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Giulia Trigona di Sant’Elia

CAPITOLO 6. LE ALTRE DONNE DELLA BELLE EPOQUE SICILIANA

6.2 Giulia Trigona di Sant’Elia

Un’altra dama di corte, nota negli ambienti aristocratici di Palermo era Giulia Trigona. Nata a Palermo nel 1877 da Lucio Mastrogiovanni Tasca principe di Cutò e Giovanna Nicoletta Filingeri.

Giulia di Trigona è stata un’altra grande protagonista della società più in vista della Palermo di fine Ottocento, impegnata anche lei col ruolo di dama di corte e di organizzatrice di eventi; anch’ella godeva di visibilità e ammirazione generale e presenziava ai salotti aristocratici e ai ricevimenti più importanti.

Penultima di sei figli, Giulia Mastrogiovanni Tasca Filingeri di Cutò sposò all’età di diciotto anni il conte Romualdo Trigona dei principi di Sant’Elia (1870-1929).

I due ebbero due figlie e vissero un matrimonio felice per almeno un decennio.

I rapporti coniugali cominciarono a guastarsi in seguito a una malattia di Giulia durante la quale, il marito intraprese una relazione con un’attrice.

Romualdo Trigona intraprese pure la vita politica e fu sindaco di Palermo dal giugno 1909 al giugno 191082.

La storia di questa giovane aristocratica palermitana mostra aspetti intrisi di passione, mistero e mondanità molto più di quanto non si sia trattato fin’ora.

“La contessa Trigona non ha l’imponenza maestosa o la vivacità nervosa, energica, di qualche altra gran dama siciliana; non assomiglia a nessuna; ed è perciò così incantevole nella sua lieve, dolce, agile, personale seduzione. I suoi capelli castano-scuri incorniciano la faccia tutta rischiarata da un senso di bontà e di simpatia per le cose belle e gli spettacoli della vita, e sembrano dar rilievo ai suoi lineamenti così mobili e così cangianti sotto il rapido, immediato succedersi delle impressioni interne o esterne83”.

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Per maggiori approfondimenti su Giulia Trigona vedi: Cinzia Tani, Amori crudeli, Milano, Mondadori, 2010; Michele Fierotti, Assassinio al Rebecchino, Palermo, Ila Palma, 1995; Fabio Troncarelli, Il segreto del Gattopardo, Salerno 2007; Franco Chibbaro, Anime suicide: Giulia Trigona, Vincenzo Paternò, Caltanissetta 1912; Ettore Serio, La vita quotidiana a Palermo ai tempi del Gattopardo, Milano, Rizzoli, 1999.

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Daniele Anselmo, Giovanni Purpura, Regine. Ritratti di nobildonne siciliane (1905-1914), Palermo, Edizioni Torri del Vento 2010, pp. 31-32.

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La storia di Giulia Trigona però è anche la più triste e drammatica, è la sorte a lei riservata. Nell’agosto del 1909, durante un ricevimento dei Florio a Villa Igiea, Giulia Trigona conobbe Vincenzo Paternò del Cugno, tenente di cavalleria più giovane di lei di due anni; il loro fu un amore travolgente da subito e dopo il loro vedersi quasi quotidianamente ai salotti cittadini intrapresero una lunga serie di viaggi che intensificarono il loro rapporto passionale.

Vincenzo purtroppo nascondeva la sua natura di violento, dietro le fattezze di prestante cavallerizzo, viveva di espedienti ed era totalmente assorto dal vizio per il gioco e in particolare per le corse dei cavalli84.

Egli era pure di origine nobile ma a causa della crisi delle proprie miniere zolfifere, era anche non più benestante, pare che più volte abbia chiesto somme alla stessa Giulia.

Si dice che furono la sua gelosia e l’eccessiva ostentazione del loro rapporto a indurre i coniugi Trigona a separarsi legalmente.

Il tragico epilogo della vita di Giulia Trigona, giunse nel marzo del 1911 durante una convocazione al Quirinale, della regina Elena, che verteva sul servizio a corte di Giulia e di suo marito.

Il 2 marzo Giulia decideva di incontrare il suo amante Vincenzo Paternò, nella stanza numero 8 dell’hotel Rebecchino, vicino la stazione Termini di Roma.

La contessa era intenzionata a interrompere la relazione extraconiugale, stanca delle continue pressioni e della gelosia del suo amante. Gli restituì le lettere, ma proprio perché sarebbe stata l’ultima volta, decise anche di passare la notte con lui, segnando per sempre le sorti del suo destino.

Quella notte Vincenzo la colpì alle spalle con un coltello e, trascinandola sul letto, inferse altri due colpi mortali alla gola della giovane contessa; dopodichè, con una pistola, colpì se stesso alla testa.

Vincenzo Paternò, nonostante la grave ferita alla testa, non morì.

Il 27 giugno 1912 fu condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Roma ma uscì poi di prigione nel 1942 a 62 anni per grazia del re, su volere di Mussolini85.

Il caso Paternò - Trigona suscitò molto clamore all’epoca.

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Daniele Anselmo, Giovanni Purpura, Regine. Ritratti di nobildonne siciliane (1905-1914), Palermo, Edizioni Torri del Vento 2010, pp. 31-32.

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Ne parlarono giornali di tutta Europa e persino i cantastorie, fu una vicenda che fece agitare gli ambienti dei nomi grossi degli anni dieci:

“Non era soltanto una storia d’amore e morte. I fatti che scuotono veramente l’opinione pubblica sono quelli nei quali si rispecchia, nel bene e nel male, la coscienza dei tempi. Il caso Paternò- Trigona era anche una metafora del clima di quell’Italia, con i suoi protagonismi viscontianamente simboli di ceti al tramonto e di classi in ascesa, privilegi che nascono e privilegi che muoiono86”.

La vicenda scosse l’opinione pubblica anche per quelle tematiche che cominciavano ad emergere e che interessavano la sfera matrimoniale e ambiti del privato ancora non regolamentati.

Nacquero dibattiti che coinvolsero la stampa e i circoli politici proprio come poi accadrà molti decenni dopo quando il ruolo dell’opinione pubblica nella società divenne maggiormente influente.

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Per maggiori approfondimenti su Giulia Trigona vedi: Cinzia Tani, Amori crudeli, Milano, Mondadori, 2010; Michele Fierotti, Assassinio al Rebecchino, Palermo, Ila Palma, 1995; Fabio Troncarelli, Il segreto del Gattopardo, Salerno 2007; Franco Chibbaro, Anime suicide: Giulia Trigona, Vincenzo Paternò, Caltanissetta 1912; Ettore Serio, La vita quotidiana a Palermo ai tempi del Gattopardo, Milano, Rizzoli, 1999.

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