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Franca Florio e la Belle Époque a Palermo.

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Academic year: 2021

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Introduzione

A metà del XIX secolo la Sicilia viveva lo stesso periodo di confusione che attraversava un po’ tutta l’Europa; i moti del ’48 avevano marcato la necessità del popolo di godere di riforme democratiche che limitassero l’ingerenza dell’Impero Borbonico, manifestando contro l’assetto politico della Restaurazione a favore di governi liberali.

A dare inizio a quella che passò alla storia come “Primavera dei Popoli” si dice essere stata la Rivoluzione Siciliana del 12 gennaio 1848, quest’ultima esplose a Palermo con l’intento di ristabilire la costituzione siciliana del 1812 e dichiarare l’indipendenza della Sicilia dal governo Borbonico1

.

Sebbene l’esperienza del Regno di Sicilia ebbe breve durata, a causa della riconquista delle Due Sicilie da parte dei Borboni, questa ebbe notevole peso sul popolo siciliano che comprese l’importanza di crearsi una propria identità politica, definitivamente separata dal Regno Borbonico.

Con l’Unità d’Italia, la costituzione del Regno Sabaudo e la definitiva cacciata dei Borboni, la Sicilia da un lato si riappropriò della sua identità, ma dall’altro si ritrovò a dover fronteggiare altri tipi di problemi: il divario economico tra Nord e Sud, la crescente industrializzazione del Nord a cui si contrapponeva il lento sviluppo del Meridione.

Quello della Questione Meridionale è un dibattito sempre aperto a causa delle numerose strade di pensiero, oltre a quella ufficiale, che non si esauriscono quando si vogliono stabilire cause ed effetti del sottosviluppo nella zona meridionale dell’Italia. Senza voler entrare nel merito di questa tematica, quando si descrive il periodo tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX secolo, la Questione Meridionale ha sicuramente un ruolo imponente per quanto concerne le dinamiche economiche della società italiana e le relative conseguenze per il benessere del neo unificato popolo italiano.

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La Questione Meridionale descrive la difficile trasformazione della Sicilia, come il resto del Sud, da colonia a regione capace di contribuire alla ricchezza della nuova Italia.

Seppur in misura più ridimensionata, rispetto ad altre regioni italiane, ogni settore produttivo tentava di conquistare uno spazio, cercando di sfruttare le innovazioni tecnologiche che, nel frattempo, due rivoluzioni industriali avevano contribuivano a diffondere in tutta Europa, ma come scrive Mack Smith in Storia della Sicilia

Medievale e Moderna:

“Il progresso economico era ancora difficile da precisare perché le pubblicazioni ufficiali di statistica erano quasi inesistenti; e, quando esistevano, erano inattendibili…Tanto più utile risulta il rapporto straordinariamente circostanziato sull’agricoltura italiana pubblicato nel 1886. … I volumi che riguardano la Sicilia dimostrano che l’unione con l’Italia aveva apportato innegabili miglioramenti, ma che poco era stato fatto per i braccianti e i mezzadri che costituivano il grosso della popolazione.” 2

Anche se cominciava ad emergere in Sicilia la figura dell’imprenditore, la maggior parte di essi erano stranieri, in prevalenza inglesi e francesi, che avevano investito nelle colture vitivinicole del territorio3.

La Sicilia rimaneva una regione piena di risorse ma con grosse difficoltà di industrializzazione e furono pochi coloro che riuscirono a contribuire allo sviluppo industriale dell’isola. A capo in questo contesto, per quasi due secoli, spiccò il nome della famiglia Florio, l’ultima delle più grandi famiglie imprenditoriali siciliane che, investendo in moltissimi settori dell’economia siciliana, è riuscita a concretizzare ciò che fino a quel momento era più un sogno che una realtà.

Questa tesi, attraverso il ripercorrere la storia dei Florio, ambisce a dare un quadro chiaro della famiglia che più di altre ha investito energie e potenziale per la realizzazione di uno dei più grossi imperi economici che la Sicilia abbia mai conosciuto.

2 M. Smith, Storia della Sicilia Medievale e Moderna, Bari, Editori Laterza, 1970, p.633. 3M. Smith, Storia della Sicilia Medievale e Moderna, Bari, Editori Laterza, 1970, p.648.

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I Florio e il loro impero economico, a cavallo fra i due secoli, hanno rappresentato superbamente il passaggio epocale di due modi diversi di intendere e vivere la società e l’economia del tempo.

In questo lavoro l’attenzione viene posta però su Donna Franca Florio che aveva sposato Ignazio Florio jr. e, negli ultimi anni della vita dell’Impero, aveva contribuito alla fama della dinastia, al ricordo di essa nei posteri e, come si tenterà di appurare, anche alla valorizzazione della Sicilia nel mondo.

Come scenario storico di questa analisi vi è il periodo della Belle Époque palermitana, segno di una società che nonostante le difficoltà, tentava di rimanere al passo con il cambiamento che stava attraversando tutta Europa.

Con la Belle Époque, tra fine Ottocento e primi del Novecento, anche in Sicilia, si era innescato un lento cambiamento dello stile di vita delle persone, della qualità del tempo che trascorrevano lontano dagli impegni di lavoro e dai doveri nei confronti della famiglia.

Il tempo libero diventa un nuovo modo di interpretare la quotidianità: si vive nei salotti, si conversa, si legge, ci si confronta.

Cresce la voglia di leggere, vi è un incremento nella diffusione dei romanzi popolari, della lettura dei rotocalchi, dei periodici e romanzi cavallereschi; l’editoria è in fermento.

Si percepisce aria di novità e Palermo vuole confermarsi una città capace di competere con i più grandi centri culturali d’Europa; ambisce ad una posizione di rilievo, consapevole della propria storia e di quell’identità siciliana repressa durante i secoli dalle innumerevoli dominazioni.

In questo periodo, infatti, la città che gareggiava per fasti con le principali corti europee, scelse lo stile floreale, o Liberty, per dare voce a quella borghesia imprenditoriale in ascesa che avrebbe voluto sostituire la vecchia aristocrazia cittadina; è questo il periodo che passò alla storia come Belle Époque.

In tutta Europa, lo stile Liberty si diffuse come alternativa di pensiero dedito all’evoluzione del movimento, alla celebrazione di esso e al dinamismo delle forme, come simbolo della condanna a ciò che rimane fermo, immutato e involutivo.

La nuova forza borghese, è quella che incarnò con vigore i tempi d’oro della Belle Époque, che mise a dura prova la consolidata aristocrazia, coloro i quali non

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nascendo con un titolo nobiliare – concesso, invece, automaticamente alla nascita a chi apparteneva ad una famiglia fregiata - potevano acquisire meriti eccellendo negli studi, nelle attività economiche e accumulando ricchezze di vario genere; queste ultime, a loro volta, si trasformavano in una sorta di accesso privilegiato ai piani alti della società, un passepartout alternativo ai titoli e alle onorificenze che, in un mutato contesto sociale, non contavano più come in precedenza.

Così scrive Alberto Mario Banti, in Note sulle nobiltà nell’Italia dell’Ottocento, definendo la stessa come un “ ceto non ceto”:

“dal punto di vista istituzionale, appena un'ombra sottile dell'antico regime era ciò che restava delle identità di ceto delle nobiltà. Quello che si era formato era una sorta di ibrido «ceto-non ceto»: si dava riconoscimento giuridico ai titoli nobiliari, che tracciavano indiscutibilmente una distinzione cetuale nella società italiana post-unitaria: ma, in effetti, questa era una distinzione vuota di privilegi di qualunque natura; al massimo poteva essere riempita di piccole e tronfie strategie sociali, dalla soddisfazione di esibire sui propri cartoncini da visita il titolo, o sulle portiere delle carrozze e sul portone dei palazzi di città e di campagna lo stemma con le insegne araldiche di famiglia. D'altronde, anche da un punto di vista più sostanziale, va osservato che il peso della nobiltà nell'Italia post-unitaria fu, nel complesso, piuttosto modesto4.

Il periodo che fa da sfondo a questo cambiamento è intriso di eventi cruciali che dalla rivoluzione industriale, alle lotte operaie, dalla nascita dei sindacati alla diffusione del capitalismo e al nuovo concetto di massa e società moderna, hanno segnato profondamente il passaggio all’era moderna e dell’industrializzazione.

La ricerca di un personaggio storico nel quale potessero riflettersi gli aspetti più significativi di quanto importante risultò essere per la Sicilia tale periodo, si è conclusa con la scelta di indagare sul profilo di Donna Franca Florio.

In realtà, non è stato semplice il recupero di fonti storiografiche idonee ad estrapolare un analisi specifica del personaggio di donna Franca e lo sviluppo del lavoro si è conformato alla consultazione dei periodici del tempo, sia per estrapolare informazioni utili ai fini di descrivere il personaggio con più attendibilità storica

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possibile, sia per cercare di tratteggiare un tipo di ideale di donna del tempo e verificare quanto donna Franca possa averlo rappresentato.

Molto probabilmente il suo personaggio è rimasto impresso per via del ruolo sociale che rivestiva in quanto moglie di Ignazio Florio jr., colui che ha concluso la storia del casato più noto di Palermo.

Del “personaggio” donna Franca si è parlato molto ma in modo poco approfondito e col passare del tempo, si è diffusa una visione romanzata della sua vita che ha portato, tranne in poche eccezioni, a non comprendere totalmente l’autentica identità del personaggio.

Da sempre il nome Florio, come fosse quello di una “casata” contemporanea, ha riecheggiato un po’ ovunque: molto nota la Targa Florio e l’operato di illustri personaggi a cui proprio i Florio hanno fatto da “sponsor” come ad esempio, l’architetto Ernesto Basile, solo per citarne uno.

I Florio, più di altri, hanno investito nelle risorse produttive dell’isola, sfruttandone la straordinaria varietà e, con non poco ingegno, hanno innovato il concetto di produzione che in quel periodo subiva inesorabilmente il processo in atto di industrializzazione; si costruivano nuove forme di industria, nuove regole, nuove strategie di investimento, prendeva vigore la forza centripeta della finanza che diventava elemento fondamentale per ogni attività e ambizione imprenditoriale. Casa Florio ha rappresentato per più di un secolo, la speranza che in Sicilia era possibile costruire grandi progetti imprenditoriali ed era possibile vederli sviluppare e crescere.

Ha delineato, inoltre, la possibilità di riscattare la Sicilia da ruolo di colonia a regione economicamente autonoma.

Raccontare la loro storia è doveroso ancor prima di qualunque altra argomentazione che possa essere inerente al periodo storico in questione, soprattutto quando si parla di Sicilia e della città di Palermo.

I Florio sono lo sfondo principale dell’intero lavoro, perché senza loro non vi sarebbe stata la protagonista, che viene ricordata per la leggendaria bellezza e classe pur restando la rappresentante di una delle famiglie più potenti della Sicilia del tempo. Forse nasce da questo il voler provare a dare una risposta al perché in particolare, Donna Franca Florio, goda di una vivida memoria nei posteri; a quanto di vero ci sia

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nella leggenda di questa straordinaria donna che diventando un’icona di stile, contribuì a far conoscere la Sicilia in tutta Europa.

In realtà, è anche il contesto storico che, in questa sede, permette la comprensione degli aspetti più significativi di questo personaggio.

Per riuscire in tutto questo, ho voluto, oltre che consultare le biografie dei personaggi più illustri della dinastia, analizzare quanto ci sia scritto e documentato sulla vita della protagonista, anche attraverso la lettura dei periodici.

Considerato il fermento editoriale di Palermo durante la Belle Époque, ho effettuato una ricerca in alcune testate, scegliendo tra le più vendute e note del tempo, che mi permettessero di capire quanto la figura di Donna Franca potesse essere ricostruita tramite i canali d’informazione che di lei hanno scritto e parlato.

Non avendo accesso alle fonti personali custodite dagli eredi della famiglia Florio e non potendo equiparare le eccellenti ricerche storiografiche sull’argomento di tutti coloro che mi hanno preceduta, ho cercato di estrapolare dai periodici quanto davvero fosse di leggendario nella figura di una delle più belle donne che la cultura siciliana ricorda.

Il mio lavoro ambisce a lasciare aperti al lettore alcuni spunti di riflessione, cosicché quest’ultimo possa completare soggettivamente il quadro che qui si vuole descrivere. Le controversie interpretative riguardanti le diverse storie personali di questi protagonisti hanno accresciuto una sorta di mistero che, come nel caso della Baronessa di Carini, ha alimentato un mito, che è poi diventato leggenda.

Nella parte finale dell’elaborato ho deciso di esporre brevemente qualche cenno biografico di altri personaggi femminili, coevi di donna Franca e vissuti nel suo stesso ambiente, per mettere a confronto donne della stessa levatura sociale, con gli stessi stili di vita e con molte somiglianze, spesso nelle attività di carattere sociale e di beneficienza intraprese.

Un confronto che vuole solamente evidenziare, laddove ve ne fossero, elementi utili a comprendere cosa ha reso Donna Franca una protagonista dei suoi tempi.

Le domande che mi sono posta all’inizio di questo lavoro sono state: perché Donna Franca è ricordata molto più di altre personalità a lei contemporanee?

Perché di questa stessa notorietà non ne godette anche la cognata Giulia, principessa di Trabìa, moglie del principe Pietro Lanza? Oppure Tina Whitaker?

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Quest’ultima, certamente non una sconosciuta, per certi aspetti fu una donna anche più interessante della stessa Donna Franca: autrice di saggi storici e interprete canora di discreto talento, anche lei fu una figura di spicco dell’alta società palermitana godendo dell’attenzione e ammirazione generale.

Nonostante tutto, eccetto per chi approfondisce certi meandri della storia siciliana dell’età moderna e contemporanea, il nome di Tina Whitaker non è conosciuto ai più come quello di Donna Franca Florio, anche se questo fosse solo perché a lei è dedicato un ristorante nel centro di una qualunque città della provincia di Palermo o della provincia di Trapani.

A queste riflessioni sono seguite altre domande: è possibile che sia stato per l’irresistibile fascino con cui Donna Franca viene descritta, che la leggenda ha cominciato a prendere forma?

Oppure, la sua icona è frutto del contributo di artisti, poeti e personalità di fama mondiale che la ritrassero come una donna dalla bellezza folgorante?

Gabriele D’Annunzio, Guglielmo II, lo Zar Nicola II, Ettore de Maria Bergler, lo stesso Boldini e molte altre personalità di rilievo hanno contribuito a dare di lei l’idea che riuscisse a non passare mai inosservata, contraddistinta da innata eleganza, ricercatezza di stile, gentile nei modi e di molto buon gusto.

Si è detto di lei che contribuì all’ampliamento del successo del marito, assumendo un' influenza importante negli affari dello stesso e nelle molte attività da lui intraprese.

Donna Franca era famosa per l’attenzione ai dettagli che dedicava nell’organizzazione degli eventi, era stata abituata a tanta frenetica vita mondana e culturale, faceva molta beneficenza, parlava correttamente più lingue, era appassionata di musica e, circondata da presenze di alto rango, crebbe in lei la passione per le arti visive e il teatro.

Donna Franca ha camminato nei palazzi reali più maestosi dell’epoca, ha incontrato personalità politiche e danzato al cospetto di regnanti e regine, ha influenzato capolavori di pittura fra i più raffinati dell’art nouveau e ispirato poesie e pensieri di artisti celebri di quel tempo.

Il mio non può essere un lavoro esaustivo; non può dare risposte alle innumerevoli questioni che riguardano Donna Franca.

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Dagli studi intrapresi, non emerge una risposta vera e propria del perché sia nata la sua leggenda; forse per la sua ricchezza, una ricchezza che le avrebbe potuto consentire di vivere un’esistenza privilegiata, agiata e serena che, però, non riuscì ad evitarle i drammi che le segnarono la vita: il dispiacere per i continui tradimenti del marito, il grande strazio dovuto alla perdita, in rapida successione, di ben tre dei suoi cinque figli e il rammarico di non aver potuto, alla fine, avere la gioia di far continuare la dinastia dei Florio in mancanza di erede maschio.

Perché è finito l’impero dei Florio?

Proprio su questa domanda, ho incentrato un capitolo del mio lavoro, chiedendo di esporre al Dott. Lentini, uno dei più grandi studiosi della storia della Sicilia in età moderna e contemporanea, un quadro generale sulle motivazioni più attendibili riguardo al tema del loro declino.

Nell’ultimo capitolo, infine, ho voluto descrivere, argomentare e sviluppare il frutto delle ricerche fatte sui periodici del tempo di un ideale di donna che potesse aver ispirato il successo di donna Franca.

L’Ora, ha primeggiato per molti decenni nella vita editoriale palermitana; aveva

aperto i battenti grazie all’impegno finanziario della famiglia Florio, in particolare di Ignazio jr., il 22 aprile del 1900 e con una politica incline all’informazione internazionale e alle ideologie progressiste, faceva strada nel mercato editoriale di inizio XX secolo diffondendo un nuovo modo di fare informazione e di concepire il giornalismo.

La caratteristica di questo periodico fu l’aggiornamento costante su fatti di politica estera particolarmente significativi per le sorti dell’Italia e, soprattutto, un ampio spazio rivolto all’opinione pubblica con l’introduzione di rubriche e articoli di attualità su tematiche di comune interesse per ogni ceto sociale, coinvolgendo senza precedenti, il pubblico femminile.

Forse, ripercorrendo le tappe più significative della storia di questa famiglia e rivivendo la sua parabola discendente che li ha visti passare da protagonisti assoluti del loro tempo, all’anonimato di un tramonto quasi inaspettato che culminerà con il decadimento della dinastia, con la perdita della ricchezza e con il fallimento delle innumerevoli, brillanti e operose attività della famiglia; si potrà forse cercare di comprendere le origini del mito.

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Riassumendo, questo lavoro è strutturato in sette capitoli, il primo dei quali titolato “Le origini della dinastia Florio”, descrive la storia della famiglia, partendo dalle origini fino al definitivo collasso di tutte le loro attività.

Ciò su cui ho voluto focalizzare l’attenzione è come il fondatore Vincenzo Florio, investimento dopo investimento, ha visto accrescere un vero e proprio impero economico e il modo in cui, successivamente, venne amministrato dai suoi eredi. Il secondo capitolo, “Da Francesca Paola Iacona Di San Giuliano a Donna Franca

Florio”, è interamente incentrato sulla figura di Donna Franca e descrive il modo in

cui la stessa, da giovane aristocratica, assurge al ruolo di moglie di uno dei più grandi imprenditori del tempo.

All’interno del capitolo si evidenziano l’educazione ricevuta da bambina, il tipo di donna che è stata, sia pubblicamente sia in privato e, soprattutto, vengono descritte le vicissitudini che, maggiormente, segnarono la sua vita.

Nel terzo capitolo “Quell’affetto che alimenta il mito” si vogliono approfondire, invece, gli aspetti che hanno contribuito in massima parte a rendere i Florio leggendari.

Scrivo della città di Palermo e di come i Florio siano riusciti a rimanere indelebili nella memoria dei palermitani.

Ampio spazio viene dato alla loro passione per l’arte, che li ha resi tra i più generosi finanziatori di opere di rivalutazione del patrimonio artistico palermitano.

Viene descritto il ruolo ricoperto da Donna Franca anche come dama di corte della Regina Elena e del frequente interesse dei coniugi Florio per tutti quegli eventi e quelle attività di beneficienza, di cui spesso erano i principali organizzatori.

“Le ambizioni di una non capitale” è il titolo del quarto capitolo, nel quale viene approfondito il contesto storico in cui Franca Florio ha vissuto.

Cercando di fare un quadro completo del periodo storico della Belle Époque, si descrivono le caratteristiche principali di questo periodo culturale diffuso in tutta Europa, accennando anche, a quegli elementi decorativi e di valorizzazione artistica che i Florio contribuirono a realizzare nella città di Palermo.

Il quinto capitolo, “Il declino”, affronta la conclusione dell’età dei Florio, approfondendo prevalentemente le motivazioni che stanno alla base del loro fallimento.

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Il capitolo è interamente frutto di un’intervista rilasciata dal Dott. Rosario Lentini, uno dei più noti studioso della storia della famiglia Florio, col ho avuto il grande privilegio di conversare sull’argomento.

Il sesto capitolo, “Le altre donne della Belle Époque palermitana”, è un elenco delle donne che, come Donna Franca e sue coeve, godevano di molta notorietà all’interno della società palermitana del tempo e che hanno lasciato un vivo e limpido ricordo. Il settimo e ultimo capitolo, “La donna del ‘900 attraverso i periodici del tempo” è il frutto di una ricerca, in particolare, sul periodico L’Ora, di quell’ ideale di donna che è stato fonte di ispirazione per le donne di fine Ottocento e inizi Novecento.

L’intero capitolo descrive e cita quegli articoli che parlano di donne, delle loro vite e del modo in cui le stesse, si sono rese note all’opinione pubblica e ai lettori dei periodici.

Vengono descritte le vicissitudini di svariate figure che, a modo loro, per l’epoca, furono contraddistinte da un qualcosa di rivoluzionario, moderno, diverso o semplicemente innovativo.

Senza nessuna pretesa di esserci riuscita, è stata mia intenzione per tutto lo svolgimento del lavoro, cercare di raccontare ogni aspetto rilevante del periodo storico di cui si parla e in cui si svolge la vita e le vicissitudini dei protagonisti, permettendo al personaggio principale qui trattato di emergere prima di ogni cosa, in relazione al contesto e solo dopo, in relazione alle effettive competenze mostrate. La storia di donna Franca è una storia banale ed entusiasmante allo stesso tempo, forse è il metro di giudizio che adottiamo nell’approcciarci alla sua conoscenza che fa muovere l’ago verso uno o verso l’altro modo di definirla, ma a parer mio, la sua notorietà è tenuta in piedi dalla magnificenza del contesto in cui ha vissuto.

Secondo il mio modo di vedere le cose tutto è cominciato con la sua bellezza.

E’ possibile rimanere nella memoria collettiva per il semplice fatto di possedere una bellezza oggettiva?

Molto probabilmente, rispondere negativamente a questa domanda, ci avrebbe precluso la possibilità di conoscere Marylin Monroe e molti altri personaggi passati alla storia grazie alla loro leggendaria bellezza.

La leggenda nasce quando si è consapevoli che un qualcosa è davvero accaduto ma non abbiamo nessuna prova per dimostrarlo?

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Oppure perché le informazioni tramandate al riguardo si sono discostate col tempo dalla realtà dei fatti?

Ancora, semplicemente decidiamo di ricordare e tramandare solo ciò che, in un modo o nell’altro, ci ha colpiti e vogliamo portare alla conoscenza dei posteri? Donna Franca è una storia che piace perché racconta di una Sicilia che sta bene, che lavora e che progredisce, che è nota al resto del mondo e visitata dai più grandi e celebri artisti del tempo.

Non è stato semplice capire tutte le dinamiche, coerenti con lo svolgimento dei fatti, perché spesso quello che sui Florio è stato scritto e detto sfocia in interpretazioni governate più da interessi di una vana gloria fini o semplicemente in teorie “floriocentriche” sull’andamento economico della Sicilia di quei tempi.

La verità è che il protagonismo dei Florio è spiegabile, è comprensibile, ma non è sicuramente il pilastro delle sorti della Sicilia di fine Ottocento, è una storia che racconta di cambiamenti epocali, che accompagna i passaggi cruciali di un popolo che evolve verso il nuovo secolo, ma è una storia che finisce, che non lascia dubbi sul perché è finita o sul perché è esistita.

Donna Franca ha reso grande la Sicilia ma i Florio hanno reso grande Donna Franca. Il suo ricordo è legato alla potenza del nome di questa dinastia moderna che ha fatto conoscere la Sicilia nel mondo.

I Florio sono ciò che donna Franca ha sempre cercato di mantenere, sono il successo dell’imprenditoria moderna, dell’abbondanza su scala, sono il frutto della voglia di star meglio che il popolo siciliano dei primi anni dell’Ottocento desiderava raggiungere come soluzione alla povertà, all’abuso di potere che aveva lasciato sprofondare nel disagio, inteso nell’accezione più ampia del termine, gli animi di una popolazione vinta e spersonalizzata.

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CAPITOLO 1.LE ORIGINI DELLA DINASTIA FLORIO

1.1 Paolo e Ignazio da Bagnara a Palermo

In un piccolo paesino affacciato sul Mar Tirreno, Bagnara calabra, ebbe inizio la storia dei Florio e del loro enorme impero. Alle origini vi era soltanto una piccola imbarcazione e ciò che offriva il mare; i protagonisti sono Paolo e Ignazio figli di Vincenzo Florio, a sua volta figlio di Domenico, il primo dei Florio ad approdare a Bagnara dalla vicina Melicuccà.

Paolo e Ignazio provenivano in realtà da una lunga tradizione di fabbri ferrai specializzati principalmente nella ferratura di animali. Fu l’incontro con Paolo Barbaro, che divenne loro futuro cognato a dare invece inizio ad un’altra lunga tradizione di navigatori e commercianti del mare.

Paolo e Ignazio Florio e Paolo Barbaro approdano a Palermo aprendo insieme una drogheria intorno al 1793 e cominciando un’attività d’importazione di spezie e di intensi rapporti commerciali con le più importanti città portuali d’Italia ed Europa come Genova, Livorno e Marsiglia. Il trasporto della merce avveniva per mezzo di piccole imbarcazioni denominate feluche.

Paolo Florio nel frattempo era già diventato padre di Vincenzo quando fece trasferire moglie e figlioletto a Palermo.

1.2 Vincenzo Florio e l’inizio del mito.

Vincenzo Florio, come racconta anche Orazio Cancila, veniva chiamato dall’aristocrazia palermitana “facchino fortunato”, un po’ come a voler evidenziare le umili origini in contrapposizione ad una sorte invece di abbondanza senza precedenti. E’ pur vero che

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Vincenzo Florio a Palermo di fortuna ne ebbe tanta perché non passò molto tempo che la sua dinastia fin dall’inizio trovò ricchezza e splendore.

E’ principalmente con Vincenzo che comincia “L’Età dei Florio” un’epoca quasi leggendaria per l’unicità del suo concretizzarsi, soprattutto in un territorio come quello siciliano, contraddistinto sempre da difficoltà di sviluppo economico e produttivo.

Vincenzo, raggiunta la maggiore età, divenne socio dello zio col quale amministrava quella che era ormai divenuta una “ditta di commercio” e che già dal 1820 aveva raggiunto dimensioni considerevoli grazie al mercato della polvere ricavata dalla corteccia dell’albero di china, la quale veniva largamente utilizzata anche come febbrifugo. Fino a quel momento la polvere veniva prodotta con macinatura grossolana oppure introdotta dall’Inghilterra a prezzi elevati, dato che solo l’Inghilterra possedeva macchinari adatti ad una più sottile polverizzazione della corteccia.

Vincenzo Florio in un suo viaggio in terra inglese, cercò di capire meglio il funzionamento del macchinario atto alla lavorazione della polvere di china e comprò i macchinari, cominciando a produrre, per poi vendere, la polvere in Sicilia a prezzi più bassi di quelli inglesi.

Tutto questo non faceva altro che ufficializzare la posizione di Casa Florio nel commercio che conta, ciò avvenne il 23 luglio del 1823 con l’arrivo nel porto di Palermo del primo carico completo, interamente destinato a Casa Florio, proveniente da Genova, che portava merce di ogni tipo, da droghe a tessuti, caffè e cacao, tabacco, carta e libri5.

Solo quando il 18 maggio 1828 moriva lo zio Ignazio Florio, Vincenzo diventava proprietario di tutti gli averi e avendo l’impegno di portare avanti l’attività della bottega già avviata dallo zio Ignazio e dal fratello Paolo (padre appunto di Vincenzo e già morto nel 1807), si butta a capofitto in una sempre più proficua attività imprenditoriale che lo fa interessare a svariate attività produttive e commerciali. Zolfare, assicurazioni, industria siderurgica e tessile, e produzione vinicola6 erano i campi di investimento in cui Vincenzo Florio aveva deciso di riporre la sua massima fiducia.

Come scrive anche Orazio Cancila:

5 S. Candela, I Florio, in Il Guardaroba di Donna Franca Florio, Palazzo Pitti Galleria del Costume, Firenze, Editore Centro Di, 1986. 6 Ibidem

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“Era difficile d’altra parte che un personaggio come Vincenzo Florio, impegnato con tutte le sue forze nella costruzione di un vero e proprio impero economico, potesse riuscire simpatico ad un mondo , quello aristocratico, che dei valori nei quali egli credeva aveva da secoli il più assoluto disprezzo 7”.

Vincenzo, a differenza del padre, aveva viaggiato molto in Italia e all’estero e lo aveva fatto per imparare il mestiere direttamente dai maggiori centri di commercio d’Europa, sfruttando i contatti personali delle case estere che erano interessate al commercio dei prodotti siciliani.

Il giovane Florio aveva le idee chiare e molto probabilmente oltre alle sole capacità imprenditoriali, mostrava anche quelle relazionali.

Sembrerebbe anche che Vincenzo facesse parte della massoneria a cui fu iniziato a Napoli intorno al 18208.

Nel 1834 inoltre, Vincenzo creò a Marsala una società con Raffaele Barbaro9 che si occupava di produzione vinicola e con questa incentivava la già proficua impresa di commercio e trasporto marittimo che giungeva ad alti livelli di efficienza capaci di competere con quelli napoletani.

Con l’acquisto del secondo vapore, nel 1852, guadagnò la considerazione di molti, tra i quali spiccava il nome del Ministro Segretario di Stato per gli affari di Sicilia, Giovanni Cassisi10.

Grazie alla conoscenza con quest’ultimo Vincenzo cercò di accattivarsi il favore di Ferdinando II di Borbone.

Il capace uomo di affari intendeva, infatti, proporsi per ottenere la concessione regia per il trasporto della posta gestita dagli uffici statali.

Dopo aver inoltrato domanda per ottenere la concessione, nel 1856 Vincenzo Florio firmò una convenzione in base alla quale Florio si impegnava al trasporto dei militari e dei materiali nei vari porti siciliani e a svolgere il servizio postale.

Gli indennizzi statali permisero l’acquisto del terzo vapore L’Etna, e sempre grazie al favore di Cassisi, riuscì ad ottenere l’appalto del servizio postale fra Sicilia e Napoli.

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O. Cancila, I Florio.Storia di una dinastia imprenditoriale, Milano, Bompiani, 2010, p.65.

8 Ibidem 9

Colui che nel 1833 insieme a Vincenzo Florio aprì lo stabilimento vitivinicolo nel territorio marsalese

10 Giovanni Cassisi: (1788-1865), Ministro degli Affari siciliani del Regno delle Due Sicilie, originario di Milazzo, visse a Palermo

ricoprendo la carica di Vice Presidente della Corte Suprema di Giustizia, di procuratore della Gran Corte Civile e fu anche membro della Consulta di Sicilia.

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Da li a poco la flotta navale crebbe sempre di più arrivando ad essere la più grande che la Sicilia avesse mai conosciuto11.

Sembrerebbe già ottimale la condizione che Vincenzo Florio aveva raggiunto in poco tempo dalla morte dello zio e dal prendere le redini di tutto ciò che aveva ereditato, quella piccola attività di trasporto marittimo, in prevalenza di spezie a conduzione familiare e che in soli vent’anni, si era trasformata in una grande società. Vincenzo nel 1842 comprava dai fratelli Sroi la Fonderia Orotea che passava così a lavorazioni di più grande portata rispetto alla sola fusione di ferro e bronzo.

Con l’unificazione italiana giungeva per i Florio un altro importante traguardo per quanto concerneva le attività navali e cioè la firma di una nuova convenzione col nuovo governo italiano che impegnava la flotta Florio nel trasporto del servizio postale fino al le coste genovesi e alla Tunisia, rendendo l’impresa di famiglia non più un’attività a conduzione familiare bensì una società che prendeva il nome di Piroscafi Postali di Ignazio e Vincenzo

Florio e compagni.

Insieme a questi traguardi professionali, le onorificenze ufficiali non furono da meno per il primo uomo di casa Florio, il quale fu insignito del titolo di Grand’ufficiale dell’Ordine

della Corona d’Italia, onorificenza istituita nel 1866 da re Vittorio Emanuele II e di

membro dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.

Quest’ultimo era un ordine cavalleresco di Casa Savoia nato dalla fusione dell'Ordine Cavalleresco e Religioso di san Maurizio e dell'Ordine per l'Assistenza ai Lebbrosi di san Lazzaro.

Nel 1864 Vincenzo Florio fu nominato anche senatore del Regno d’Italia.

In tutte queste attività Vincenzo si faceva affiancare dall’unico figlio maschio, Ignazio, il quale mostrava un ottimo talento nelle attività più importanti di famiglia ma a 28 anni non aveva ancora contratto matrimonio.

Aveva studiato, viaggiato e, come tutti i rampolli delle famiglie agiate, era in attesa di prendere il posto del padre, ruolo a cui era stato indirizzato. Mettendo a confronto gli uomini della famiglia Florio, si possono notare i diversi bagagli di esperienza, i differenti caratteri che hanno loro consentito di cogliere le opportunità della vita, nonché i punti di vista delle scelte imprenditoriali, fatte all’interno delle rispettive carriere.

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Modi di amministrare quell’impero economico che altro non era, in origine, che un’umile attività, intimo e poi forse per questo leggendario.

Vincenzo, Ignazio Senior e Ignazio Junior raccontano una storia di cambiamenti politici e sociali significativi come anche accompagnano la storia dell’industrializzazione in Italia e in parte d’Europa.

Quel periodo storico che fa da scenario alla dinastia dei Florio è un’epoca di cambiamenti sull’onda di un’atmosfera rivoluzionaria nel senso più “totalizzante” del termine che rimanda a ridefinizioni di ogni aspetto di vita, in seguito ai rovesciamenti ideologici della Rivoluzione Francese.

Anche la società ridefiniva i ruoli in una differente modalità e prospettiva.

Le due Rivoluzioni Industriali avevano introdotto nuove tipologie di lavoro, nuovi mestieri, nuove specializzazioni, soprattutto in ambito meccanico, chimico e siderurgico. Nasceva la professione dell’imprenditore e proprio in questi anni anche quella dell’ “imprenditore industriale”.

Vincenzo faceva parte di quell’imprenditoria tipica dell’Ottocento che concentrava nel titolare dell’impresa tutte le decisioni, le responsabilità e lo svolgimento pratico del lavoro e, questo, è un aspetto molto significativo quando analizziamo il contesto in cui si svolge la storia dei Florio.

L’intuito per gli affari e la dedizione al profitto da re-investire nelle attività produttive, fu la politica aziendale perseguita fin dalle origini dal fondatore di Casa Florio, il quale in breve tempo, aumentava con dinamica strategia i settori di investimento che abbracciavano quasi la totalità delle risorse produttive siciliane.

l’Ottocento è il periodo storico in cui l’industria e l’impresa potevano non avere specializzazioni e gestire svariate attività produttive in moltissimi settori dell’economia12. Nel caso di quella siciliana, i Florio gestivano attività marittime, estrattive, agroalimentari e finanziarie che in breve tempo facevano di Casa Florio la famiglia fra le più ricche e influenti nella Palermo di fine secolo.

In quel periodo i cambiamenti e le trasformazioni rimanevano elementi sempre di sfondo. L’aristocrazia aveva ceduto il passo all’alta borghesia che aveva ormai defraudato la nobiltà dei privilegi coltivati e difesi nel corso dei secoli.

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Quel che rimaneva loro erano quei titoli nobiliari che sempre meno, ora, aprivano le porte dell’opportunità e della possibilità come invece da sempre era stato.

“Ad una svalutazione giuridico - istituzionale dei titoli nobiliari, corrispose un peso politico-economico quantitativamente ridotto e progressivamente decrescente delle nobiltà italiane. Eppure, nonostante una così sistematica depressione del valore della titolatura, e del posto della nobiltà nella società italiana, titoli e distinzioni esercitarono ancora una straordinaria attrazione sul mondo borghese. Tra il 1860 ed il 1872 l'Ordine di S. Maurizio ebbe una lista di oltre 20 000 postulanti10. Quando, nel 1869, si costituì la Consulta araldica per la verifica e la conferma dei titoli nobiliari degli stati pre-unitari, le domande di riconoscimento si affollarono, e furono furibonde le lotte per la de terminazione dei criteri da seguire per il compimento di questa operazione. Dal canto loro i Savoia sembrano aver seguito una politica della nobilitazione assai cauta e tuttavia il fascino del titolo fu forte tra la borghesia imprenditoriale, soprattutto a partire dagli anni ottanta…In tutto ciò non c'è niente di particolarmente sorprendente: dinamiche di questo genere attraversano tutte le società europee ottocentesche. Osservava Hobsbawm parlando — ormai più di trent'anni fa — della borghesia europea di inizio Ottocento e della sua fame di nobilitazioni: «Le classi in ascesa tendono naturalmente a vedere i simboli della loro ricchezza e del loro potere in quelli che sono i canoni di agiatezza, di lusso o di fasto stabiliti dai gruppi superiori che le hanno precedute». Piuttosto, ciò che c'è da chiedersi è se alla ricerca del titolo corrispondesse poi davvero l'adozione dello stile di vita, della cultura, delle forme di identità proprie del ceto nobiliare che i gruppi borghesi avevano di fronte, o se non prevaleva la ricerca di un puro segno di distinzione, privo di qualunque allusione ad un particolare insieme di valori nobiliari, anzi sostituito perfino da una solida consapevolezza della propria identità borghese.13

Ancor di più di questo, nel caso di Vincenzo Florio, le sue umili origini lo collocavano in quella categoria che né per nobiltà o per alta borghesia, poteva accedere a nessun tipo di privilegio.

Ignazio, a differenza del padre non doveva dimostrare nulla e non doveva costruire un qualcosa dal nulla, aveva già un’impresa in piena navigazione, dunque doveva semplicemente condurla e non farla affondare.

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Dai documenti e riflettendo anche su un’ interessante descrizione di Vittorio Emanuele Orlando, sia padre che figlio erano a loro modo e in maniera diversa due grandi imprenditori, due formidabili investitori e sicuramente due eccellenti uomini d’affari :

Così è che i capisaldi dell’attività di Casa Florio rimontano tutti all’iniziativa di Vincenzo, ma diedero i mirabili effetti di cui erano capaci sotto Ignazio 14“.

Come spiega Orazio Cancila, Vincenzo era nato borghese e, sposando una donna borghese, era stato borghese tutta la vita a differenza di Ignazio che fin da giovanissimo ebbe l’opportunità di frequentare gli istituti migliori, di ricevere la migliore istruzione e di frequentare quell’elìte emergente della società che conta ed infatti Ignazio sarà proiettato nel mondo dell’alta società internazionale e di questa assumerà tutti i codici comportamentali15.

Vincenzo Florio venne a mancare nel 1868, due anni dopo la grande soddisfazione di poter vedere sposare il figlio Ignazio con la baronessa Giovanna D’Ondes di Trigona. Con questo matrimonio i Florio si consacrano ufficialmente sulla scena aristocratica della Palermo di fine Ottocento16.

14 V.E.Orlando,Solenne commemorazione del comm. Ignazio Florio, senatore del Regno, tenuta il 24 giugno 1891 nell'atrio della borsa in Palermo: Orazione, Palermo, Stab. tip. Virzi 1891, p.18.

15S. Candela, I Florio, in Il Guardaroba di Donna Franca Florio, Palazzo Pitti Galleria del Costume, Firenze, Editore Centro Di, 1986. 16 O. Cancila, I Florio.Storia di una dinastia imprenditoriale, Milano, Bompiani 2010.

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19 Vincenzo Florio (senatore) 1799-1868

Ignazio Florio Senior (1838 - 1891)

Ignazio Florio junior (1869-1957)

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1.3. Ignazio Florio Senior e la seconda gestione dell’impero.

Ignazio nel continuare l’attività paterna ampliò i settori da lui non sfruttati al meglio, come le tonnare di Favignana e Formica, quest’ultime di proprietà dei marchesi Rusconi di Bologna e della marchesa Pallavicini di Genova, furono acquistate per 2.750.000 di lire per incrementare l’ attività di pesca e inscatolamento del tonno.

La flotta navale conferma il suo attivo con il rinnovo per altri 15 anni delle convenzioni marittime col Governo nel 1877, anche queste già concordate da Vincenzo Florio.

Fu invece iniziativa di Ignazio quella di fondere la propria compagnia navale con quella del celebre armatore genovese Raffaele Rubattino, lo stesso che mise a disposizione le navi per la spedizione dei mille di Garibaldi.

Nel 1881 nacque la “Navigazione Generale Italiana” che avrà un grande ruolo nelle attività economiche fino a quasi tutto il primo ventennio del XX secolo.

La società contava 81 piroscafi in attivo su ogni parte del mondo, la sede principale era a Roma e varie sedi erano a Palermo e Genova17.

Ignazio viveva ed era l’artefice di tempi d’oro, la sua impresa era la più forte e concorrenziale sul mercato e l’enorme impero sfruttava la maggior parte delle più importanti risorse produttive del territorio siciliano: terra e mare, agricoltura, pesca, metallurgia, trasporto e commercio erano gli ambiti marchiati Florio ed erano lo scenario di sviluppo di una Sicilia che prima di allora non aveva mai conosciuto un così grande concentramento di ricchezza nelle mani di una sola famiglia, per lo più non appartenente alla classe aristocratica o perlomeno, non per nascita.

Ignazio Florio senior è colui al quale si deve una maggiore impronta affaristico-bancaria alla società riuscendo però, a non togliere nulla alle attività imprenditoriali più tradizionali di Casa Florio.

Nel frattempo, come in ogni dinastia che si rispetti, la figlia quindicenne di Ignazio, Giulia, sposava un degno esponente della nobiltà locale nella figura del principe Pietro Lanza di Trabia, rampollo della più illustre famiglia blasonata dell’isola, portando come dote cinque milioni e mezzo in contanti18.

17 S. Candela, I Florio, in Il Guardaroba di Donna Franca Florio, Palazzo Pitti Galleria del Costume, Firenze, Editore Centro Di 1986. 18 Ibidem.

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Già nel 1859 Vincenzo Florio, era diventato rappresentante della Rothshild per la Sicilia e aveva creato il Banco Florio e C. ma i rapporti con la grande finanza erano continuati con Ignazio senior il quale, fin dagli anni della costituzione della Navigazione Generale

Italiana, aveva stretto i rapporti con la Società Generale di Credito Mobiliare Italiano che

aveva avuto un ruolo centrale nella fusione tra la Navigazione Florio e la Rubattino19. Fu subito dopo la morte del senatore Ignazio Florio senior che i tempi furono maturi per una più intensa collaborazione fra il Credito Mobiliare e Casa Florio che avrebbe portato all’apertura nel 1893 di una sede della banca toscana negli stessi locali del Banco Florio20

. Ignazio Senior assunse la carica di consigliere della città di Palermo e come il padre, fu nominato senatore nel 1883.

Quando venne a mancare, nel 1891, il suo posto fu preso dal figlio, suo omonimo che mostrò intraprendenza e vivacità imprenditoriale ma che per sorte o forse anche per demerito, fu colui il quale pose fine ad un Impero ormai lungo quasi un secolo.

1.4.La terza generazione e la fine.

Il comando del giovane Ignazio Florio junior accompagnava Casa Florio, nel passaggio ad un periodo economico di tensione e incertezze, vuoi per la crisi diffusa dalla grande depressione del 1873 che mise in ginocchio tante economie forti, soprattutto del sud dell’Europa, oppure per probabili errori di valutazione del giovane Florio, cresciuto più di tutti i suoi predecessori nell’abbondanza e nella ricchezza e con più consapevolezza di esse.

In quella che si ricorda come fra le più devastanti crisi economiche della storia moderna, l’agricoltura era collassata all’intensificarsi delle difficoltà di mantenimento delle attività produttive per l’aumento incontrollato dei costi che inevitabilmente spazzavano via tutte le piccole imprese agricole e a conduzione familiare.

Il giovane Ignazio dedicò attenzioni per l’investimento nel territorio marsalese della produzione di un nuovo cognac21e non esitò a investire in un nuovo settore agricolo, (incentivando anche il sempre attivo settore della navigazione Florio, che riusciva a sopravvivere discretamente nonostante la crisi che investì la Navigazione Generale Italiana

19

R. Lentini- R. Giuffrida, L’età dei Florio, Palermo, Sellerio 1985, p. 79

20 Ibidem.

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già all’indomani dell’ufficializzazione del monopolio sul trasporto postale) quello della

commercializzazione dei grani, in particolare di origine russa.

Il Banco Florio, a tal fine, concedeva un’apertura di credito ad una piccola banca privata

Credito Mobiliare Siculo, di 1.500.000 lire ma nel 1905 con la nomina di Ignazio Jr. alla

presidenza del consiglio di amministrazione, si costituiva così la Società Italiana per il

Commercio Estero con lo scopo di importare grani e cereali dalla Russia e da altri paesi di

produzione22.

Ignazio jr. investì nelle miniere di fosfati del Nord Africa e più precisamente in Tunisia e Algeria, prendendo le miniere in locazione (prendere ad enfiteusi perpetua o temporanea). In poco tempo, questa rete di interessi col Nord Africa gli permise di aprire una sede di rappresentanza della ditta commerciale I&V FLORIO in Tunisia affidandone la direzione a persone qualificate, un’altra filiale invece veniva aperta a Catania nel giugno del 190023

. Un aspetto che distinse il giovane Ignazio Florio era quello del magnate e capitalista filantropo, dato il suo intervento costante nelle attività benefiche e come si vedrà più avanti, anche grazie al ruolo che ebbe sua moglie Donna Franca Florio.

Egli aveva già dato in donazione all’Istituto dei Ciechi della Villa al Pegno, in seguito costituiva una società per la gestione di Villa Igiea e dell’Istituto Cervello di Palermo. La decisione era stata presa sulla base della scoperta di una cura per le malattie tubercolari effettuata dal Dottor Vincenzo Cervello e Ignazio jr. volle trarre benefici da questa scoperta fondando un sanatorio per gli ammalati di tubercolosi intitolandolo Villa Igiea e un laboratorio chimico farmaceutico atto alla creazione dei farmaci idonei a tale cura e non solo. Al laboratorio fu dato il nome di Istituto Cervello24.

Quando però nel 1893 il Compartimento di Palermo della società Navigazione Generale Italiana stava per essere trasferito a Napoli, gli operai della Fonderia Orotea dello Scalo D’Alaggio e degli altri stabilimenti che vivevano di industria cantieristica navale, protestarono furiosamente proprio contro Ignazio Florio che in quei giorni, era alle prese con i preparativi per le sue nozze con la giovanissima e affascinante Francesca Paola Iacona, figlia del barone Pietro di S. Giuliano e di Costanza di Notarbartolo di Villarosa. Dato che la loro unione non entusiasmava entrambe le famiglie, non fu facile per la coppia convolare a nozze le quali, furono celebrate a Livorno l’11 febbraio del 1893.

22

R. Lentini- R. Giuffrida, L’età dei Florio, Palermo, Sellerio 1985, p. 83. 23 Ibidem.

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Quello che nessuno sapeva ancora è che Ignazio aveva sposato in realtà una regina o perlomeno colei che, a prescindere dall’ufficialità di titoli e possedimenti, per i palermitani e per la società di quei tempi, era la “Regina di Palermo” e raggiungerà una fama internazionale come poche.

Donna Franca verrà ricordata per quel fascino particolare che la rendeva, come Gabriele D’Annunzio sintetizzò in una sola parola “L’Unica”.

Nel frattempo la minaccia del trasferimento del Compartimento di Palermo a Napoli si era placata grazie al rinnovo delle convenzioni marittime.

Questa risoluzione favorì il continuo stimolo imprenditoriale di Ignazio, che nel 1896 approfittò di una nuova legge, che elargiva discreti premi per chi investiva nel settore della marineria, per aprire un Cantiere Navale a Palermo e successivamente a Messina.

Gli investimenti nel settore marittimo crebbero vertiginosamente e ciò fece indietreggiare il governo che non si aspettava conseguenze di questo tipo e nemmeno le ingenti spese che avrebbe dovuto sostenere per adempiere ai commi della suddetta legge.

Il governo emanò allora una serie di decreti detti catenaccio per ridurre il tetto massimo degli investimenti.

Inevitabilmente gli industriali insorgevano e il cantiere navale di Genova si fermava. Il cantiere dei Florio rimase chiuso fino al 1903.

In verità la crisi del cantiere coincideva con una ben celata, crisi generale di Casa Florio e le cause erano da ricercare in dinamiche internazionali che influenzavano le sorti dei Florio come la chiusura del mercato americano degli agrumi oppure la chiusura del mercato zolfifero.

Non di minore importanza nel segnare l’inizio del declino fu l’obbligo di Ignazio di associare altri capitalisti all’attività vinicola dei Florio nel 1902 per poi vendere definitivamente la quota dopo soli due anni25.

Anche gli altri settori d’investimento di Casa Florio erano in crisi.

Nell’ambito tessile il banco di via Materazzari fu pignorato dalla Banca Commerciale Italiana.

Molti pezzi importanti che componevano la perfetta catena di montaggio della produzione di ricchezza dei Florio stavano colando a picco portando con sé le intere sorti della ormai secolare dinastia, oltre a questo, vi si aggiunse anche una sorte crudele per ciò che

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concernevano gli aspetti più personali della famiglia, un destino che manifestandosi con questa ferocia renderebbe chiunque un’anima in pena a vagare nel dolore.

Era un giorno di Aprile del 1903 quando Giovannuzza la primogenita di Ignazio e Franca, in seguito ad un malanno inizialmente non capito che successivamente si comprese essere meningite, morì a soli 10 anni.

A distanza di soli 5 mesi, l’avversa sorte si scagliò nuovamente contro i Florio portando via anche il piccolo Ignazio, detto Baby Boy, come lo chiamava la bambinaia inglese. Quest’ultima venne sospettata di essere stata la causa della morte del piccolo; si ipotizzò che fosse morto in seguito ad una eccessiva somministrazione di sonniferi da parte, appunto, della suddetta bambinaia. Indiscrezioni portarono a dire che, quella notte fosse impegnata in un incontro fuori dell’albergo dove alloggiarono i Florio, a Beaulieu, in Francia, meta scelta come vacanza per distrarsi dal profondo dolore per la perdita di Giovannuzza26.

Si ipotizzarono anche altre cause sulla morte del piccolo Ignazio, come, ad esempio, una brutta caduta dal letto27 ma, il padre non volle concedere il permesso per l’autopsia e così non si vennero mai a sapere le vere motivazioni della morte del piccolo erede di Casa Florio.

Di sicuro vi era la rassegnazione che con lui andava via il futuro di tutta la famiglia; con Baby Boy moriva l’unico e l’ultimo erede di Casa Florio28

.

Nel 1903 Donna Franca diede alla luce un'altra bambina, nata già morta ma battezzata col nome di Giacobina.

Nascerà nel 1909 una sorellina per Igiea, Giulia, le due saranno eredi e testimoni del declino dell’Impero.

In Ignazio si era spezzato qualcosa, si era spenta in lui ogni ambizione futura.

Nel 1925 vi fu l’ultimo tentativo di Ignazio di rimanere in attivo con la costituzione della

Compagnia di Navigazione Florio, ma anche quest’ultimo tentativo fallì, questa

compagnia in futuro divenne “la Tirrenia”, una volta che fu concentrata nella CITRA. Di tutto il patrimonio dei Florio fu possibile salvare soltanto la villa dell’Arenella che era stata costruita da Vincenzo Florio tra il 1840 e il 1844.

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S. Candela I Florio, in Il Guardaroba di Donna Franca Florio, Palazzo Pitti Galleria del Costume, Firenze, Editore Centro Di 1986.

27 per approfondimenti vedere: A. Pomar, Donna Franca Florio, Firenze,Vallecchi Editore 1985. 28 Ibidem.

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Donna Franca dovette vendere all’asta tutti i suoi gioielli, si trasferì a Roma con le figlie entrambe sposate e morì nel 1950 mentre era in villeggiatura nella sua residenza estiva a Migliarino Pisano, circondata da figlie e nipotini.

Ignazio morì sette anni dopo.

Oggi l’unica sopravvissuta è Giulia che andò sposa a Belloso Afan de Rivera nel 193929 .

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CAPITOLO2. DA FRANCESCA PAOLA IACONA DI SAN GIULIANO A DONNA FRANCA FLORIO

Francesca Paola nacque a Palermo il 27 dicembre del 1873 da una aristocratica famiglia siciliana; il padre era il barone Pietro di S. Giuliano e la madre era Costanza Notarbartolo di Villarosa, quest’ultima discendente da un’antica dinastia di origine spagnola, mentre i San Giuliano, meno agiati, confidavano nel futuro matrimonio di Franca, per migliorare la loro posizione sociale.

Oltre a questa figlia, vi era anche un maschio che pare fosse affetto da una forma di ritardo mentale.

Franca cresceva bella, e molto intelligente, ben istruita ed educata allo svolgimento dei lavori domestici ed allo stesso tempo alla vita da salotto. Amava cantare, adorava la musica lirica e il teatro.

Come molti figli dell’aristocrazia siciliana, Franca non andò a scuola, ma fu istruita a casa da una precettrice tedesca che le insegnò oltre il tedesco, anche il francese e l’inglese. La giovane Franca era solare, allegra e di forte tempra.

Aveva una carnagione olivastra, occhi verdi e chiarissimi che la rendevano particolare e dal fascino esotico rispetto ai canoni di bellezza della società del tempo, che privilegiavano le donne pallide e rosee.

Questo fu da sempre motivo di cruccio per Franca, ragione per la quale durante uno dei suoi viaggi a Parigi, si fece “porcellanare il viso” con una tecnica speciale e dolorosa presso un istituto di bellezza suscitando le ire di Ignazio che non approvò affatto la decisione della moglie e le sue fissazioni estetiche30.

La storia d’amore con Ignazio è la tipica relazione descritta nei romanzi: quando due innamorati che non possono vivere serenamente e pienamente i loro sentimenti perché la loro unione è osteggiata dalle famiglie a causa della differenza di rango tra loro.

Gli aristocratici S. Giuliano e i ricchi borghesi Florio sono di fatto due famiglie forse più potenti insieme che separate.

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La contesa non era scontata come poteva sembrare; la contrarietà all’unione dei due, proveniva maggiormente da Giovanna d’Ondes di Trigona, madre di Ignazio, di origine aristocratica per censo che però aveva sposato un ricco borghese.

Ai suoi occhi il matrimonio del figlio con la giovane Franca le appariva solo come un matrimonio riparatore31.

Eppure, il fascino con cui viene ricordata Donna Franca è forse lo stesso che riuscì a convincere anche l’anziana donna del ruolo che si sentiva pronta a ricoprire, nonostante la sua giovane età.

Franca era donna di classe, aggraziata, elegante, dai gusti raffinati ed educata e l’autoritaria Giovanna D’Ondes, col tempo, imparò a comprendere che era più utile da parte sua, guidare la madre dei futuri eredi di Casa Florio nel mondo dell’alta società, un mondo che lei conosceva in tutte le sfaccettature, piuttosto che perseverare un’ inutile ostilità.

Oltre alla madre di Ignazio anche il barone Pietro, padre di Franca, si dice fosse contrario alle nozze tra i due giovani per via della nomea di “Don Giovanni” che Ignazio aveva. Pare che il barone decise di trasferirsi con la famiglia a Livorno per allontanare la figlia dalle attenzioni del giovane; a onor del vero, è più probabile che siano altre le motivazioni alla base del trasferimento a Livorno degli Iacona e cioè vi fossero motivi economici che indussero il barone Pietro a fuggire da probabili creditori.

Il barone Pietro era originario di Caltanissetta e non è da escludere che non fosse davvero un barone, titolo questo che doveva spettare al fratello maggiore Salvatore; ad ogni modo, nessun nominativo risultava negli elenchi delle famiglie nobili e titolate, ma come spiega Orazio Cancila:

“Dopo l’istituzione nel 1889 delle commissioni araldiche regionali volute dal governo Crispi che forse intendeva favorire la nobilitazione di elementi borghesi, non furono pochi i cadetti di famiglie aristocratiche ad attribuirsi un titolo nobiliare che, anche se poi non veniva riconosciuto ufficialmente, continuò tuttavia a fregiare sino alla morte coloro che lo possedevano32”.

31 Con questo termine è riportato il pensiero di Giovanna D’Ondes nei riguardi del matrimonio del figlio con Donna Franca, ma nessuna

fonte entra nel merito del perché di questo appellativo. 32

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La duchessa Costanza di Notarbartolo, madre di Franca, e figlia del duca di Villarosa, Francesco Notarbartolo, proveniva da un’antica famiglia feudale, ormai decaduta la cui situazione economica non cambiò nemmeno in seguito al suo matrimonio con Pietro. Nel 1889, infatti, i coniugi Iacona furono persino condannati da una sentenza del tribunale a pagare alla Soley Hebert, ditta torinese che vendeva a Palermo mobili importati dalla Francia, una cifra che ammontava a circa 24.017.44 lire.

La Baronessa Costanza dovette cedere in pagamento un vitalizio annuo di 2550 lire e il barone Pietro si impegnava all’estinzione del debito nel caso in cui la moglie fosse deceduta33.

La baronessa fu di nuovo condannata dal tribunale nel 1891. Questa volta la sentenza comportò il pignoramento di beni mobili a favore di Raffaele Zingone, in qualità di erede del padre Francesco, per un debito di 2000 lire che si protraeva dal 1888 e continuò fino a quando nel 1908 il Florio si offrì di risarcire Zingone della somma di 2150 Lire.

Ritornando ai motivi che vedevano contrapposte le due famiglie riguardo alle nozze dei giovani Ignazio e Franca, sembrerebbero esserci delle incongruenze tra diverse fonti. Alcuni testi attribuiscono i motivi del disappunto all’unione dei giovani da parte di Giovanna D’Ondes al fatto che questa ritenesse le nozze espressione di un matrimonio riparatore, invece sempre Orazio Cancila riporta che la disapprovazione fosse generata dalle accuse rivolte da questa al figlio Ignazio, per aver corteggiato con troppa esuberanza la giovane Franca.

Ciò che è certo è il fatto che le questioni di rango non fossero le vere cause dell’opposizione alle nozze poiché ai coniugi Iacona era molto conveniente il matrimonio della figlia con il rampollo di una famiglia contraddistinta da una forte posizione economica e sociale.

Donna Franca sposando Ignazio Florio, entrava a far parte di un mondo contraddistinto da notorietà, benessere economico e impegno anche sociale, tutti elementi che faranno parte della sua intera esistenza almeno fino alla crisi definitiva che porterà alla vendita all’asta di tutti i beni dei Florio.

Di certo a non cambiare è il ruolo che questa donna ebbe nella società palermitana e soprattutto nella società della Belle Époque e il contributo che diede nel dare attenzione

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alla città di Palermo portandola al pari di altre città europee come Parigi e Vienna, nello stesso periodo.

Il sogno della famiglia Florio era quello di dare a Palermo e alla Sicilia un volto europeo, ed è per questo che i due coniugi strinsero amicizie e rapporti di una certa rilevanza in cui donna Franca giocò un ruolo importantissimo.

Di maggiore rilevanza godeva l’iniziativa privata e il “mecenatismo34”, di questo i Florio furono tra i più attivi in ambito culturale per la rivalutazione di Palermo come città di interesse artistico e letterario.

Su questa scia è possibile notare come l’attenzione sui Florio e su donna Franca, nel tempo, possa essere accresciuta proprio dalla notorietà che questo tipo di impegno può portare.

Quando donna Franca attraversava i salotti delle più ricche ville ottocentesche di mezza Europa, il requisito necessario non era più un titolo, ma il denaro e lei di quello ne aveva in grandi quantità.

Eccola, quindi, protagonista di serate mentre sfoggia abiti sontuosi e preziosissimi gioielli. Si racconta che amasse scegliere le stoffe, abbinare i colori, modificare i modelli e personalizzare i capi da indossare.

Più fonti riportano sentimenti di invidia per la pregiatezza degli abiti e degli accessori indossati da donna Franca e accuratamente ricercati nei migliori atelièrs del mondo, erano questi beni che difficilmente potevano essere acquistati dai nobili del tempo.

Nel ritratto che le fece Boldini, ad esempio, Donna Franca è immortalata con al collo una lunghissima collana di perle, lunga quasi sette metri, regalatale dal marito Ignazio Florio, per, così si dice, farsi perdonare le frequenti avventure amorose.

Di sicuro Franca era e sapeva essere una moglie presente e di sostegno alle vicissitudini di una così importante famiglia.

Era lei che curava la corrispondenza e che organizzava gli eventi più importanti, quelli che permisero il raggiungimento degli accordi finanziari del marito e la continuità degli affari della famiglia.

Quelli che organizzava donna Franca Florio erano veri e propri eventi: mondanità, cultura, politica, arte e tutta l’alta società.

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Si dice che il ruolo di donna Franca fu importante perché fu sempre lei a impedire che potesse fuoriuscire, in qualche modo, la notizia che i Florio navigassero in cattive acque e che l’enorme impero economico della famiglia, di li a poco, avrebbe potuto disperdersi definitivamente.

Dalla rivista The Smart Set 1908.

I Florio, come descritto già nel primo capitolo, avevano una rilevanza sociale scaturita da una mera condizione economica che li rendeva forti a prescindere dai titoli nobiliari che fino ad allora erano stati requisito primario per vivere il mondo ai piani alti della società. Essendo i Florio insieme a poche altre famiglie (perlopiù di origine inglese come i Whitaker e gli Ingham), i più ricchi della Sicilia centro-occidentale ed essendo quello in cui sono vissuti un periodo di risveglio culturale, essere donna Franca Florio era sicuramente un ruolo impegnativo; i Florio erano presenti ad ogni importante evento della città di Palermo e della Sicilia in generale: Marsala, Favignana, Taormina, Catania.

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Ben presto anche gli eventi Europei diventarono parte integrante degli spostamenti e dei viaggi di donna Franca e Ignazio come ad esempio, nel 1887 il viaggio a Londra per il giubileo della regina Vittoria.

Per l’occasione fu invitata tutta la famiglia Florio, compresi Giovanna D’Ondes e Ignazio senior e molti altri dell’aristocrazia palermitana.

I viaggi dei Florio come quelli di tutta l’aristocrazia, si svolgevano su proprie vetture ferroviarie, arredate con tutti i servizi necessari, camere da letto e da pranzo. Erano questi dei vagoni privati che generalmente erano custoditi nei depositi ferroviari e agganciati al treno ordinario una volta decisa la partenza.

Al seguito vi erano, bambinaie, servitù e cameriere personali, come quella che aveva Giovanna D’Ondes, anche il precettore di Vincenzo, fratello minore di Ignazio Jr 35. La Città di Palermo, al contempo però godeva dei frutti di questa mondanità prestigiosa, beneficiando degli investimenti artistico-culturali che, soprattutto i Florio, facevano per la rivalutazione della città come il contributo alla realizzazione dei teatri più importanti, la ristrutturazione in stile liberty dei palazzi più in vista, decori e abbellimenti con l’obiettivo di costruire giorno dopo giorno, una piccola capitale capace di competere con le più grandi città europee.

L’invenzione del cinema nel 1985 aveva introdotto nuove percezioni del reale e una valorizzazione del movimento, dell’azione, dell’espressione di dinamismo che fremeva nell’aria agli inizi del secolo fino a esplodere con lo stile dell’Art Nouveau.

Donna Franca diventa l’ispirazione di opere liberty come i suoi ritratti e l’abbellimento delle ville e delle case di famiglia.

Cosa davvero ci fosse di magnetico in questa donna non è dato saperlo, ma in qualche modo, leggendo di lei, appare come se non vi fosse nulla capace di resistere all’attrazione per la sua persona.

L’importanza di questo clamore proveniva dal contesto o dalla persona? Donna Franca cosa ha lasciato a Palermo?

Per molti sarebbe semplice rispondere a tale domanda e vi sarebbe ragione per tutti, anche per chi affermerebbe che, per molti punti di vista, il personaggio di donna Franca non è

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nulla di mai visto prima; è un’icona culturale dei suoi tempi e del suo ambiente ma forse è adeguato riconoscerle quell’ unicità che a paragone con altre donne, l’ha resa leggendaria. Potendo analizzare gli aspetti più personali, familiari e soprattutto pubblici, donna Franca risulta la classica donna ricca, frivola e amante dell’agio e del benessere, che si gode l’abbondanza e la notorietà in uno dei posti più belli del mondo, viaggiando in lungo e in largo e partecipando a eventi mondani di importanza internazionale, con un’attenzione molto particolare a quegli eventi che avrebbero potuto portare benefici all’impresa di famiglia e sicuramente alla città di Palermo.

Sarà stata la notorietà che Palermo raggiungeva nel tempo a rendere i palermitani così legati alla storia di questa dinastia?

Perché altre figure femminili importanti, a parità di ricchezze e notorietà, addirittura in alcuni casi con maggiori meriti intellettuali e maggiore prestigio culturale, non hanno goduto nel tempo di una memoria così fervida?

Come in ogni storia i retroscena esistono e hanno la loro rilevanza analitica poichè sono quelle verità nascoste che permettono un più ampio margine di comprensione dei protagonisti.

La figura di donna Franca coincide a volte con quella di moglie ferita e tradita, trascurata dal marito, il quale, come è raccontato in Ignazio Florio. Avventure galanti di un play boy

della Belle Epoque di Giovanni Marasà, sembrava essere avvezzo al corteggiamento delle

belle donne e soprattutto quelle più ammirate sulla scena dell’arte, ballerine, attrici di teatro, cantanti.

Sembrava che per Ignazio non vi fossero cifre che non fosse disposto a spendere per riuscire a catturare l’attenzione di queste donne, per Clèo de Mèrode, ballerina famosa di cui era perdutamente innamorato anche Leopoldo II re del Belgio, Ignazio arrivò a spendere anche la cifra di 365 mila franchi36.

Usava far regali molto costosi alle donne che corteggiava e sembrerebbe anche che donna Franca non fosse totalmente ignara di questo; in una grandiosa stagione lirica messa in scena al Teatro Massimo di Palermo, venne designata come opera di apertura la Boheme con Lina Cavalieri, colei che si faceva chiamare “la donna più bella del mondo”.

Alla notizia di questa partecipazione donna Franca non riuscì a contenere il suo disappunto e confidò ad un amico che non poteva impedire al marito di farle torti fuori di casa ma a

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