Lavoro intermittente (artt. 13-18)
5. La fattispecie lavoro intermittente
La disciplina vigente, nel confermare l’assetto normativo previgente, è desti-nata ad esporsi alle critiche che la dottrina prevalente aveva già espresso sul modello originario del lavoro intermittente.
A ben vedere l’interesse esclusivo del datore di lavoro viene posto al centro della disciplina del lavoro intermittente12 che ha proiettato un cono d’ombra sulla dimensione personale del rapporto di lavoro, dilatando, oltre ogni ragio-nevole misura, il tempo di lavoro e la stessa obbligazione lavorativa.
Nella disciplina del lavoro intermittente viene forse raggiunto il punto massi-mo di contrapposizione fra tutela della persona e contratto di lavoro.
Il legislatore non ha tratto insegnamento dalle pur risalenti ma importanti af-fermazioni di C. cost. 11 maggio 1992, n. 210, che, pur riferite al tema del part-time, hanno una straordinaria attualità e si prestano certamente ad essere riferite all’ossatura portante del lavoro intermittente13.
In quella sentenza la Corte metteva in luce che avrebbe certamente leso la li-bertà del lavoratore un contratto di lavoro subordinato dal quale «potesse deri-vare un suo assoggettamento ad un potere di chiamata esercitabile, non già en-tro coordinate temporali contrattualmente predeterminate od oggettivamente predeterminabili, ma ad libitum, con soppressione, quindi, di qualunque spazio di libera disponibilità del proprio tempo di vita, compreso quello non impe-gnato dall’attività lavorativa».
L’impostazione fatta propria dalla Corte costituzionale non sembra aver trova-to accoglimentrova-to nella disciplina del lavoro intermittente, nel quale la
12 V.LECCESE, La nuova disciplina dell’orario di lavoro, in P.CURZIO (a cura di), op. cit., 189
ss.;R.VOZA, La destrutturazione del tempo di lavoro: part-time, lavoro intermittente e lavoro
ripartito, cit., 237 ss.; V.BAVARO, Sul lavoro intermittente. Note critiche, in G.GHEZZI (a cu-ra di), Il lavoro tcu-ra progresso e mercificazione. Commento critico al decreto legislativo n.
276/2003, Ediesse, 2004, 216 ss.; V.BAVARO, Una questione sul tempo contrattuale di lavoro
(a proposito di orario, modulato o flessibile), in RGL, 2004, n. 3, 391 ss.; D.GOTTARDI, Sub
artt. 33-40, in E.GRAGNOLI, A.PERULLI (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i
nuovi modelli contrattuali. Commentario al Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276,
Cedam, 2004; M.G.MATTAROLO, Lavoro intermittente, in F.CARINCI (coordinato da),
Com-mentario al D.lgs. 10 settembre 2003 n. 276, cit., 3 ss.
13 In FI, 1992, I, 3232, con nota di A.ALAIMO, La nullità della clausola sulla distribuzione
dell’orario nel part-time: la corte costituzionale volta pagina?, e in RIDL, 1992, II, 731, con
nota di P.ICHINO, Limitate, non drasticamente vietate, le clausole di elasticità nel part-time ad
opera della Corte costituzionale: «L’ammissibilità di un contratto di lavoro a tempo parziale
nel quale sia riconosciuto il potere del datore di lavoro di determinare o variare unilateralmen-te, a proprio arbitrio, la collocazione temporale della prestazione lavorativa, sarebbe del resto in contraddizione con le ragioni alle quali è ispirata la disciplina di tale rapporto».
zione del tempo della prestazione ha raggiunto la sua portata massima, al pun-to che si è parlapun-to, a ragione, di dissoluzione del tempo di lavoro14 o di una sorta di jus creandi dell’orario di lavoro attribuito al datore di lavoro15. Me-diante tale contratto il lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro
che ne può utilizzare la prestazione lavorativa.
In base alla disciplina legale il lavoratore può assumere l’obbligo di stare a di-sposizione del datore di lavoro il quale può chiamarlo al fine di rendere la pre-stazione di lavoro con un preavviso che non può essere inferiore ad un giorno lavorativo. Durante il periodo di disponibilità il lavoratore intermittente perce-pisce una indennità di disponibilità con le limitazioni prima ricordate (si veda il § 4.4).
Il dato che ha sollevato le maggiori perplessità è che durante il periodo di di-sponibilità il lavoratore intermittente non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati né matura alcun trattamento economico e normativo, salvo l’indennità di disponibilità.
Su questo versante è vero che la riforma del 2015 ha aperto uno spiraglio, ri-muovendo la formula prevista dalla disciplina previgente secondo cui il lavo-ratore «non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati» (si veda il § 4.1); tuttavia si tratta di un’apertura troppo timida ove si consideri la sostanziale conservazione dell’assetto normativo precedente.
A ben vedere l’obbligo di stare a disposizione, la disponibilità del lavoratore intermittente, è un obbligo contrattuale, è adempimento dell’obbligo di lavora-re al punto che l’inadempimento di tale obbligo, il rifiuto ingiustificato di ri-spondere alla chiamata, può comportare il licenziamento.
Appare allora illogico negare al lavoratore intermittente i diritti riconosciuti al lavoratore subordinato durante il periodo di disponibilità mentre in quello stes-so periodo si impone al lavoratore intermittente di rispettare un obbligo tipi-camente riconducibile al rapporto di lavoro subordinato. Per di più si deve ri-marcare che all’obbligo di stare a disposizione corrisponde un potere illimitato del datore di lavoro di determinare il se, il quando e il come della prestazione di lavoro.
Sembra allora superfluo interrogarsi se nel lavoro intermittente sia rintraccia-bile una qualche forma di contemperamento tra esigenze organizzative ed esi-genze personali. In questa tipologia contrattuale è lo stesso tempo della presta-zione ad essere totalmente sottratto – e per via contrattuale – alla libertà del lavoratore.
14 R.VOZA, La destrutturazione del tempo di lavoro: part-time, lavoro intermittente e lavoro
ripartito, cit., 252.
Nel lavoro intermittente la dimensione temporale dell’obbligazione di lavoro implica l’esistenza di una «area debitoria più ampia rispetto a quella che è ef-fettivamente destinata al lavoro»16: l’effettiva disponibilità del tempo di non lavoro e dunque del tempo di vita è fortemente messa in discussione.
Il modello prefigurato dal lavoro intermittente sembra oscurare la dimensione complessiva del lavoratore, il quale è destinato, nel quadro di una ossessiva vi-sione monistica e totalizzante, a non dismettere i panni di contraente obbligato per indossare quelli di persona libera di disporre del proprio tempo e di vivere la propria dimensione personale e familiare.
Ed in simile contesto appare quasi superfluo interrogarsi se ed in qual misura una simile scelta normativa sia compatibile con quel percorso evolutivo del di-ritto del lavoro che si è progressivamente insinuato nelle pieghe della vita miliare, offrendo una nuova ed ulteriore chiave di lettura delle solidarietà fa-miliari e che è giunto a maturazione con il d.lgs. n. 151/200117.
Ed è del pari superfluo azzardare una qualche affinità elettiva fra la dissolu-zione del tempo nel lavoro “intermittente” e quelle scelte legislative dirette a conciliare i tempi di vita e i tempi di lavoro.
Sorprende pertanto che il legislatore del 2015, che pure non ha trascurato al-cuni propositi riformatori concernenti la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro (d.lgs. n. 80/2015) abbia potuto riprodurre e preservare una disciplina che esprime per più versi la negazione della persona nel rapporto di lavoro.
16 V.BAVARO, Una questione sul tempo contrattuale di lavoro (a proposito di orario,
modula-to o flessibile), cit., 394.
17 L.CALAFÀ, Congedi e rapporto di lavoro, Cedam, 2004; R.DEL PUNTA, La nuova