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Il contesto artistico

CAPITOLO4 LE AMBIZIONI D’ UNA NON CAPITALE

4.4 Il contesto artistico

La lista diviene ancora più lunga se aggiungiamo le personalità più prestigiose del tempo al di fuori della politica, come Wagner, Puccini, D’Annunzio, Oscar Wild, Trilussa,

Maupassant, Robert de Montesquieu, tra quegli artisti e poeti che erano entusiasti di una città così antica e intrisa di culture e di emblemi della civiltà classica.

Nel periodo storico fin qui trattato quello della Palermo di fine Ottocento, inserita in pieno ritmo risorgimentale che sfocia nell’espressione artistica ed esuberanza della Belle Époque, Palermo non veniva rivestita di rami e rampicanti in movimento - un elemento questo spesso frequente nelle opere in stile liberty - solo grazie al mecenatismo dei Florio; le ambizioni della città di assurgere a ruolo di capitale della cultura, erano portate avanti anche da molti altri personaggi importanti della società palermitana, con l’obiettivo di incrementare lo splendore culturale di Palermo, città giovane dal punto di vista diplomatico e intellettuale, ma antica nella storia e nel patrimonio artistico e culturale.

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Tra il 1895 e l’inizio della Prima Guerra Mondiale, la Belle Époque passa alla storia come un periodo di benessere e prosperità che cambia il modo di vivere gli ambienti e di fare arte, di intendere gli spazi e il tempo libero.

In molti, fanno risalire l’inizio di questo periodo alla fine del 1985 ed esattamente il 28 dicembre, quando i fratelli Lumière proiettavano per la prima volta dieci brevi pellicole cinematografiche al Grand Cafè di Parigi, per poche decine di spettatori che avevano pagato un biglietto; è la nascita del mondo cinematografico che rappresenta l’evoluzione della creatività, rivoluziona l’intrattenimento e lo diffonde al pubblico.

A fare da sfondo a questo periodo storico, fu il Liberty o Art Nouveau, ovvero una nuova

corrente artistica di origine tedesca che si rifaceva al dinamismo e alla contemplazione di esso in uno stile che armonizzava elementi floreali con la velocità del tempo che scorre. Ogni soggetto veniva rappresentato in movimento.

“Le due grandi novità apparse alla fine del diciannovesimo secolo, il cinema e lo Jugendstil65 , sono da considerarsi due fenomeni intimamente legati. Partirono infatti da premesse analoghe, ebbero obiettivi simili e anche le loro forze ispiratrici, del resto, scaturirono da ambiti molto vicini. L’immagine in movimento e lo stile in movimento sono, in un modo o nell’altro, prodotti dell’era industriale, in maniera diretta, come invenzione, oppure retroattivamente, come anelito alla preziosità. In entrambi i casi si presenta un’esigenza di comunicazione, sia pur soffocata, ma ricca di espressività. Questo accade sia in maniera capillare con gli esordi del cinema, sia con le svariate espressioni del nuovo stile, che vanno dalla ricercatezza artistica al naif, fino a giungere talvolta all’estrema ordinari età. Li accomuna un desiderio di popolarità che fu coronato da successi, forse più eclatanti nel caso del cinema, ma certo più duraturi per quel che riguarda la Jugendstil…Non sono dimostrabili rapporti diretti … La loro nascita quasi contemporanea – nel 1895 nacque il cinema e qualche anno prima era sorto lo jugendstil – sta a dimostrare che i due fenomeni, almeno per quanto riguarda il loro significato innovativo, erano molto simili66”.

Cinema, Art Nouveau, fiori e movimento, successo e popolarità, sono stati tutti elementi importanti del passaggio dal XIX secolo al XX secolo, elementi che hanno fatto da sfondo,

65 Jugendstil : è il nome che presero in Germania le espressioni artistiche dell'Art Nouveau, dal nome di una rivista di Monaco

(Jugend, "Giovinezza", fondata nel 1886) che contribuì a diffondere il nuovo linguaggio artistico, soprattutto nel campo della grafica e delle arti applicate. Il termine venne usato per la prima volta nel 1899 sulla rivista "Insel".

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perlomeno negli ultimi anni di gloria, all’età dei Florio, regalando molto prestigio anche alla città di Palermo.

Le ville dei Florio come l’Olivuzza, Villa Igiea, soprattutto sia negli esterni che interni degli edifici, mostrano bellissime opere in stile Liberty che dimostrano la diffusione che se ne ebbe in quel periodo e che ne spiega il collegamento così forte con la delimitazione di un contesto ben preciso.

Lo stile Liberty nel periodo della Belle Époque non era più relegato a ruolo di mero elemento decorativo, ma diventava a tratti filosofia di vita e maggiormente rimaneva regola di espressione dell’individualità.

L’art Nouveau veniva definito come:

“conseguenza della dissonanza tra arte e tecnica, che si era acuita sempre di più nel diciannovesimo secolo e che adesso richiedeva urgentemente una risoluzione” 67

.

Il momento culminante di questa forza propulsiva di esplosione artistica e di pensiero fu l’Esposizione di Parigi del 1900.

L’Art Nouveau era agli inizi ma già possedeva una clamorosa innovatività, questo però era ciò che la rendeva facilmente conoscibile ma più difficilmente compresa dal pubblico. Come è spiegato in Art Nouveau, Taschen 2013:

“La già citata dicotomia, cui l’Art Nouveau deve la sua origine, se mai sia possibile fissarla chiaramente, era sorta come conseguenza dell’affermarsi della tecnica in quanto fenomeno nuovo, fortemente indipendente, che aveva trovato riconoscimento grazie alle sue utili invenzioni a cui però era negata qualsiasi legittimità artistica68”.

Tra i vari settori artistici emergenti, prende sempre più spazio, la valorizzazione, oltre che delle arti visive, anche della musica e delle varie tipologie musicali che possono diversificare lo scenario già conosciuto fino a quel momento, stimolando i migliori artisti del campo a quell’intrattenimento sempre più vocato al concetto di pubblico.

Nomi di spicco riempivano le scalette degli eventi organizzati nelle calde serate palermitane di fine secolo.

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K. Jurgen Sembach, Art Nouveau, Colonia, Taschen 2013, p.14.

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Nel 1882, anno in cui terminò la composizione del dramma musicale il Parsifal, Palermo accolse il suo autore Richard Wagner in un soggiorno che il grande musicista trascorse nella villa del principe di Gangi ai Porrazzi.

L’artista, in un ricevimento organizzato in occasione del suo soggiorno in Sicilia, diresse alcuni brani della sua opera che fu rappresentata per la prima volta nei teatri europei solo a partire dal primo gennaio 191469.

Alle serate organizzate si esibiva anche il musicista Joseph Rubinstein con le ultime 21 sonate di Beethoven, una musica allora ritenuta di avanguardia.

Il soggiorno di Wagner a Palermo diede inizio ad una serie di concerti che affermarono un vero e proprio culto per la musica dell’artista, alcuni dei concerti del 1898 furono organizzati da Franca Florio e la principessa Giulia di Trabìa.

Il contributo culturale di Wagner, che nel frattempo aveva influenzato i compositori del tempo come Alberto Favara e Guglielmo Zuelli - allora direttore del conservatorio di Palermo - stimolava il talento di artisti siciliani che studiavano al conservatorio e che trovavano a Palermo uno scenario musicale adeguato per esprimere la loro arte come Gino Marinuzzi e Giuseppe Mulè.

Quest’ultimo studiò violoncello al conservatorio di Palermo sotto la direzione di Gueglielmo Zuelli, fu allievo di Giacomo Baragli, dello stesso Zuelli e di Alberto Favara per la composizione.

Mulè divenne una personalità di spessore in ambito musicale e ottenne la direzione nel 1922 dell’Istituto Vincenzo Bellini di Palermo.

Già nel 1903 una sua composizione Il Largo composta per le nozze del fratello, in realtà entrò nell’uso comune delle celebrazioni nuziali, la versione trascritta per archi arrivò ad avere enorme successo quando diventò sigla della “Rubrica del Santo” che era il programma di apertura delle trasmissioni dell’allora EIAR, poi RAI.

Nel 1910 fu invece chiamato a dirigere il concerto promosso da Zuelli in onore dei Sovrani d’Italia.

Mulè era il frutto dei benefici di quell’epoca bella che aveva introdotto dinamismo e rinnovato amore per l’arte.

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C. Giglio, Tina Whitaker e la musica a Palermo nella Belle Epòque, in Rosario Lentini e Pietro Silvestri (a cura di), I Whitaker di Villa Malfitano 16-18 marzo 1995, Atti del seminario di studio, Palermo, Fondazione Giuseppe Whitaker 1995.

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Compositori, musicisti, pittori, architetti e artisti si erano formati e istruiti nei migliori istituti palermitani e che, a Palermo, avevano fatto carriera, uno di questi fu Gino Marinuzzi, anche lui compositore e direttore d’orchestra appassionato di Strauss e Wagner, tra le sue sinfonie più celebri si ricorda la Suite Siciliana.

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Villa Igiea. Facciata Nord-Est, foto tratta da “L’età dei Florio” Sellerio 1985

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Premessa al capitolo 5

Il seguente capitolo è interamente dedicato al declino dei Florio e alla comprensione dei processi che hanno segnato le sorti dell’impero economico più grande della Sicilia.

La decisione di affrontare specificatamente questa tematica è nata dall’esigenza di chiarire che riguardo al declino, come molti pensano, non vi è un unico motivo, né un solo responsabile.

Le teorie sul declino dei Florio nel tempo, hanno toccato ipotesi che spaziano dal boicottaggio da parte degli industriali del Nord, all’incompetenza del terzo e ultimo erede dell’Impero, Ignazio jr, ma anche lo sperpero di risorse economiche, infatti i coniugi Florio furono spesso accusati di vivere nel lusso e nell’ostentazione delle loro ricchezze.

Per essere sicura di sviluppare un’argomentazione storiografica attendibile sull’argomento del loro declino, ho deciso di consultare uno dei più grandi storici e studiosi della storia dei Florio e, in generale, della storia della Sicilia, il Dottor Rosario Lentini.

Il succitato Lentini si è laureato in Scienze Politiche (percorso storico-economico) presso l’Università degli studi di Firenze nel 1975.

Dopo la laurea ha proseguito gli studi e le ricerche sulla storia della Sicilia dell’ età moderna e contemporanea, approfondendo in modo particolare alcuni aspetti relativi alla storia economica e sociale dell’isola tra il XVIII e XIX secolo.

La sua ricerca verso diverse tematiche: storia e attività imprenditoriali della famiglia Florio; attività dei mercanti-imprenditori inglesi in Sicilia; economia, credito e finanza in Sicilia; viticoltura ed enologia, (in particolare, nell’area di produzione del Marsala); pesca e tonnare nella Sicilia dell’800; commercio e dogane della Sicilia occidentale tra il ‘700 e ‘800.

Su queste tematiche di ricerca ha pubblicato numerosi lavori (anche su riviste straniere); ha presentato relazioni a convegni in Italia e all’estero; ha curato e organizzato anche alcune mostre documentarie.

Ascoltare l’esposizione del Prof. Lentini riguardo alle vicissitudini che hanno portato alla disfatta del casato dei Florio è stato sicuramente illuminante, non solo, per l’approfondimento oggetto del declino, ma anche per una rivisitazione storica della città di

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Palermo della seconda metà dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, che è emerso durante il corso del nostro incontro..

Conoscere dettagliatamente gli aspetti significativi della vita di ogni uomo Florio che si è succeduto nel corso del tempo, permette maggiore chiarezza quando si indagano le cause che hanno portato alla fine di un enorme patrimonio.

Rosario Lentini espone, con eccezionale chiarezza, come ogni singolo protagonista di questa storia abbia un suo ben preciso ruolo nel cammino che i Florio percorrono e introduce la sua personale opinione su ciò che ha davvero importanza nell’intera questione.

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CAPITOLO 5. IL DECLINO

Durante l’incontro con il già citato Dott. Lentini, ho rivolto lui la seguente domanda:

Qual è secondo lei la più plausibile fra le tante spiegazioni che si danno del declino dell’impero dei Florio?

È emerso dalla conversazione che, il tema del declino dei Florio è una questione estremamente complessa, perché i Florio, in realtà, erano un agglomerato commerciale, bancario, industriale che si è costruito nel corso dell’Ottocento.

Pertanto, questo implica una complessa analisi perché, una cosa è capire le cause del fallimento di una bottega, un’ altra è spiegare come crolla un complesso di attività commerciali, finanziarie, industriali e di relazioni che si sono create nel corso del tempo. Per entrare nel cuore della questione bisogna avere un approccio altrettanto articolato e affrontare gli argomenti in modo sistematico: sul piano delle biografie, sul terreno delle varie iniziative industriali e analizzarle per quello che sono state, per come si sono generate e sviluppate in coerenza col sistema industriale circostante.

Inoltre bisogna analizzare le correlazioni tra questo immenso complesso patrimoniale e l’economia, il contesto locale, ma anche il mercato internazionale e come in tutto questo si colloca il complesso delle industrie che sono state create dalla famiglia Florio.

E’ doveroso, dunque, affrontare lo studio di una questione così articolata in modo rigoroso, ecco perché è ancora difficile comprendere come si possa accettare la banalizzazione e la semplificazione da fotoromanzo della fine dei Florio, cosa che avviene quando si affermano teorie “sicilianiste” secondo le quali i Florio, sono andati in rovina quando Giolitti si è mosso contro di loro, complottando con gli industriali del Nord, che si opponevano alla crescente imprenditoria meridionale.

Prima di ogni cosa, per capire il declino di questa famiglia è opportuno comprenderne la genesi.

Individuare il momento in cui ha inizio serve a re-distribuire le responsabilità fra generazioni, perché uno degli errori più comuni che hanno fuorviato le indagini e

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l’attenzione degli storici sulla vicenda dei Florio è stata proprio quella di concentrare tutte le motivazioni del fallimento alla fine dell’Ottocento e quindi nel momento in cui vissero Ignazio Junior e donna Franca.

Fare questo, è un torto nei riguardi della famiglia Florio.

La storia dei Florio si sviluppa per intero, nel bene e nel male, nell’arco di tutto il XIX secolo e con Ignazio Junior, il terzo della generazione, si aggrava una profonda crisi che ha radici presenti anche quando il senatore padre era ancora in vita.

Quali erano le “condizioni di salute” delle industrie Florio quando Ignazio senior era vivo? E’ importante distinguere le singole biografie dei personaggi di casa Florio e le sorti delle varie aziende che si tramandarono di generazione in generazione.

E’ bene ricordare che quando si parla di Ottocento, l’imprenditoria nell’accezione del termine è tutt’altro che moderna; per il buon Vincenzo Florio, la figura dell’imprenditore si identifica con la gestione, lui è proprietario, manager, manovale e operaio della sua impresa, poiché il capitano di industria di quel tempo è, innanzitutto, il “padre padrone”. C’è una sovrapposizione tra la capacità personale acquisita dalla somma di esperienze, e la capacità di essere imprenditore, con l’impresa.

Sapere se tale persona è di talento o un incapace, non è un dato irrilevante, le biografie pesano!

Vincenzo Florio fin da adolescente lavorava in bottega al fianco dello zio che lo ha cresciuto, essendo il padre morto giovanissimo.

La drogheria di via Materazzai a Palermo era un crogiuolo di formazione, era un luogo dove si respirava aria di commercio internazionale, generi coloniali e droghe.

In questo ambiente egli svolse la sua pratica, respirando mercato e interagendo con mercanti fin da adolescente, grazie anche a quella disponibilità economica che lo zio gli potè rendere fin da quando egli prese le redini della bottega.

Vincenzo, giovanissimo, ebbe la possibilità di andare a Londra e in Francia, di conoscere il mondo avanzato dell’industria e delle manifatture delle prime grandi fabbriche, ove il capitalismo industriale era già decollato.

Vincenzo dunque, intraprese un percorso di formazione personale decisivo per subentrare allo zio, il quale morì nel 1828.

Vincenzo divenne capo del gruppo e vi rimase per quarant’anni reinterpretando il ruolo di capo d’industria con genialità.

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Si assistette alla costruzione di un impero da parte di un personaggio di notevole caratura, il cui modello di vita personale fu perfettamente e magnificamente sintetizzato da don Luigi di Maggio, prete della chiesa dei cappuccini che fu incaricato dell’orazione funebre:

“disprezzava i fasti e le pompe…”

Disse padre Di Maggio in quell’occasione nei riguardi del defunto. Ciò era sintomo di una vita dedita al lavoro in modo totalizzante.

L’accumulazione del capitale e il risparmio, non come mantenimento del tenore di vita, ma come investimento in altre iniziative erano i princìpi su cui si basava la sua carriera imprenditoriale ma non significa che Vincenzo, non fosse attento alla crescita progressiva di ruolo che ebbe nella città di Palermo, diventando governatore del Banco Regio dei Reali Domini.

Negli anni quaranta fu il più ricco finanziere sulla piazza e vicepresidente della camera di commercio di Palermo.

Ormai Vincenzo Florio era entrato a pieno titolo nel gotha70 della borghesia commerciale e finanziaria della città; aveva bisogno dunque di un immagine coerente e, per questo, decide di costruire la casa di famiglia nella zona dell’Arenella dei Quattro Pizzi, lasciando la casa affianco la drogheria di via Materazzari.

Questo fa parte di un modello borghese che esibisce la ricchezza solo quanto basta per dimostrare un salto di qualità dal commercio, alla finanza e industria.

La vera visibilità Vincenzo, la ottiene dalla compagnia di navigazione a cui viene data la concessione per il servizio postale Napoli - Sicilia nel 1858.

Con il figlio Ignazio, che però non sarà alla guida del casato prima dei quarant’anni, non solo si mantiene sostanzialmente intatto il gruppo delle aziende e se ne aggiungono delle altre, come la tessoria, la ceramica, le isole Egadi etc., ma si da inizio alla “conversione” imposta dai tempi.

Col cambio di regime, passando dai Borboni al Regno d’Italia, cambia il modo di essere imprenditori e diventa sempre più determinante la capacità di specializzarsi industrialmente, poiché a differenza della prima metà dell’Ottocento, quando era possibile

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gotha: [dal nome della città tedesca di Gotha]. Forma ellittica per almanacco di Gotha, annuario, pubblicato dal 1763 al 1944

da J. Perthes di Gotha, contenente in origine le genealogie dei sovrani d’Europa e di nobili tedeschi, poi quelle dell’aristocrazia di altri paesi e gli ordini cavallereschi.

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specializzarsi in tante attività, proprio come fece Vincenzo Florio con vino, zolfi, beni coloniali, sommacco, navigazione, etc., nella seconda metà dell’Ottocento, questo vale come modello industriale di tutta Europa e non solo per Palermo o per la Sicilia.

La specializzazione industriale comincia ad essere la carta vincente del futuro.

Occorrono molti capitali per innovare, per modernizzare e per battere la concorrenza che non è più quella locale, bensì quella internazionale e, anche il senator Ignazio, vuole dare di sé l’immagine più rilevante possibile, nel contesto nazionale.

L’acquisto delle isole Egadi e quindi dell’agglomerato paesaggistico e produttivo delle tonnare, è un segnale fortissimo che permette il passaggio da uno scenario più modesto, (seppur sede di ritrovo di regnanti e rappresentanti della finanza internazionale) come lo era il villino all’Arenella dei Quattro Pizzi di Palermo, ad uno dei più bei patrimoni naturalistici della Sicilia Occidentale, con annesse le tonnare di Formica e di Favignana. Ignazio sr. commissionerà al grande architetto e amico, Giuseppe Damiani Almeyda, di realizzare il palazzo Florio a Favignana.

Quello dei Florio era un progetto ambizioso, con le tonnare e l’inscatolamento del pesce ciò che si andava a costruire fu un’impresa che poteva incombere alle difficoltà date dalla carenza di pescato, essendo il tonno un prodotto ittico e dunque non producibile in fabbrica. La presenza del pesce nel mediterraneo doveva essere costante e abbondante per produrre utili e rimanere in attivo, ed effettivamente, per quanto ambizioso fosse il progetto, funzionò per almeno 15 anni.

All’inscatolamento in latta si arrivò nel momento in cui il metodo di produzione tradizionale (che fino a quella data era stato quello della salagione del pesce, e solo in parte, quello dell’olio di oliva, che veniva poi trasportato in barili), risultò tuttavia obsoleto e non più efficiente.

Quando vi fu la necessita dunque di innovare il metodo produttivo, si giunse all’adozione della lattina dotata di chiave per l’apertura della stessa, innovazione che tra l’altro, fu presentata all’Esposizione Universale di Palermo del 1890, dando prova di modernità in ambito di consumo familiare in cui ancora non esisteva il cibo in latta.