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Identità ‘civiche’ e ‘dinastie’ di Camera nelle Isole Ionie

Il viaggio degli «Inquisitori in Levante» ebbe dunque inizio nell’estate del 1612 e vide in effetti come prime tappe le isole di Corfù (in agosto) e Zante (in settembre), dove Bon, Pasqualigo e Loredan pubblicarono i loro primi proclami e mandati penali nei confronti dell’amministrazione dei reggimenti384. Le fonti in proposito non ci parlano tanto del tra-

dizionale rito dell’inquisizione generale, cioè della fase di convocazione della popolazione

Φραγκίσκο Barozzi (1537-1648)», Θησαυρίσματα 20 (1990): 300–403; Alfred Vincent, «The Calergi case »; Kostas Tsiknakis, «’Ενα επεισόδιο από τη ζωή του Francesco Barozzi», in Της Βενετίας το Ρέθυμνο. Πρακτικά

συμποσίου, Ρέθυμνο 1-2 Νοεμβρίου 2002, a c. di Chryssa Maltezou e Aspassia Papadaki (Venezia: Istituto Elle-

nico di Studi Bizantini e Postbizantini, 2003), 337–67. Tali casi si intrecciavano infatti a delle situazioni di faida verso cui Venezia manteneva una prudente neutralità, derivante però non solo dalla sua oggettiva de- bolezza in quell’area ma anche dalla diversa opinione che i vari membri del patriziato lagunare avevano di queste situazioni.

381 Conservati in ASV, Sindici Inquisitori, b. 67, fasc. 6. La relazione finale di Filippo Pasqualigo si trova in ASV,

Collegio, Relazioni, b. 75. La sua carriera, durante la quale egli fu più volte provveditore generale in diversi

distretti da terra e da mar, ne elevò il prestigio a tal punto che egli concorse alla carica di doge nel 1612, anno in cui peraltro gli era stato conferito il titolo vitalizio e altamente onorifico di procuratore di San Marco, cfr. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, 393-394.

382 Nonostante i diversi poteri dati in commissione, il nucleo fondativo delle missioni di sindacato veniva

mantenuto: «Debbano riveder li conti e maneggio delle camere e del denaro publico, de biscotti, biave, pol- veri, armi, arsenali, e loro apprestamenti, vedendo il fondo di dette munitioni, e incontrandole con li conti e scrittura di esse, per castigar quelli che havessero mal amministrato e intaccato, facendone risarcir la Signo- ria Nostra», ASV, Senato Mar, reg. 70, cc. 156v-158v.

383 Ibidem: «E debbano nell'andare visitar la città di Corfù, acciò a quelli sudditi non resti diferita questa consolatione, e

ispedir in essa li negotii più importanti, per potersi valer nel passar in Candia della commodità delle dieci galee di quel Regno; dovendo poi nel ritorno supplir nelle altre isole, e a quanto le restasse anco di operare a Corfù», (corsivo mio: si

tratta infatti di un’aggiunta fatta pochi giorni dopo la commissione dell’8 giugno 1612).

384 Abbiamo potuto ricostruire i contenuti generali di questa visita sindacale grazie all’incrocio di due fonda-

mentali corpus documentari, presentati da Ottaviano Bon al suo ritorno a Venezia. Un primo corpus, che trat- teggia l’andamento complessivo della missione in due volumi di copie manoscritte dei principali atti emessi da Bon, Pasqualigo e Loredan tra 1612 e 1614, è presente in:ASV, Sindici Inquisitori, b. 67: Libro primo de diversi

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di tali isole per la raccolta delle denunce385, ma piuttosto di questioni disciplinari e finan-

ziarie. Nei circa venti giorni in cui rimasero a Corfù gli Inquisitori si occuparono soprat- tutto di regolamentare la vita delle fortezze dell’isola secondo le consuetudini veneziane in materia, ad esempio tentando di far rispettare agli ufficiali l’annoso divieto di prendere moglie nell’isola (cassando le nomine degli inadempienti), ribadendo il divieto di impiegare soldati «casalini» (cioè autoctoni) e istituendo cinque nuovi «contestabili» destinati alla guardia notturna386. In questo scorcio di tempo non mancarono comunque di concedere

grazie per bisogni individuali387 o di dare una prima risposta ai disagi collettivi creati dal

soggiorno di sopracomiti e capi da mar388.

A Zante, invece, gli Inquisitori affrontarono da subito la materia dei debitori della ca- mera fiscale, richiamando costoro a saldare le proprie pendenze entro otto giorni per gli importi da cento ducati in giù o entro due mesi per le cifre superiori a cento ducati; pena le «essecutioni reali e personali» (cioè le confische e le detenzioni) che si ritenesse oppor- tuno applicare dal provveditore dell'isola (conforme gli ordini a lui lasciati dagli Inquisitori stessi) e, soprattutto, l'esclusione dal consiglio della Comunità, così come dalle cariche pub- bliche locali per chi vi appartenesse389.

La condizione di debitori dello stato veneziano, in altre parole, poteva privare gli inte- ressati del privilegio della cittadinanza all’interno della comunità d’origine, un privilegio formalmente sancito dall’appartenenza al consiglio locale e quindi determinante nel defi- nire l’identità di alcuni gruppi di persone, sia a livello comunitario che statale: esso nelle società levantine costituiva un attributo giuridico assai più definito rispetto al diritto alla

atti scritti dal cancellier dell'eccellentissimo Bon (d’ora in poi = Libro primo Atti diversi); ibidem: Libro secondo de atti scritti dal cancellier dell'eccellentissimo Bon (= Libro secondo Atti diversi). Il secondo corpus è costituito da altri due

volumi, contenuti in ASV, Senato, Dispacci PTM, fz. 586, e rispettivamente denominati Ordeni e Provisioni (= Libro

primo Ordini) e Terminationi e Ordeni (= Libro secondo Ordini). Altri corpus o singoli documenti relativi a questi

Inquisitori, oltre alle loro due relazioni di fine mandato, verranno richiamati nelle note seguenti.

385 Questa non è segnalata nelle fonti sul passaggio dei Sindici delle Ionie ma è ben documentata nell’ambito

della visita a Creta e a Tinos. A Candia il relativo proclama venne pubblicato il 12 ottobre 1612 ma, probabil- mente a causa del suo scarso successo, fu ribadito il 22 dicembre dello stesso anno, sollecitando in particolare le denunce di poveri e contadini contro i "gravi e importanti disordini ch'intendono [gli inquisitori] esser se- guiti da molto e continuato tempo per mancamento e colpa d'alcuni nodari dell'avogaria, della cancellaria maggiore e altri offici di questa città", cfr. Libro primo Atti Diversi, 12v-13r. A Tinos, la convocazione del popolo venne effettuata all’arrivo di Giovanni Pasqualigo, sabato 1 giugno 1613, con pubblicazioni in latino e greco, cfr. ASV, Materie Miste e Notabili, b. 72, Ordini di Giovanni Pasqualigo a Tine, 1613 (= Ordini Pasqualigo Tine), 1r.

386 Libro primo Ordini, 1r-2r.

387 Come ad esempio una grazia di scarcerazione per Zuanne Petretin, sanzionato dal vicebailo di Corfù con

due mesi di carcere per non essersi presentato a rispondere delle proprie azioni in un piccolo processo che lo riguardava, cfr. Libro primo Atti diversi, cc. 1r-2v.

388 Libro primo Ordini, 3r. 389 Ivi, 3r-4r, 24 settembre 1612.

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«cittadinanza veneta», cioè a quella sorta di naturalizzazione che veniva conferita automa- ticamente ai sudditi dei domini della Serenissima al momento della conquista, ma le cui implicazioni sul piano sociale ed economico apparivano, almeno a partire dal Cinquecento, piuttosto vaghe390. Appartenere al Consiglio della Comunità invece offriva, oltre alla cer-

tezza di uno status privilegiato rispetto agli altri abitanti dell’isola, l’accessibilità a molte- plici canali di interazione con le autorità repubblicane (dalle ambasciate alle cariche locali, a ruoli e posizioni di prestigio in processioni e cerimonie pubbliche391), e da una relativa

posizione di forza.

Questo è un elemento tutt’altro che secondario, perché ci permette di capire come gli Inquisitori, punendo i debitori con la privazione della cittadinanza “comunitaria”, stabili- vano (o ribadivano) un criterio di accesso alla vita pubblica locale che era basato anche sugli oneri dovuti alla Repubblica, data la destinazione teorica a Venezia o ad altre isole di parte degli introiti delle camere fiscali392. Non casualmente, quindi, i proclami contro i de-

bitori furono replicati anche a Creta e a Corfù, pur con un atteggiamento talora più mite e benevolo e con qualche aggiustamento tecnico, in ragione della diversa struttura sociale e dalle peculiarità monetarie e finanziare del posto393.

Il nesso tra cultura politica locale e dimensione statuale era altresì visibile nella ge- stione degli apparati burocratici dei reggimenti, i quali, al di là di qualche carica apicale eletta direttamente a Venezia (come quella di ragionato), dipendevano fondamentalmente

390 Gerassimos D. Pagratis, «Entrepreneurship and social and political power in the Ionian Islands from the

late sixteenth century to the first decades of the seventeenth: some case studies from Venetian-ruled Corfu», in Social and political elites in eastern and central Europe (15th-18th centuries), a c. di Cristian Luca, Laurențiu Rădvan, e Alexandru Simon (London: School of Slavonic and East European Studies, 2015), 109–20.

391 Sulle quali cfr. Aliki-Xenia Nikiforou-Testone, « Le rituel civique à Corfou pendant la domination véni-

tienne : les cérémonies publiques (14e-18e siècle). Sous la direction de Spyros Asdrachas » (Université Pan- théon-Sorbonne (Paris), 1995).

392 Per la verità tra Cinque e Seicento i gettiti delle Camere marittime erano insufficienti a soddisfare la spesa

pubblica locale, sicché di fatto non arrivavano mai a Venezia ma piuttosto era Venezia stessa a mandare dei fondi aggiuntivi. Le camere principali (Corfù e Candia) erano inoltre sostenute dagli avanzi delle province circonvicine (Corfù, per esempio, da Zante e Cefalonia). Cfr. Pezzolo, L’oro dello Stato, 150-151 e più in generale le deliberazioni dei registri del Senato Mar di questo periodo, che documentano bene il fenomeno, confer- mando quanto asserito nelle relazioni di fine mandato di rettori e magistrati sovradistrettuali, nonché indu- cendoci ad assecondare l’osservazione metodologica di Luciano Pezzolo per cui: «Proporre delle cifre a ri- guardo, pur nella loro grossolana approssimazione, significa riportare nella giusta dimensione concetti quali “sfruttamento”, “imperialismo” o “colonizzazione”», cfr. Ivi, 146.

393 A Creta infatti non si fece cenno alla privazione dell’appartenenza ai consigli cittadini, che comunque ma

erano condizionati dal peso della feudalità e dalla diversa gestione del rapporto città-campagna (temi su cui torneremo); inoltre lì si concesse più di una proroga, esprimendo una certa vaghezza nell’intimazione delle sanzioni. A Corfù invece si modificarono le cifre in questione e si abbreviarono i termini temporali, probabil- mente anche per il minor tempo a disposizione dei Sindici. Cfr. Libro primo Atti diversi, 7r-8r.

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dal personale isolano, cioè da membri eletti dal Consiglio della Comunità e dai loro even- tuali sostituti; costoro di solito ottenevano le cariche intermedie per privilegio, vale a dire su investitura diretta dei rettori e quindi spesso a titolo vitalizio394.

Nei casi in cui l’assemblea cittadina era monopolizzata nel tempo da un numero ri- stretto di famiglie aristocratiche, come nella Zante della seconda metà del Cinquecento, ciò implicava che gli officia del reggimento veneziano di fatto appartenessero ai membri di queste poche famiglie (di ascendenza sia latina che greca). Il potere di queste derivava così dal fatto di detenere il controllo sostanziale degli atti di Camera e Cancelleria, cioè di poter usare tale documentazione a proprio vantaggio, non solo per estorcere denaro in modo illecito ma anche e soprattutto per fronteggiare le pretese dei ceti sociali o delle fazioni isolane a loro concorrenti.

Dall’élite dei cittadini zantioti (così come avveniva a Corfù) erano infatti esclusi i cosid- detti popolari, cioè un ampio settore di popolazione urbana arricchitosi, nel corso del Cin- quecento, coi proventi dell’artigianato e del commercio, nonché coinvolto nel contrab- bando delle risorse agricole più preziose per l’isola, come l’uva passa395. In virtù di tale

esclusione, fondata essenzialmente su requisiti di nascita396, il ceto dei popolari era sostan-

zialmente privo di contatti diretti con la gestione amministrativa e fiscale degli affari zan- tioti, essendo anzi esposto al potere di ricatto e di abuso della parte avversa, e, di conse- guenza, propenso ad acuire il proprio spirito di rivalsa397.

Il conflitto sociale all’interno dell’isola tendeva così a radicalizzarsi anche grazie alla collaborazione, più o meno volontaria, dei governanti veneziani; i quali, assecondando l’aristocratizzazione della società zantiota col riconoscimento della serrata del consiglio cit- tadino, avevano di fatto incorporato tale conflitto nelle strutture burocratiche da essi di- pendenti. I rettori veneziani d’altronde non disdegnavano il lasciarsi coinvolgere nelle trame dei propri «offitiali»: un proclama penale emanato dagli Inquisitori in Levante il 27

394 Andrea Zannini, Il sistema di revisione contabile della Serenissima. Istituzioni, personale, procedure (secc. XVI-

XVIII) (Venezia: Albrizzi, 1994), 151.

395 Sul contrabbando dell’uva passa e sulla sua importanza per la nascita della Levant Company e della potenza

commerciale inglese, cfr. Fusaro, Uva passa; Fusaro, Political economies.

396 E sancita dalla serrata del consiglio cittadino di Zante del 1542 ai membri delle famiglie che non rispetta-

vano alcuni requisiti di “civiltà”, come il non esercizio delle arti meccaniche da tre generazioni, cfr. Letterio Augliera, Libri politica religione nel Levante del Seicento. La tipografia di Nicodemo Metaxàs primo editore di testi greci

nell’Oriente ortodosso (Venezia: Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 1996).

397 Spirito che nel 1628 si concretizzò nella cosiddetta «rivolta dei popolari» di Zante, per cui cfr. Ivi, 125 ss.;

Dimitris D. Arvanitakis, Κοινωνικές αντίθεσεις στην πόλη της Ζακύνθου. Το ρεμπέλιο των ποπολάρων (1628) (Athina: Ellenikò Logotechnikò kai Istorikò Archeio - Mouseio Benaki, 2001); Fusaro, Political economies, 315 ss.

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settembre 1612 li accusava apertamente di sovrastimare i prezzi dei beni di prima necessità per farne illecita «mercantia», e di permettere pratiche simili a dazieri ed estimatori pub- blici, le cui tariffe gonfiate vincolavano i commercianti a debiti pressoché insostenibili398.

Il coinvolgimento dei rettori negli affari locali era quindi fortemente condizionato dal tipo di rapporto che essi riuscivano a intrattenere con le élite dei cittadini, dinnanzi ai quali l’esercizio onesto della propria autorità di governanti (per contrastare delitti ed illeciti) poteva essere controproducente. Ciò traspare a maggior ragione nei casi in cui la condotta dei rettori, pur legittima e in buona fede, veniva sminuita dal pregiudizio negativo impli- cato contro di loro dalle stesse inchieste sindacali, come nel caso seguente.

Nel novembre 1612, Ottaviano Bon, Giovanni Pasqualigo e Marco Loredan, già arrivati nel Regno di Candia da circa un mese, ricevettero una supplica giunta in tutta fretta da Zante. La lettera era stata scritta per perorare la posizione dell’«eccellente domino» Tom- maso Mercati, messo in stato di arresto dal provveditore di Zante immediatamente dopo la partenza degli Inquisitori dall’isola, partenza avvenuta tra settembre e ottobre; nello scritto, il supplicante lamentava di essere stato incarcerato ingiustamente e secondo mo- dalità indegne della propria condizione («in strettissima prigione e con due cathene ai piedi»). Sulla base delle motivazioni esposte, le quali noi non conosciamo, gli Inquisitori non esitarono a manifestare la propria propensione a credere alla versione del supplicante, «qualificato e primario cittadino di quella città», dubitando della correttezza della proce- dura seguita dal rettore, la quale essi ritenevano sproporzionata, anche a causa dell’età avanzata dell’imputato399.

Il pregiudizio degli Inquisitori contro il provveditore non pareva quindi motivato solo dagli abusi procedurali ma piuttosto dalla condizione sociale del «cittadino» Mercati, per il quale erano disposti a intervenire come piezi, cioè come garanti, altri nobili zantioti, pronti a versare per il rilascio del loro comprimario una cauzione di duemila zecchini400.

Nel mentre il rettore veniva interdetto dal processare il Mercati sino al previsto ritorno a

398 Libro primo Atti Diversi, 4r-6r.

399 Ivi, 8r-v. Accanto all’ordine purtroppo non è stato trascritto il testo della supplica.

400 Ivi. Sulle famiglie appartenenti al Consiglio della Comunità di Zante tra fine Cinquecento e inizio Seicento

si vedano i numerosi dati raccolti in: Panayiota Tzivara, Βενετοκρατούμενη Ζάκυνθος 1588-1594. Η νομή και η

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Zante di Bon, Pasqualigo e Loredan, che avevano così deciso di assumersi il giudizio del caso, segnandone probabilmente il destino401.

Le cose non erano tuttavia così semplici come apparivano agli Inquisitori, come essi cioè mostravano di averle interpretate nell’ordine al rettore. Costui, ossia il patrizio Fran- cesco Donà, offrì al Senato veneziano una propria versione dei fatti qualche mese dopo, mediante un dispaccio spedito in laguna nel febbraio 1613402. In esso venivano narrati dei

particolari essenziali, in primo luogo il fatto che il Mercati fosse coinvolto già da nove anni in una lunga lite giudiziaria con un suo cognato, Giorgio Rapsomanichi, per via dell’eredità del padre di quest’ultimo: il Mercati, assieme ad un altro parente (Costantino Seguro) era riuscito a contendere questo lascito al cognato in grazia della propria professione d’avvo- cato ma anche della propria ricchezza e dei propri appoggi all’interno del Consiglio della Comunità. Presso quest’ultimo egli si era distinto pochi anni prima per essersi fatto eleg- gere sindico, cioè ambasciatore, dell’università di Zante: carica che, stando a quanto detto dal predecessore del Donà, Michele Priuli, in un processo da questi intentatogli nel 1611, gli avrebbe consentito di recarsi a Venezia più per perseguire i propri affari che non per perorare in Collegio le istanze votate dal consiglio cittadino; in particolare Mercati doveva difendersi nella lite giudiziaria col Rapsomanichi403.

La struttura clientelare interna al consiglio emergeva d’altro canto molto chiaramente dal fascicolo aperto dal Priuli, finito nel tribunale veneziano della Quarantia Criminale; in esso compaiono le liste dei membri dell’assemblea e le loro, deducibili, alleanze404, la cui

analisi non fa altro che riflettere una situazione sociale tipica delle élite ioniche (e non solo) di quell’epoca: la vigenza, nonché la piena “istituzionalizzazione”, di un contesto di faida nobiliare, che a Zante in quel periodo era implicato dalla contrapposizione tra i clan Bal- samo-Cariatti e Seguro-Mondino405. Nonostante il principale sodale del Mercati nei processi

401 Non abbiamo la sentenza finale del processo, la quale riteniamo essere rimasta nell’isola (in quanto inap-

pellata a Venezia) e quindi, al giorno d’oggi, probabilmente irreperibile, data la sfortunata scomparsa dell’ar- chivio di Zante a causa del terremoto del 1953. Cfr. Kolyva-Karaleka, «Il Memorial».

402 ASV, Senato, Dispacci Rettori, Zante, fz. 4, 3 febbraio 1613 [1612 m.v.]. 403 ASV, Quarantia Criminale, fz. 127, fasc. 182A.

404 Ivi, passim; Tzivara, Βενετοκρατούμενη Ζάκυνθος 1588-1594, 350.

405 Ciò è confermato, in modo assai eloquente, dalla testimonianza diretta di Bernardo Grimani, membro della

fraterna Grimani che abbiamo menzionato nello scorso paragrafo (cfr. supra, nota 32), e di passaggio nell’isola nel 1609. In una lettera al fratello Alvise, arcivescovo di Candia, egli descrisse con sconcerto una violenta sassaiola avvenuta tra i due clan nella piazza principale di Zante, nonché la mediazione di cui egli stesso, assieme ai propri agenti isolani, era stato protagonista dopo le pressioni insistenti del rettore; costui infatti, dopo aver inutilmente commissionato a un giovane notaio un’inchiesta giudiziaria, si era prodigato per otte- nere un accordo di pace tra le due consorterie. Cfr. ASV, Archivio Privato Grimani, b. 8, fasc.2: Lettere f.lli Grimani

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contro Rapsomanichi fosse Costantin Seguro, sappiamo che egli sosteneva apertamente la fazione dei Balsamo406. È forse proprio l’appartenenza a una delle più potenti consorterie

del luogo che aveva legittimato l’elezione di Tommaso Mercati in consiglio e la sua succes- siva nomina a sindico della Comunità, visto che la sua identità aristocratica appare messa in dubbio dal fatto che egli era notoriamente figlio naturale, cioè illegittimo, del nobile Andrea Mercati; lo stesso processo elettorale pareva essere stato poco trasparente, dato che molti dei suoi elettori, evidentemente di lingua greca, non erano in grado di capire la lingua «franca», cioè il volgare veneziano, nella quale egli aveva pronunciato le sue ora- zioni in consiglio407.

Quello a cui gli Inquisitori si erano trovati di fronte era quindi tutt’altro che un perso- naggio secondario vittima di un abuso procedurale ma piuttosto un personaggio assai ca- pace e influente, che peraltro non esitava a ricorrere all’uso della violenza per realizzare i propri scopi. Dal dispaccio del provveditore Donà si capisce infatti che, mentre gli Inquisi- tori erano a Creta, Giorgio Rapsomanichi era stato ucciso; in precedenza anche quest’ultimo li aveva intercettati con una supplica, nella quale chiedeva a gran voce che essi, con un apposito precetto penale, inducessero il reggimento e la Comunità di Zante a dare prose- guimento ed esecuzione alle cause col Mercati circa l’eredità contesa408. Nel dicembre 1612

gli Inquisitori avevano così rettificato i propri ordini al Donà (che nel frattempo aveva in- viato loro il processo che giustificava la dura incarcerazione del Mercati), riservando a sé stessi solo la causa penale in corso contro l’illustre cittadino e avvocato ma lasciando che gli effetti civili di altre sentenze a suo carico avessero luogo409.

La voce del Rapsomanichi, che diceva di essere infinitamente più povero delle proprie controparti e che affermava di esser stato minacciato di morte per via della propria perse- veranza in sede civile, non era quindi rimasta inascoltata; cionondimeno l’intervento degli Inquisitori, al pari di quelli pregressi dei rettori, non era servito a impedire un esito tragico e iniquo della vicenda; anzi, forse lo aveva involontariamente accelerato. I provvedimenti degli Inquisitori del resto trovavano una piena applicazione solo quando oltrepassavano le

406 Tzivara, Βενετοκρατούμενη Ζάκυνθος 1588-1594, 350. 407 ASV, Quarantia Criminale, fz. 127, fasc. 182A.

408 Copia di questa supplica è allegata al dispaccio Donà, cfr. ASV, Senato, Dispacci Rettori, Zante, fz. 4, 3 febbraio

1613 [1612 m.v.].

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barriere invisibili opposte dalle cancellerie locali; barriere spesso insormontabili, come di- mostravano altri precedenti casi giudiziari contro il Mercati citati dal Donà410.

Talora le influenze politiche che producevano queste barriere non si limitavano a pe- netrare i gangli dell’amministrazione locale, ma arrivavano allo stesso centro del potere: Venezia. Nel suo dispaccio infatti Donà non cercava tanto di giustificarsi per la propria