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4.5 “TECNOLOGIE EMERGENTI” VERSO UNA NUOVA TEORIA DELLA “SCIENZA IN PUBBLICO”?

L’INNOVAZIONE MEDIATA VERSO UN APPROCCIO SISTEMICO ALLA “SCIENZA NEI MEDIA”

4.5 “TECNOLOGIE EMERGENTI” VERSO UNA NUOVA TEORIA DELLA “SCIENZA IN PUBBLICO”?

Le nanotecnologie sono ancora allo stato embrionale del loro ciclo di vita come issue nella sfera pubblica mediale. Tuttavia, considerare il “nanomondo” come ultimo anello delle “tecnologie emergenti”, come suggeriscono Gorss e Lewenstein (2005), aggira due ostacoli. Il primo è legato alla scarsa disponibilità di ricerche sul tema rispetto ad altre innovazioni (biotecnologie in primis). Il concetto di “emerging technologies”, riunendo classi di oggetti teoricamente separate (nanotech, biotech, ICT), assume che alcuni settori cruciali della tecnoscienza possano condividere percorsi simili non solo presso l’arena dei media ma nel discorso pubblico in generale (Hilgartner e Lewenstein, 2004). Tale assunto di base facilita la formulazione di ipotesi ed obiettivi di ricerca in mancanza di un corpus di studi preesistenti. Questo non vuol dire che ciascuna innovazione avrà lo stesso “destino” (“stabilizzazione” e “chiusura interpretativa” di un significato dominante a livello pubblico), ma che classi di tecnologie differenti possano mobilitare interessi, gruppi sociali e network comuni. L’innovazione, seguendo questa impostazione, diventa un fenomeno unitario,

costruito da un “fiume carsico” di oggetti, pratiche e culture differenti, tenuto assieme dai network, dalle medesime “visioni” di futuri possibili e scenari desiderabili che la tecnologia potrebbe realizzare

Il secondo ostacolo che il termine-ombrello “tecnologie emergenti” spinge a superare è costituito dalla attualmente asfittica elaborazione teorica della science

communication research.

A fronte di una congèrie sempre più vasta di studi empirici sulla rappresentazione mediale della tecnoscienza, abbiamo a disposizione una limitata, se non scarsa, riflessione teorica sulla comunicazione mediale (o la comunicazione tout court) come fattore rilevante nel processo di diffusione della conoscenza scientifica. Guardare allo “science in the media problem” attraverso la sola lente di ingrandimento (teorica e metodologica) offerta dai modelli di comunicazione scientifica, impedisce di rilevare la complessità intrinseca al processo di diffusione di una teoria o di un oggetto. La communication research potrà avere un ruolo importante in seno agli STS (Social Studies of Science and Technology) a condizione di non autolimitarsi a studiare come gli scienziati comunicano attraverso i media, quanta conoscenza di una teoria è

diffusa presso il pubblico “profano” o come i giornalisti rappresentano una particolare tecnologia. In questo modo, si rischia di relegare i media ad un ruolo residuale, un ambiente di supporto alle azioni della comunità degli esperti o di altri gruppi sociali rilevanti nell’ambito del processo di diffusione. Non possiamo certamente assegnare a priori ai media la funzione di arena centrale nel processo di costruzione di un oggetto tecnologico, la sua materialità, l'essere nel mondo quale entità in sé si costituisce al di fuori della arena mediale. Essi però diventano straordinariamente importanti quando vogliamo capire quale significato, collettivamente definito in un dato contesto sociale, sta emergendo come risorsa simbolica comune per interpretare l’innovazione.

L’attribuzione collettiva di senso non è separabile dalla ideazione e costruzione dell’oggetto. Sono due aspetti dello stesso fenomeno, l’uno co-evolve con l’altro. Sopratutto di fronte a frontiere della tecnoscienza dal profilo incerto, provvisorio nelle applicazioni reali e nelle possibilità concrete, lo studio delle visioni che una società “coltiva” dell'innovazione dà un quadro, certamente provvisorio ed implementabile, della direzione verso la quale si muove la ricerca scientifica

contemporanea. Se pensiamo ad un “pacchetto” di significati che dai “sistemi esperti” passa attraverso i media (o negli altri forum del discorso pubblico) grazie ad un meccanismo di percolazione, allora “divulgazione” può una felice metafora di questo processo. Le traiettorie di “deviazione” complicano il processo, rendendolo

maggiormente dialettico, ma ne lasciano inalterata la logica fondante: l'agency è comunque assegnata agli scienziati.

Qualora, invece, assumiamo, che le “tecnologie emergenti” acquistino un significato solido, persino presso la comunità scientifica, soltanto quando si stabilizza un senso dominante presso la sfera pubblica (media compresi), la nostra concezione della comunicazione “pubblica” della scienza diventa maggiormente complesso. Pensiamo, quindi, che studiare “la scienza nei media “ sia una occasione unica per cominciare a disegnare in confini del “mondo sociale distintivo” che Hilgartner e Lewenstein (2004) indicano come fondamento delle “tecnologie emergenti”.

L’azione più significativa dei media si svolge nel mondo ordinario: essi filtrano e incorniciano realtà quotidiane attraverso le loro rappresentazioni uniche e molteplici, ci offrono pietre di paragone e punti di riferimento per la conduzione della vita di tutti i giorni, per la produzione e il mantenimento del senso comune. Ed è su questo aspetto, su ciò che passa per senso comune, che occorre basare lo studio dei media: si deve essere in grado di pensare alla vita che

conduciamo come un processo di continua definizione cui è necessaria la nostra partecipazione attiva anche se molto spesso in circostanze sulle quali abbiamo pochissime o nessuna possibilità di scelta e in cui il meglio che possiamo fare è solo arrangiarci. I media ci hanno offerto parole e idee per esprimerci non in quanto forze disincarnate che agiscono contro di noi mentre ci occupiamo delle nostre faccende di tutti i giorni, ma in quanto parte di una realtà alla quale partecipiamo, che condividiamo e che manteniamo giorno per giorno attraverso i nostri discorsi e le nostre interazioni quotidiane (Silverstone, 2002 pp.24-25)

Una delle risposte, semplice ma per questo convincente, data da Roger Silverstone alla domanda “perché studiare i media ?” esemplifica chiaramente l'importanza dei mezzi di comunicazione nello strutturare la nostra percezione del mondo esterno, costituendo una cornice sensoriale e simbolica irrinunciabile per l'individuo. La ricerca sulla comunicazione scientifica, può ripartire da questa consapevolezza, espressa dallo studioso britannico, per convogliare gli sforzi verso una più compiuta sintesi teorica su come i media intervengono nei processi di definizione collettiva di un fatto scientifico. Il concetto di “tecnologie emergenti” spinge la teoria più in avanti, cercando pattern comuni a classi di tecnologie diverse. Certamente si tratta di uno “strumento” ancora imperfetto, labile nei suoi confini, incerto nelle sue

implicazioni empiriche. Le nanotecnologie, in quest'ottica, potrebbero essere una occasione per la sua implementazione grazie alla loro natura incerta,

fondamentalmente nebulosa; un campo di ricerca verso il quale affluiscono tradizioni, metodologie e saperi diversi. È prevedibile, scrive Marcello Cini, “che le

anni, di unificare sotto il proprio impulso anche gli altri settori cruciali dello sviluppo tecnologico, cioè le biotecnologie, le tecnologie dell'informazione e le neuroscienze. Unificazione significa che le nanotecnologie saranno la tecnica che permetterà lo sviluppo e l'ibridazione delle altre” (Cini, 2006,p.254).

I ricercatori sociali, quindi, hanno una opportunità unica di testare la validità euristica del concetto attraverso lo studio dello sviluppo delle nanotecnologie condotto su molteplici livelli,. In linea teorica, il “nanomondo” può consegnare agli studi sociali della scienza un architrave per disegnare una mappa teorica in grado di sostenere la ricerca sul rapporto media-innovazione. A patto, tuttavia, che si abbracci una

sensibilità sistemica. È impossibile isolare l'azione dei media nella costruzione della scienza e dell’innovazione come “fatto” pubblicamente rilevante senza guardare contemporaneamente a tutti i contesti dove si svolge l’interazione tra gli attori sociali. Acquisiremmo una conoscenza locale (ciò che avviene nella sfera mediale quando un oggetto tecnico viene “immesso” nel flusso comunicativo) ma perderemmo la visione di insieme sui movimenti dei network nelle arene (tecno-amministrative o politiche) dove la tecnologia viene attivamente configurata.