Prospettive di analisi dell’innovazione tecnologica nello spazio pubblico
2.1 DALLA CONTINUITÀ ALLA COMPLESSITÀ I MODELLI ALTERNATIVI DI COMUNICAZIONE SCIENTIFICA
Nel 1985 viene pubblicato Expository Science: Forms and functions of
popularization, un saggio a cura di Terry Shinn e Richard Whitley, che rappresenta un punto di svolta negli studi sulla comunicazione scientifica. Il volume raccoglie i contributi di alcuni studiosi appartenenti al campo transdisciplinare degli studi sociali della scienza (STS, Social studies of science and Technology); la ricostruzione storica di alcuni case study nell’ambito della storia della scienza si unisce ad un’ampia riflessione epistemologica sul ruolo della comunicazione nel processo di consolidamento di una teoria o di un artefatto tecnico. Il punto di vista più
strettamente sociologico, tuttavia, rimane dominante, costituendo l’ossatura principale di Espository Science. In uno dei saggi introduttivi, infatti, Michel Cloitre e Terry Shinn, sulla scorta della Ssk di matrice britannica, identificano nel paradigma mertoniano la radice epistemologica del modello standard della comunicazione
scientifica.
Two models of science have by and large coloured recent discussion of popularization. The mertonian model affirms that science and non-science are clearly demarcated. Both the form and the content of statements articulated within the sanctum of the scientific community are seen as radically different from propositions advanced elsewhere. Here, popularization is depicted as possessing attributes entirely different from those of science proper. By contrast, the relativist model denies this demarcation.[…] In a sense, popularization becomes ubiquitous, for, according to this analysis, the categories and levels of cognition are strictly determined by social agency alone (Cloitre e Shinn 1985 p.31)
Come si è visto nel corso del precedente capitolo, secondo Merton l’ethos scientifico ha la funzione, per la comunità degli esperti, di garantire il processo di accumulazione della conoscenza rendendo la scienza un sottosistema autonomo rispetto al contesto sociale. La comunicazione tra scienza e società, in quest’ottica, avviene
unidirezionalmente dagli esperti al pubblico profano. È una attività intesa come mera “divulgazione”, ben al di fuori del core set della scienza (Whitley 1985).
Cloitre e Shinn, in contrasto con l’impostazione mertoniana, assegnano alla comunicazione (definita come “pratica espositiva” expository practice) un ruolo fondamentale per il lavoro scientifico. Il trasferimento da un contesto all’altro (dai dati sperimentali alla stesura del paper scientifico fino all’esposizione in setting “divulgativi” come i mass media) modifica il contenuto cognitivo degli asserti
conoscitivi. La conoscenza elaborata da un ricercatore in circostanze spazio-temporali socialmente e culturalmente situate assume diverse forme e funzioni a seconda delle differenze che intercorrono tra il luogo originario di produzione e il contesto di ricezione. In altre parole, la comunicazione non è una semplice attività di
trasmissione di contenuti specialistici per audience profane, come postula il modello standard, bensì costituisce una “attività centrale” per la pratica scientifica (core activity) che coinvolge l’interazione di molteplici soggetti con interessi differenti e, talvolta, divergenti (Cloitre e Shinn 1985).
I due autori, in questo cruciale passaggio di Expository Science, si staccano
decisamente dal mainstream della ricerca sulla comunicazione scientifica attingendo una parte dello schema argomentativo dal settore della Ssk, di impostazione
squisitamente costruttivista, che va sotto il nome di “Studi di Laboratorio” Laboratories Studies.
Gli Studi di Laboratorio, per quanto riguarda le cause sociali all’origine della formazione della conoscenza, si distanziano nettamente dalla scuola britannica di David Bloor. Le categorie macrosociologiche basate sul concetto di “interesse sociale” (interest-based approach), secondo questa prospettiva, non bastano a spiegare l’emergere della conoscenza non evidenziando a sufficienza i meccanismi causali attraverso i quali il “sociale” penetra nelle teorie e negli artefatti della scienza. I costruttivisti “radicali” (come vengono chiamati gli esponenti di questa corrente) identificano la dimensione causale della conoscenza nella pratica sociale come relazione tra attori sociali nei contesti della vita quotidiana. Vengono, quindi,
evidenziate le caratteristiche contingenti nelle quali si svolge il lavoro degli scienziati adottando un punto di vista microsociologico ovvero interessato a ricostruire le relazioni tra esperti all’interno del laboratorio.
I lavori più importanti degli Studi di Laboratorio sono le ricerche di Bruno Latour e Steve Woolgar Laboratory Life. The social construction of scientific facts (1980), e di Karin Knorr-Cetina The manufacture of knowledge: An essay on the constructivist and contextual nature of science (1981). Non a caso nei titoli degli studi in questione si parla di costruzione contestuale della conoscenza scientifica. Per i costruttivisti, i prodotti della scienza e della tecnologia non derivano il loro status di “fatto”, il loro porsi in essere nel mondo, dalla adeguatezza delle procedure metodologiche e teoriche rispetto alla realtà empirica. Sono le interazioni tra gli attori che rendono possibile l’affermazione di una particolare conoscenza. Nel processo di ricerca, in linea di principio, tutto è soggetto a negoziazione sociale: che cosa è una cellula e cosa è un artefatto, chi è un buono scienziato e che cos’è un metodo appropriato, se una misurazione sia sufficiente o se occorrano diverse ripetizioni (Knorr-Cetina 1995 p.152). Il laboratorio, quindi, è un luogo impregnato di decisioni. La conoscenza scientifica è resa possibile grazie alle decisioni negoziate in laboratorio da attori sociali immersi nella routine della vita professionale. La Knorr-Cetina parla di “logica opportunistica”: i criteri di scelta e i metodi utilizzati dagli scienziati non si basano su regole codificate universalmente valide, ma su circostanze particolari legate a
determinati contesti di produzione. Ad essere coinvolti in queste negoziazioni sono gli esperti assieme ad una serie di attori sociali eterogenei (i policy-makers, i finanziatori, i pubblici interessati, il mondo economico), legati da quelle che la studiosa tedesca chiama “relazioni trans-epistemiche”, risorse eterogenee che,
situata in qualcosa che può avere valore in tempi e luoghi differenti dal contesto originario di produzione.
In laboratorio, la “creazione di conoscenza” (manufacture of knowledge) si realizza concretamente attraverso una serie di operazioni effettuate tramite una varietà di documenti e tracce scritte come numeri, tabelle, grafici, articoli tecnici. Latour e Woolgar chiamano questi oggetti literary inscriptions, meccanismi che trasformano il laboratorio in un sistema di produzione di dispositivi letterari e retorici. Tale sistema rappresenta il secondo livello della pratica scientifica dopo la “costruzione” della conoscenza attraverso le negoziazioni decisionali quotidiane. Il secondo step, quindi, consiste nella “messa in scena” della conoscenza scientifica ovvero la sua
rappresentazione attraverso gli strumenti tecnologici e le strategie retoriche. Il
risultato finale è la stesura del paper pubblicato su una rivista specialistica, nel quale, attraverso una serie di progressivi aggiustamenti da parte del ricercatore, viene
cancellata ogni traccia del processo di costruzione della conoscenza, in modo da poter considerare il risultato ottenuto come solido ed incontrovertibile, un “fatto”.
Prendiamo, ad esempio, una affermazione di questo tipo: “quando abbiamo effettuato il test, lo scorso venerdì, abbiamo ottenuto risultati che pensiamo possano suggerire una correlazione tra l’esposizione alla mannite e la presenza di irregolarità cardiache nei topi”. La correlazione tra esposizione alla mannite e irregolarità cardiache appare contingente alla pratica localmente situata in laboratorio: quale test è stato usato, quando è stato somministrato, come i risultati sono stati valutati, quale tipo di esposizione è stata giudicata ottimale, quale cavia è stata utilizzata. Questo asserto conoscitivo è tipico delle interazioni informali tra colleghi nel contesto del
laboratorio, dove si decide, attraverso scambi comunicativi intensi e spesso conflittuali, la natura del processo scientifico in fieri. Tuttavia, quando una
descrizione del genere deve essere traslata verso un contesto espositivo formale come il paper scientifico, grazie all’utilizzo di tecniche retoriche e narrative essa perde tutti i riferimenti al processo produttivo di conoscenza. Il ricercatore eliminerà, durante la stesura dell’articolo, qualsiasi connotazione ipotetica alle sue affermazioni,
espungendo i rimandi alle negoziazioni attraverso le quali si è ottenuta la nuova conoscenza. L’asserto precedente, dunque, diventerà un fatto incontrovertibile, apparentemente “naturale”: “la mannite causa irregolarità cardiache”.
Cloitre e Shinn allargano il raggio d’azione dei procedimenti di trasformazione della conoscenza, tipici delle situazioni di laboratorio, a contesti comunicativi differenti
che si dipanano lungo un continuum. È il fondamento concettuale di quello che viene chiamato “modello della continuità” raffigurato in Fig. 2.1.
Fig.2.1 Modello della continuità (Fonte: Bucchi,2000)
Il modello prevede quattro livelli di comunicazione scientifica.
1 Livello intraspecialistico. Lo step più distintamente esoterico (esempio tipico