riconosciuto entro una data struttura socio- politica: l’imperatore, la città oppure anche solo una comunità di villaggio. In sede inter- nazionale, ad esempio, con il termine sindaco, nel Medioevo, si designava l’ambasciatore di uno stato, di un principato, di una repubblica cittadina75. Nei contesti locali, invece, con

tale parola (e con le sue varianti sindico, sinnico) si era soliti indicare il rappresentante di una comunità soggetta a un sovrano o a un feudatario, nella sua veste di procuratore o

advocatus populi, incaricato cioè di portare le istanze della propria comunità di riferimento

per negoziare specifici privilegi, norme, grazie, garanzie76.

La seconda accezione, quella cioè che costituisce l’oggetto del nostro interesse, era in- vece più propriamente giuridica, designando il termine sindacato tra Tarda Antichità e Me- dioevo uno specifico procedimento di verifica, già codificato nel diritto giustinianeo e pra- ticato con cadenza ordinaria, sull’operato di quei pubblici ufficiali che avevano la respon- sabilità del governo di un luogo circoscritto e soggetto a un’entità politica superiore: in altre parole, si poteva sindacare l’amministrazione periferica di un impero o di un regno, con degli appositi emissari inviati dalla capitale, oppure il governo di una civitas autonoma, con dei sindici nominati appositamente dal consiglio cittadino, vale a dire dal suo principale vertice politico.

A seconda di quale fosse il caso, dunque, tale procedura poteva venire esercitata da sindacatori itineranti o da altri magistrati cittadini dotati di funzioni sindacali. Ne conse- gue che, tra tarda antichità e basso medioevo, gli «ufficiali» sottoposti a sindacato furono persone di diverso rango, membri di diverse categorie socio-istituzionali, il cui nome e le cui funzioni variavano a seconda dei contesti, come i governatori periferici dell’Impero ro-

75 In questo senso, ad esempio, nella Venezia medievale esisteva il ‘sindacato del doge’ oppure i sindacati degli

ambasciatori residenti o straordinari nelle realtà coeve, le cui tracce documentarie sono state raccolte negli anni 1683-’84 dalla Cancelleria della Repubblica di S. Marco in due volumi manoscritti, per i quali cfr. ASV,

Senato, Deliberazioni, Sindicati, regg. 1bis (1329-1425) e 2 (1425-1507), nonché i regesti dell’indice di tale sotto-

serie.

76 Cfr. la voce Syndicus, in Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, a cura di C.V. Daremberg e E. Saglio

(Paris: Hachette, 1908), t. IV/2, 1582-'83, edizione online: https://archive.org/details/pt2dictionnai- red04dare.

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mano, gli esarchi bizantini, i vassalli dei feudi vescovili, i podestà delle città del Sacro Ro- mano Impero, sino a giungere infine ai podestà, reggitores o rectores nominati direttamente dalle assemblee cittadine dei Comuni italiani dopo la pace di Costanza (1183). Questo trat- tato venne appunto siglato alla fine di un periodo di contrasti a seguito dei quali le nuove realtà politiche cittadine avevano ottenuto dagli Hohenstaufen la possibilità di eleggere autonomamente le proprie cariche di governo (ferma restando l’investitura imperiale), as- sumendosi pertanto la responsabilità del controllo autonomo di queste; non si spieghe- rebbe altrimenti la proliferazione, a nord e a sud della penisola, di magistrature cittadine con poteri di sindacato77.

Nello stesso tempo, specularmente alle differenze insite nelle realtà politiche e storiche in cui il sindacato prese una forma ufficiale, i magistrati incaricati della sindacazione as- sunsero diverse denominazioni: missi nel contesto imperiale romano, carolingio e negli esarcati bizantini; defensores civitatis, procuratores o advocati populi, nel contesto delle città imperiali tardo-antiche o altomedievali; sindacatores e/o provisores, in quello dei Comuni italiani78. Come accennato poc’anzi, la loro opera di verifica in genere riguardava l’intero

complesso delle attività amministrative e giudiziarie dei magistrati ordinari, ma talora con la preponderanza di un ambito sull’altro; tale opera, inoltre, implicava sovente l’avvio di processi inquisitori da celebrarsi presso le autorità mandatarie del sindacato (il populus, ovvero le sue assemblee comunitarie, o il princeps), ai fini della stigmatizzazione pubblica di eventuali intacchi, abusi di potere (giudiziari e procedurali, come ad esempio l’uso im- proprio o esorbitante della tortura79) o semplici irregolarità formali.

77 Tra i vari magistrati sindacatori attestati nelle città italiane ritroviamo ad esempio: gli Eletti delle Piazze del

Regno di Napoli, «I quali provvedevano alla pecunia del Comune, all’abbondanza, al sindacato degli ufficiali, alle strade delle acque, alle fortezze»; l’Esecutore degli Ordinamenti della Giustizia, officiale presente nelle repub- bliche di Firenze, Siena e Lucca, dotato di ampi poteri giudiziari, che «sindacava parecchi ufficiali, special- mente i vicari, e fu tempo che egli ebbe tutti al suo sindacato»; i Provvisori della Comunità di Trieste, vale a dire «due officiali triestini, i quali avevano in provvisione che le ragioni del Comune ed i luoghi pubblici non si occupassero da alcuno; denunziavano gli officiali inosservanti dello Statuto; esaminavano gli atti del Crimi- nale, se vi fosse cosa da querelarne i giudici nel sindacato; e attendevano al buono stato delle strade, ai pesi e alle misure». Senza contare che «in Osimo dipingevano su pe’ palazzi pubblici gli ufficiali che fuggivano per non istare a sindacato». Cfr. Giulio Rezasco, Dizionario del linguaggio italiano storico ed amministrativo (Firenze: Le Monnier, 1881), 382, 391, 807, 889; si veda anche la voce poliziare, a p. 820, che a Siena indicava la specifica procedura d’accusa di un officiale sottoposto a sindacato (formulata, appunto, tramite una scrittura in po-

lizza). Entro la città di Venezia questa specifica funzione veniva svolta dagli Avogadori di Comun, cfr. Cristina

Setti, «L’Avogaria di Comun come magistratura media d’appello», Il diritto della regione. Il nuovo cittadino. Rivista

bimestrale 1 (2009): 143–71.

78 Dudan, Sindacato, 25 ss e le fonti citate. 79 Ferrante, La difesa della legalità, 22.

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Il sindacatus dunque costituiva, nella sua essenza fondamentale, un istituto proprio del diritto romano e, al pari di altri istituti e procedure della medesima origine, venne dupli- cemente incorporato tanto nel diritto canonico quanto in quello civile, a partire da quello giustinianeo; esso fu così destinato a una variabilità di risvolti pratici e teorici di non poco conto, che lo portarono a migrare prima nel diritto feudale e poi nel diritto comune.

Non fu quindi un caso che la procedura di sindicato, così diffusa e cangiante, venisse propriamente formalizzata solo alla fine del XII secolo, per effetto del commento dei giuri- sti della Scuola bolognese, noti protagonisti del recupero del Corpus Iuris Civilis quale base normativa: in un’epoca, cioè, in cui la riscoperta di un diritto comune codificato e perspicuo funse da fondamento pratico e ideologico all’emancipazione dei Comuni, corrispettiva- mente allo sviluppo autonomo delle legislazioni statutarie80.

Questi elementi costituzionali, assieme ad altri di natura culturale, economica e socio- antropologica, avevano concorso a dare forma a quell’ideale di libertas cittadina che, sfi- dando l’autoritarismo dei poteri a vocazione universalistica, quali la Chiesa e l’Impero, aveva sancito l’affermazione del predominio della legge quale garanzia delle libertà parti- colari dei membri della civitas contro i potenziali abusi di detti poteri, così come contro lo spettro della violenza politica interna81. Sotto questo profilo l’esistenza del controllo sindi-

cale costituiva una diretta espressione dell’autorità degli Statuti, testimoniandone l’indi- spensabile funzione nel mantenimento dell’autonomia politica e della pax cittadina, as- sieme ad altri meccanismi di garanzia (quali il sorteggio delle cariche, la breve durata di queste ultime e una predilezione per l’uso del documento scritto)82.

Tutti i cittadini infatti, anche i debitori del fisco, erano chiamati a rivolgere alla com- missione dei sindici qualsiasi tipo di lagnanza nei confronti del rettore e dei membri del suo entourage, nell’ambito di una fase inquisitoria susseguente a un pubblico bando, con- venzionalmente chiamata inquisizione generale e votata nella sostanza all’accertamento di errori e mancanze degli amministratori della civitas nell’esercizio del proprio incarico:

80 Moritz Isenmann, Legalità e controllo del potere (1200-1600). Uno studio comparativo sul processo di sindacato: Fi-

renze, Castiglia e Valencia (tesi di dottorato, European University Institute - Department of History and Civili-

zation, 2008), ora pubblicata in Id., Legalitat und Herrschaftskontrolle (1200-1600): eine vergleichende Studie zum

Syndikatsprozess: Florenz, Kastilien und Valencia (Frankfurt am Main: Klostermann, 2010).

81 Philip Jones, The Italian city-state. From Commune to Signoria (Oxford: Clarendon, 1997), 124 e passim. A propo-

sito di ciò, l’espressione usata dalla storiografia internazionale è «rule of law», Jones., 33-35. Cfr. anche Moritz Isenmann, From rule of law to emergency rule in Renaissance Florence, in The politics of law in late medieval and

Renaissance Italy, a c. di Lawrin Armstrong e Julius Kirshner (Toronto-Buffalo-London: University of Toronto

Press, 2011), 55–76.

82 «Instead of conceptions of God-given order and centralizing rule of monarchs and princes, 'distrust in rule

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dalla semplice negligentia o culpa levis, alla colpa chiaramente intenzionale (dolus). Se le de- nunce raccolte in questa fase avevano fondamento, si procedeva all’inquisizione speciale, cioè all’indagine sulle eventuali responsabilità personali degli inquisiti riguardo ai fatti loro ascritti. Questi venivano talora rinviati a giudizio; la sentenza era di norma inappellabile e solitamente una condanna in sindicato squalificava la reputazione dei podestà83.

Pare tuttavia che almeno nel caso del Comune di Firenze, sotto questo aspetto quello più studiato, i sindici si concentrassero di più sulla raccolta degli appelli contro le sentenze penali del rettore, forse per via della forte pressione delle lotte di fazione sull’andamento quotidiano del governo, ma probabilmente anche per i maggiori costi sociali, politici e fi- nanziari degli appelli civili84. Riguardo poi all’aspetto che noi oggi diremmo ‘amministra-

tivo’, ovvero alle responsabilità dirette del podestà nella gestione della struttura finanzia- ria cittadina, il sindicato fiorentino, al pari di quello di altri Comuni, venne a concentrarsi su casi specifici di corruzione e peculato, nonché in generale su tutti i tipi di intacco (appro- priazione indebita) commessi personalmente dai rettori e dai loro massari (assistenti con- tabili) nei confronti delle finanze pubbliche85.

Questo aspetto più propriamente “contabile” della procedura sindacale è stato però spesso sottovalutato dalla storiografia in tema: sia perché, nella caleidoscopica realtà della penisola italiana, le competenze di audit erano spesso già proprie di altri magistrati ordi- nari (ma si potrebbe dire lo stesso degli appelli giudiziari), sia soprattutto a causa del pre- valere di una lettura «legalistica» della procedura sindicale, protesa ad evidenziare quasi solamente gli effetti “centralizzatori” e, osiamo dire, “populistici” della giurisdizione d’ap- pello offerta da molti magistrati sindacatori in forza degli Statuti; non tenendo in suffi- ciente conto, cioè, dei risvolti economici e fiscali di tale procedura, la cui funzione precipua continua invece, nella storiografia, ad essere assimilata sostanzialmente al destino politico

83 Nel caso del Comune fiorentino, la procedura di sindicato si svolgeva nei dieci giorni immediatamente suc-

cessivi alla scadenza del mandato del podestà ed era portata avanti da una commissione di cittadini scelti a sorte e affiancati da un esponente dei rettori stranieri sottoposti all’inquisizione sindacale, cfr. Ivi, 58-59. Sull’importanza della reputazione del rettore, ovvero della sua «virtù», si vedano le considerazioni fatte negli scritti «podestarili» di Brunetto Latini in: Lauro Martines, Power and imagination. City-states in Renaissance Italy (London: Allen Lane, 1979), 155-167. Sul sindacato quale verifica della «virtù politica» dell'officiale cfr. Fer- rante, La difesa della legalità, 21.

84 Isenmann, From rule of law, 60.

85 Isenmann parla soprattutto di «theft, corruption and debts», ma considera questo aspetto il sintomo di un

ridimensionamento della procedura di sindicato, secondo una visione che associa generalmente quest’ultima innanzitutto al perseguimento della violazione delle leggi e delle procedure prescritte dagli statuti cittadini e dal diritto comune. In questo senso, l’autore paragona la procedura di sindicato ai diritti anglosassoni al “giusto processo” e all'habeas corpus. cfr. Ivi, 60.

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dell’esperienza comunale, nonché al contributo del rule of law alla legittimazione di un con- cetto di sovranità di tipo collegiale, diverso dalla sovranità tradizionalmente intesa come

de iure divino (propria invece delle entità politiche monocratiche, come i regni e gli im-

peri)86.

Il rilievo assunto dagli aspetti più nettamente giurisdizionali del sindacato nelle pagine dei dotti e dei glossatori ha del resto contribuito non poco a corroborare questa prospettiva di ricerca, che ha legato le vicissitudini e le trasformazioni della sindacazione comunale allo statecraft cittadino, alla sua crisi e al contestuale avvento di signorie e stati territoriali87.

Nondimeno, l’analisi di altre realtà cittadine italiane precedenti e coeve ha suggerito ad alcuni una diversa impostazione del problema. In altre parole, sempre a partire dai dati statutari, la prospettiva di studio della procedura del sindicato comunale medievale è stata rovesciata, considerando le funzioni di tale istituto giuridico prima di tutto dal punto di vista patrimoniale e finanziario, anziché da quello eminentemente giurisdizionale88. Ciò ha

contribuito a delucidare alcuni aspetti dottrinali che nella comprensione del significato e delle espressioni della prassi sindacale risultano a dir poco fondamentali, perfino rispetto alla stessa teoria della sovranità cittadina.

Visto infatti quale atto di verifica patrimoniale delle casse del Comune, antesignano della nostra ‘revisione contabile’ ovvero delle nostre procedure di audit sui bilanci di stati e aziende, l’istituto sindicale esprimeva in maniera più immediata il reticolo di interessi economici e influenze politiche sottese al principio compromissorio del facere comunantiam: la sindacazione, in altre parole, lungi dal veicolare un qualche tipo di “legalità” cittadina, ovvero un astratto ma anacronistico principio di conformità alle leggi, era un metodo di controllo politico e materiale dell’amministrazione corrente del Comune, volto principal- mente a proteggere gli interessi patrimoniali e fiscali delle fazioni al potere. Fazioni che d’altro canto, al di là delle singole ambizioni personali o di un vago senso di identificazione

86 Si veda a questo proposito la critica all’approccio legalista svolta da Crescenzi, Il sindicato, 384-89, e la par-

ziale risposta offerta da Ferrante, La difesa della legalità, 17-18.

87 Isenmann, «Legalità e controllo».

88 Mi riferisco ancora al lavoro di Crescenzi, Il sindacato, svolto soprattutto in relazione ai casi specifici di

Bologna, Padova e Siena a fine XII secolo, e alle cui osservazioni si riferiscono in gran parte i prossimi para- grafi.

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ideologica con le sorti della propria civitas89, non avevano né potevano avere la piena con-

sapevolezza di essere a capo di un organismo statuale trascendente le proprie particolari sfere d’azione e di legiferazione90.

Eppure, anche intesa nel senso di rendiconto, la procedura di sindacato, pur essendo suppletiva rispetto alle revisioni fiscali ordinarie, era svolta da magistrati che entro la iuri-

sdictio cittadina godevano di una posizione preminente rispetto agli altri, una posizione

sovraordinata e, per così dire, insindacabile; una posizione, questa, conferita loro dall’ori- ginario carattere di rappresentanza che la nozione giuridica del sindacatus continuava non- dimeno a portare con sé, almeno a livello semantico, e che, in questo caso, si riferiva alla delega di poteri ricevuta dai sindacatori dalle assemblee comunitarie: all’espressione della loro autorità, in altre parole91. Questi consigli cittadini, però, annoveravano pur sempre al

proprio interno i membri più influenti di ciascuna corporazione e fazione locale e, così composti, di fatto agivano sulle politiche comuni in base a una logica spartitoria, ovvero distributiva, più che in virtù di un supposto “senso dello stato”, nonostante in alcuni casi ciò servisse anche a prevenire l’instabilità e il clima di emergenza politica dato dalle lotte di fazione: ossia quello «stato di eccezione», imposto dalla vittoria di un partito sull’altro, che avrebbe rischiato di compromettere le libertà statutarie92.

Fondamentale, per la preservazione degli interessi della civitas, oltre a un’“equa” di- stribuzione delle cariche pubbliche, era quindi un’amministrazione il più possibile con- corde ai compromessi già deliberati dagli organi assembleari in merito alle entrate fiscali e

89 Martines, Power and imagination.

90 Aspetto tipico del Trecento italiano, quando le comunità civiche, con la sola eccezione di Venezia (come

suggerito poc’anzi), mostrano di non aver ancora maturato una nozione di «stato» vicina al senso moderno, cioè astratta dai valori religiosi ed etico-morali della società cetuale e indipendente dagli interessi particolari di ciascun governo di fazione, Tenenti, Stato, 15-97. Si vedano inoltre le considerazioni fatte dal giurista Paolo Grossi a proposito del carattere strumentale e non costituzionale degli Statuti medievali, i quali sarebbero compilazioni rispondenti più a esigenze pratiche e a necessità concrete che non a logiche impersonali. Cfr. Paolo Grossi, L’ordine giuridico medievale (Roma-Bari: Laterza, 1995), 231-232.

91 A dimostrazione che, a dispetto dei due diversi filoni etimologici sopra enunciati a cui la parola sindacato

ha dato origine, i suoi ambiti semantici rimasero in qualche modo legati, e con influenze reciproche. Si veda ad esempio la maniera con cui i sindici ovvero ambasciatori veneziani del Medioevo usavano negoziare i trat- tati di pace: essa richiama il lessico dell’ambito giuridico privatistico della negotiorum gestio, lo stesso, per intendersi, da cui è derivata la procedura di sindacato che qui stiamo storicizzando, cfr. J. Chrysostomides,

Monumenta Peloponnesiaca. Documents for the history of the Peloponnese in the 14th and 15th centuries (Camberley:

Porphyrogenitus, 1995), documento n° 33, pagine 71-78. Per alcuni giuristi, invece, la missione sindacale rien- trava in un’ottica di «sacerdozio» configurata già dal Digesto, cfr. Ferrante, La difesa della legalità, 20.

92 Isenmann, From rule of law, pp. 70-75, dove si riscontra un'effettiva sospensione della procedura di sindicato

durante i regimi degli Albizzi (in particolare negli anni 1393-1400) e dei Medici (1434-1498), ovvero la sottra- zione delle funzioni sindicali da parte di alcune magistrature dotate di poteri straordinari, come gli Otto di

Guardia e i Conservatori alle Leggi. Cfr. anche Andrea Zorzi, «I fiorentini e gli uffici pubblici nel primo Quattro-

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alle spese sostenute per i bisogni comuni; nel quadro, tuttavia, di una dimensione pubblica che non era ancora pubblicistica, cioè compiutamente astratta dagli interessi di corpo. Un’amministrazione tra l’altro gestita, solitamente, da un corpo estraneo al tessuto citta- dino: il podestà, il quale appunto a quell’epoca era ancora di origine straniera, in ossequio al persistere della consuetudine imperiale di investire ufficialmente i rettori delle civitates italiane anche quando la loro elezione divenne prerogativa dei collegi cittadini. Ecco che per vincolare con più forza questa carica di governo agli interessi fiscali e finanziari delle