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Ignazio Florio e il sicilianismo

CAPITOLO 3. QUELL’AFFETTO CHE ALIMENTA IL MITO

3.1 Ignazio Florio e il sicilianismo

A cavallo tra i due secoli, sullo scenario politico italiano stava affievolendosi la notorietà che la Sicilia aveva goduto con l’alternarsi al governo di politici siciliani come Rudinì e Crispi47, persone con idee e percorsi differenti ma accomunati dallo stesso legame col territorio siciliano.

Palermo reclamava un posto di visibilità sullo scenario del regno sabaudo dentro il quale andava a intensificarsi sempre di più la percezione di un dualismo economico tra nord e sud, il meridione diventava periferia e Palermo viveva male questo distacco48.

Prendeva forma dunque un’ideologia che col nome di “sicilianismo”, rappresentava l’orgoglio siciliano nella sua essenza e coalizzava ceti borghesi e partiti popolari.

“Il Sicilianismo è un prodotto di scontento economico e disagio politico e morale,…alimentato dal timore o dalla preoccupazione che la regione non abbia riconosciuto il ruolo che le spetta comparativamente alle altre regioni. Esso punta perciò, sulle contraddizioni e le manchevolezze che sempre più tendono a caratterizzare lo sviluppo siciliano nel rapporto con lo sviluppo nazionale, e ne trae occasione, non per individuarne le cause, ma per rovesciare le responsabilità sullo Stato e ancora più genericamente sul Nord49”.

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Antonio Starabba marchese di Rudinì: (Palermo1839 - Roma 1908). Laureatosi in Giurisprudenza a Palermo, costretto all'esilio per

aver preso parte ai moti insurrezionali antiborbonici dell'apr. 1860, nel 1864 fece ritorno nella sua città e ne fu eletto sindaco. Distintosi per le sue capacità amministrative, l'aver fronteggiato con successo il movimento popolare del sett.1866 gli valse la nomina a prefetto di Palermo e poi di Napoli (1868). Ministro degli Interni e deputato della Destra (1869), assunse un atteggiamento di opposizione nei confronti dei gabinetti Depretis e Crispi, succedendo a quest'ultimo nel febbr.1891. Deciso ad affrontare le gravi condizioni del bilancio, si dimise a causa dell'opposizione incontrata dalla sua proposta di nuove imposte (maggio 1892). Tornato al governo nel marzo 1896, dopo la crisi seguita alla sconfitta di Adua, R. si impegnò a sanare le conseguenze della politica estera crispina, concludendo la pace con l'Etiopia e riavvicinandosi alla Francia. Sul piano interno affrontò la crisi sociale in atto nel paese facendo largo uso di misure repressive, ma fu costretto a dimettersi in seguito alle manifestazioni popolari di Milano del maggio 1898. Risultato vano l'immediato tentativo di varare un nuovo esecutivo, Rudinì non ricoprì più incarichi di rilievo; negli anni successivi prese comunque posizione contro la politica giolittiana.

Francesco Crispi: (Ribera, Agrigento, 1818 - Napoli 1901). Avvocato e patriota, ebbe un ruolo decisivo nel convincere Garibaldi a

compiere la spedizione dei Mille. Proclamata l'Unità d'Italia, abbandonò le posizioni repubblicane, aderendo alla monarchia. Divenuto presidente del Consiglio (1887-91), fu fautore di una politica 'forte' all'interno e all'estero, sostenne la Triplice Alleanza (con Germania e Austria) in chiave antifrancese e promosse l'espansione coloniale. Tornò al governo nel 1893 e fronteggiò con durezza la protesta sociale (Fasci siciliani, moti in Lunigiana). Fu travolto dal naufragio delle ambizioni coloniali nella sconfitta di Adua (1896).

48O. Cancila, I Florio. Storia di una dinastia imprenditoriale, Milano, Bompiani 2010.

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Il concetto di base era un’accusa nei riguardi del protezionismo industriale del Nord che rendeva povera una Sicilia, in realtà, piena di risorse.

Questo serviva anche a motivare il malcontento generale che si tramutava in una richiesta di autonomia per la regione e anche per identificare in un qualcosa di esterno, le cause di quell’inefficienza e inadempienza che provenivano dalla classe dirigente siciliana. In questo modo, il mancato sviluppo della Sicilia era causato dallo stato accentratore.

Un modo di pensare questo, che può essere collocato alla base delle convinzioni di chi pensa che Ignazio Florio andò in rovina a causa delle coalizioni opposte favoreggiate dai potenti industriali del Nord.

Come spiega Orazio Cancila:

“Il sicilianismo, che ebbe la sua roccaforte a Palermo,

aggregò attorno al “progetto Sicilia” un coacervo eterogeneo di forze politiche e sociali: dal gruppo Florio, che comprendeva gli esponenti più qualificati del mondo imprenditoriale locale e i produttori zolfiferi, agrumari, vinicoli, ecc., all’aristocrazia agraria capeggiata dal principe di Camporeale e dall’onorevole Pietro Lanza di Scalea, politicamente vicina a Rudinì, ai cattolici sturziani e – attraverso la mediazione di Florio – al radicale Napoleone Colajanni e ad alcuni esponenti socialisti di primo piano (Salvioli e Lo Vetere, ma forse anche Bosco), già dirigenti e fiancheggiatori dei Fasci, tutti convinti che il superamento della crisi non era possibile senza un aumento della produttività in agricoltura e quindi senza l’alleanza e la cooperazione economica tra borghesia agraria e coltivatori 50.”

Era diventata una situazione per la quale anche i socialisti rinunciavano alla lotta di classe per creare un blocco unico tra borghesia agraria e coltivatori poiché era nell’agricoltura che si riponevano tutti i buoni propositi per uscire dal sottosviluppo. Fu in questo contesto che Ignazio Florio pensò di sfruttare questa idea di base per allargarla ad un blocco industriale-agrario che tutelasse a livello nazionale gli interessi industriali e agrari insieme.

Sostanzialmente “il progetto Sicilia” ovvero ciò che rappresentava l’obiettivo dei sicilianisti era di intensificare la produzione agraria e industriale del meridione, potenziare la flotta peschereccia, rilanciare l’industria mineraria dello zolfo con la quale

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stimolare le attività della flotta mercantile dedita al trasporto del prodotto in tutto il mondo e quindi a godere con più facilità anche alle sovvenzioni statali a favore delle società armatoriali come la Navigazione Generale Italiana51.

Alla luce di questo potrebbe essere lecito pensare che non fu esiguo il ruolo dell’ideologia sicilianista nell’allontanare Ignazio da possibili dubbi sul suo operato da leader della dinastia più ricca della Sicilia di fine Ottocento.

Il suo era un declino dettato dal corso degli eventi, la società si concentrava sull’orgoglio e patriottismo e chiunque appartenesse alla Sicilia, soprattutto uno come Ignazio grazie al quale la Sicilia ha potuto prosperare, difficilmente, pur colpevole di qualcosa o negligente su altre, poteva essere ricordato con demeriti di ogni sorta, è probabile che il sicilianismo dunque possa aver contribuito a perfezionare negli anni il ricordo dei Florio e della loro èpopea d’oro.

Non tutti sanno che fu una loro intuizione quella di utilizzare un metodo innovativo per il trasporto degli alimenti già utilizzato dal 1929 dall’esercito che brevettò nello stesso anno l’invenzione del colonnello Don Ettore Chiarizia che consisteva nell’inscatolamento del cibo: carne, minestrone, lenticchie per le scorte utilizzate dalle truppe al fronte.

I Florio introdussero questa tecnica nelle industrie di Favignana, dove i frequenti e abbondanti pescati di tonno, venivano lavorati e inscatolati per la vendita in tutto il mondo del prodotto ittico siciliano marcato Florio.

Le tante aziende di inscatolamento che una volta diffuse in tutta la Sicilia Occidentale (alcune sedi degli stabilimenti Florio di questo tipo si trovavano anche a Mazara del Vallo e Marsala) diedero enorme impulso anche al trasporto navale e al commercio grazie alla praticità con cui poteva essere trasportato il prodotto.

Molti ignorano che il famosissimo Marsala, vino liquoroso esportato da più di un secolo, in realtà non fu prodotto sin dalle origini dai Florio, bensì dagli Ingham, altra importante famiglia industriale di origine inglese che si stabilì a Marsala ma fu con i Florio che il vino raggiunse fama internazionale e un livello di commercio sorprendente che dura tutt’oggi.

Nel 1882 Ignazio Florio senior aveva fondato anche un ceramificio.

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Esso si collocava nei cantieri navali della famiglia e fu ubicato li perlomeno fino al 1910.

La ditta di ceramica si distingueva da un marchio ben preciso che aveva la forma di cavalluccio marino.

Inizialmente la ditta si occupava della produzione delle stoviglie in porcellana con decorazioni in rilievo che servivano direttamente alla Società di Navigazione ma anche di servizi da tavola per il rifornimento di alberghi e ospedali.

“Diretta da Augusto Mèly e, dal 1908, Norman Olsen nella nuova sede di via Serradifalco, si distinse per la ricercata qualità delle sue suppellettili d’uso quotidiano, ma anche nell’esecuzione di eleganti oggetti d’arte di gusto Liberty, eseguiti in terraglia e porcellana, secondo criteri innovativi, come la cottura a terzo fuoco e l’ornato a decalcomania, sulla falsariga di altre aziende italiane dell’epoca quali la Lovenio, la Richard e la Ginori.

La fabbrica, che per il suo repertori si valse fin dal 1883 della collaborazione del pittore Rocco Lentini e dello scultore Francesco Griffo, produsse anche suppellettili di genere nelle quali il predominante decorativismo floreale incontrò il favore della classe borghese, soprattutto nelle piastrelle smaltate, all’uso inglese, realizzate con il sistema dello stampo a rilievo divulgata dalle manifatture Milton, riproducente la tecnica della “cuenca”. Rivestimenti parietali e dettagli d’ornato impiegati nelle facciate di palazzi, come quelli disegnati da Ernesto Basile per Villa Igiea e Villino Ida52.”

La ditta, con la morte del suo fondatore, divenne in seguito Società Anonima Siciliana Ceramiche e si avviò verso un lento declino fino a quando non fu venduta intorno agli anni Quaranta alla Richard-Ginori per poi chiudere definitivamente53.

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C. Napoleone, Enciclopedia della Sicilia, Parma, Ricci Editore 2006, p. 418. 53

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Bottiglie di Marsala Florio, prodotto dalla Società anonima vinicola italiana, foto tratta da “L’età dei Florio” p. 67

Marsala. La fattoria dei Florio oggi tratta da l’Età dei Florio, Sellerio 1985

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