LAVORO A TEMPO DETERMINATO
2. Contratto a termine e contratto a tempo indeterminato nel nuovo contesto della flexicurity: preferibilità e prevalenza (art. 1)
Come già detto, la nuova disciplina del lavoro a tempo determinato continua ad avere i caratteri fondamentali che le ha impresso il decreto Renzi-Poletti della primavera del 2014. Il contesto ordinamentale in cui si colloca è, invece, profondamente mutato e ciò incide sul senso di alcuni suoi rilevanti aspetti.
Il primo è quello che concerne l’utilità per il lavoratore assunto illegittima-mente a termine di un’azione giudiziale volta a chiedere la conversione del rapporto, visto che ormai, anche se a tempo indeterminato, lo stesso non è più (tanto) stabile. Il problema mi viene in mente ricordando che la severa l. n. 230/1962, prima dell’introduzione dell’art. 18 Stat. lav., aveva indotto molto poco i lavoratori a chiedere la conversione del rapporto, vista la possibilità da-toriale di recedere comunque senza costi molto alti in caso di successivo licen-ziamento ingiustificato. Il massiccio ricorso al giudice è iniziato, invece, da parte dei dipendenti di aziende medio-grandi dopo l’introduzione della tutela reale. Già con l’odierna possibilità di assunzioni a termine a-causali e con l’eliminazione della conversione in caso di sforamento dei limiti percentuali è da prevedere che le richieste di “conversione” cadranno drasticamente, salvo vedere quanti vorranno presentarle previe pregiudiziali di costituzionalità o conformità al diritto euro-unitario, ma se si aggiunge l’ulteriore elemento della debolezza della tutela nei confronti dei licenziamenti ingiustificati, il rischio è quello di un calo ulteriore.
Molto dipenderà dalla concreta applicazione delle innovazioni del marzo scor-so. Si tratta di innovazioni che possono fortemente indebolire la posizione del lavoratore senza per il momento trovare compenso nelle misure di security nel mercato, oggi rese difficili dalle ristrettezze della finanza pubblica e dalla crisi delle imprese23. Ma è fondato sostenere che «non siamo nel 1965»: il licen-ziamento va motivato, vi è il diritto dell’Unione europea, potrebbero trovare maggior rilievo la tutela antidiscriminatoria e vari istituti del diritto comune24. La partita non mi pare del tutto chiusa ed alla fine per il lavoratore mi sembra comunque preferibile un contratto a tempo indeterminato che attendere incerti rinnovi o cercare altre occasioni di lavoro a termine. Le cause di conversione non spariranno, quindi, del tutto.
Il secondo aspetto è quello più discusso tra gli studiosi e concerne l’odierna ef-fettività del principio ora espresso dall’art. 1 del decreto in commento e già presente nell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, come modificato dal decreto Renzi-Poletti, e prima ancora nel comma 01 dell’art. 1 dello stesso decreto, come modificato dalla legge Fornero (art. 1, comma 8, lett. a), per il quale il contrat-to a tempo indeterminacontrat-to è la forma comune di rapporcontrat-to di lavoro. Si è detcontrat-to che questa enunciazione generale, dopo la drastica riduzione di tutele e
23 Questa difficoltà è messa in evidenza da T.TREU, In tema di Jobs Act. Il riordino dei tipi
contrattuali, in DLRI, 2015, n. 146, 154.
tà, oggi ha perso ogni senso, perché non vi è più un lavoro stabile che si con-trappone ad un lavoro precario25.
Penso che questa conclusione sia eccessiva e che il significato del principio non sia modificato. Sul punto va chiarito, innanzitutto, che la suddetta enun-ciazione ha un rilievo giuridico, perché non avrebbe senso inserire, in un testo normativo, una simile affermazione, se si volesse solo segnalare una prevalen-za fattuale, statistica, dei rapporti a tempo indeterminato rispetto a quelli a termine. Non succedeva così nemmeno nel decreto del 1924 in cui si si affer-mava che il contratto d’impiego privato era quello in cui l’assunzione avveni-va normalmente a tempo indeterminato. Il rapporto comune/non comune ri-prende l’espressione usata nell’accordo-quadro europeo e vuole dire (come il rapporto normale/non normale) qualcosa di meno, ma comunque vicino, al rapporto regola/eccezione, per evitare le rigide conseguenze interpretative connesse a quest’ultimo. Peraltro, dopo l’eliminazione del limite costituito dal-le causali e l’introduzione di un limite esclusivamente quantitativo, si è posto in luce come la normalità del contratto a tempo indeterminato, rispetto alla non normalità di quello a termine, pur permanendo sul piano prescrittivo e non me-ramente descrittivo, abbia perso la precedente dimensione qualitativa, mante-nendo solo quella quantitativa26. Ed in vero ora la non normalità del contratto a termine, o, meglio, il fatto che esso non costituisce il rapporto comune, si spiega con la presenza dei limiti temporali e quantitativi e dei divieti, non ri-chiesti per l’altro contratto27. Come l’identica enunciazione contenuta nel preambolo dell’accordo-quadro, anche quella ora presente nel decreto in commento, che ribadisce l’espressione usata anche nella lett. b del comma 7 dell’art. 1 della legge delega28, dà vita ad una indicazione che per l’interprete è di tipo ermeneutico nel senso di un cauto favore verso il contratto a tempo in-determinato, che non pone, tuttavia, vincoli ulteriori rispetto a quelli espres-samente previsti, mentre per il legislatore costituisce un “criterio di orienta-mento” che dovrebbe fargli adottare misure dirette a far conservare al lavoro a
25 Così M.V.BALLESTRERO, op. cit., 48.
26 Si veda F.CARINCI, Jobs Act, atto I. La legge n. 78/2014 fra passato e futuro, cit., 29-30.
27 Per A. Pandolfo (A.PANDOLFO, P.PASSALACQUA, op. cit., 10) il contratto a tempo
indeter-minato è la forma comune di rapporto perché può moltiplicarsi senza alcun limite numerico.
28 La presenza di questo principio nella legge delega aveva indotto gli estensori della bozza di
decreto legislativo a non ripeterlo nelle disposizioni del decreto delegato. Poi questa scelta è stata abbandonata.
tempo indeterminato la posizione “dominante” quale forma comune di rappor-to di lavoro29.
Altra è la questione della prevalenza statistica di un contratto rispetto all’altro. Sino a poco fa la situazione era ben nota: prevalenza del contratto a termine come flusso di nuove assunzioni ed erosione della netta prevalenza dei rappor-ti a tempo indeterminato in termini di stock, il tutto in un quadro di forte calo dell’occupazione. È frequente l’osservazione per la quale il decreto Renzi-Poletti non abbia dato la pur limitata e temporanea scossa prevista30, ma un fatto nuovo è stato segnalato da vari mesi. A fine dicembre, nella legge di sta-bilità, in attuazione dell’art. 1, comma 7, lett. b, della legge delega, è stata in-serita l’importantissima norma che esonera i datori di lavoro per 3 anni dalla contribuzione previdenziale per le assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal 1o gennaio 2015: ciò ha avuto l’effetto di far aumentare in modo consisten-te le assunzioni a consisten-tempo indeconsisten-terminato, prima in sostituzione di quelle precarie e poi anche in aggiunta alle stesse. In questo fenomeno è stata vista l’effettività del principio oggi sancito dall’art. 1 del decreto in commento31. A questa spinta ora dovrebbe affiancarsi la maggiore elasticità della disciplina del licenziamento. Naturalmente non si può sapere se i costosi esoneri prose-guiranno oltre il 2015 e se alla loro cessazione basterà la maggior flessibilità in uscita, unita alla maggiorazione dell’1,4% del carico contributivo, per non sco-raggiare le assunzioni a tempo indeterminato: vi è chi ritiene che comunque i datori preferiranno le assunzioni a termine, con contratti brevi la cui risoluzio-ne non ha i costi né morisoluzio-netari né umani del licenziamento32; altri ritengono che le imprese, alla scadenza del contratto, se ci sarà un’occasione stabile di lavo-ro, trasformeranno il lavoro a termine in lavoro a tempo indeterminato, per non vanificare la formazione impartita e le conoscenze acquisite33. Anche per me questo è stato e sarà il normale comportamento delle aziende, ma ciò non risolve tutti i problemi, sia perché esso riguarda le professionalità medio-alte, sia perché presuppone una crescita economica che è ancora molto debole. Se assistessimo nel prossimo futuro ad un forte aumento del lavoro a tempo de-terminato, non frenato dai fragili limiti percentuali, si dovrebbero prospettare
29 Il tema di questo vincolo per il legislatore è sviluppato da S.BELLOMO, Contratto a tempo
determinato e interventi sul costo del lavoro. I nuovi percorsi orientati alla salvaguardia del “contratto dominante”, in F.CARINCI (a cura di), op. cit., 166-167.
30 Si veda E.GRAGNOLI, op. cit., 689; L.MARIUCCI, op. cit., 15; V.SPEZIALE, Le politiche del
lavoro del Governo Renzi: il Jobs Act e la riforma dei contratti e di altre discipline del rap-porto di lavoro, Working Paper CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, cit., 13.
31 Così T.TREU, op. cit., 156.
32 Si veda M.V.BALLESTRERO, op. cit., 49.
questioni di costituzionalità e di conformità al diritto euro-unitario, così come si dovrà fare per la nuova disciplina dei licenziamenti, se risultasse del tutto inefficace a garantire la regola della loro giustificazione.