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Definizione e casi di ricorso al lavoro intermittente (art. 13)

Nel documento Disciplina delle mansioni (art. 3) (pagine 138-142)

Lavoro intermittente (artt. 13-18)

4. La nuova disciplina

4.1. Definizione e casi di ricorso al lavoro intermittente (art. 13)

L’art. 13 del decreto in commento accorpa in sé il contenuto degli abrogati artt. 33-34 del d.lgs. n. 276/2003.

La disposizione ripropone la formula definitoria, già conosciuta, del contratto mediante il quale «il lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro». È intatta altresì la tecnica abilitante verso il contratto collettivo e il decreto del Ministero del lavoro su cui grava il compito di individuare le esigenze oggetti-ve che legittimano il ricorso all’utilizzazione della prestazione lavorativa in modo discontinuo ed intermittente.

In relazione all’art. 13 (comma 1) si devono registrare alcune innovazioni ri-spetto alla disciplina previgente.

In primo luogo il riferimento ai contratti collettivi va contestualizzato nel qua-dro del d.lgs. n. 81/2015 che, all’art. 51 (cui si rinvia), prevede che «salva di-versa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendo-no i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazio-ni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i

con-tratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze ovvero dalla rap-presentanza sindacale unitaria».

La formula del testo previgente (art. 34, d.lgs. n. 276/2003) si riferiva invece «ai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale». In secondo luogo, con l’abrogazione dell’art. 40 del d.lgs. n. 276/2003 che prevedeva una sorta di procedimentalizzazione dell’intervento ministeriale in caso di inerzia dell’autonomia collettiva7, il rapporto fra contratto collettivo e decreto ministeriale viene ad atteggiarsi diversamente.

Nel nuovo testo (art. 13, comma 1) infatti si prevede che «in mancanza di con-tratto collettivo i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali». Ne deriva che, in caso di mancanza del contratto collettivo, l’intervento ministeriale può essere immediato senza dunque i tempi d’attesa previsti dall’abrogato art. 40 citato. Inoltre quest’ultima disposizione faceva riferimento alla “mancanza” del con-tratto collettivo nazionale. Nell’art. 13 invece la mancanza riguarda i contratti collettivi nazionali, aziendali, territoriali. Non è chiaro come l’intervento mini-steriale potrebbe configurarsi, ad esempio, rispetto al contratto collettivo “aziendale” mancante.

In terzo luogo, la formula «per periodi predeterminati nell’arco della settima-na, del mese o dell’anno» già presente nel testo dell’abrogato art. 34 sembra assumere un diverso significato.

Nella disciplina previgente infatti la formula sopra ricordata era preceduta dal-la parodal-la “ovvero”; nel testo dell’art. 13 invece viene adottata dal-la parodal-la “an-che” con il seguente complessivo risultato letterale: «secondo le esigenze indi-viduate dei contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolge-re le psvolge-restazioni in periodi psvolge-redeterminati nell’arco della settimana, del mese e dell’anno».

7 L’art. 40 del d.lgs. n. 276/2003 così disponeva: «Qualora, entro cinque mesi dalla data di

en-trata in vigore del presente decreto legislativo, non sia intervenuta, ai sensi dell’articolo 34, comma 1, e dell’articolo 37, comma 2, la determinazione da parte del contratto collettivo na-zionale dei casi di ricorso al lavoro intermittente, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali convoca le organizzazioni sindacali interessate dei datori di lavoro e dei lavoratori e le assiste al fine di promuovere l’accordo. In caso di mancata stipulazione dell’accordo entro i quattro mesi successivi, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali individua in via provvisoria e con proprio decreto, tenuto conto delle indicazioni contenute nell’eventuale accordo intercon-federale di cui all’articolo 86, comma 13, e delle prevalenti posizioni espresse da ciascuna le due parti interessate, i casi in cui è ammissibile il ricorso al lavoro intermittente ai sensi del-la disposizione di cui all’articolo 34, comma 1, e dell’articolo 37, comma 2».

Il diverso tenore letterale sembra connettere strettamente il tema della prede-terminazione temporale sopra ricordato al processo di abilitazione che è affi-dato in prima battuta al contratto collettivo.

Ciò sembra togliere terreno alla tesi, sostenuta in relazione alla disciplina pre-vigente, secondo cui le parti individuali avevano la libertà di stabilire nel con-tratto la predeterminazione dei periodi della settimana, del mese e dell’anno8. L’art 13 (comma 2) conferma inoltre le ipotesi soggettive di ammissione al la-voro intermittente: soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il 25o anno, e con più di 55 anni.

Viene dunque a consolidarsi l’impianto normativo già noto e generalmente co-sì inteso dalla dottrina:

• le ipotesi in cui è ammesso il ricorso al lavoro intermittente sono quelle previste dai contratti collettivi o, in mancanza, dal decreto ministeriale; • in ogni caso la stipulazione è ammessa in relazione ai requisiti

soggetti-vi/anagrafici espressamente indicati dal legislatore (persone con età inferio-re ai 24 anni e con utilizzazione della pinferio-restazione non oltinferio-re i 25 anni di età e con età superiore ai 55 anni).

Al di fuori delle suddette ipotesi non vi sono ulteriori spazi per abilitare il ri-corso al lavoro intermittente, fatta eccezione per l’area di operatività degli ac-cordi di prossimità ex art. 8, l. n. 148/2011.

Sempre l’art. 13 (comma 3) conferma i limiti temporali e gli effetti sanzionato-ri già introdotti dalla disciplina precedente: il contratto di lavoro intermittente è ammesso per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro per un pe-riodo complessivamente non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari.

Il limite è però piuttosto blando posto che, in mancanza di specifiche indica-zioni, deve ritenersi che questo abbia come riferimento il contratto di lavoro intermittente; ciò non sembra escludere che, una volta scongiurato il supera-mento del limite in relazione ad un medesimo contratto, sia possibile stipulare un nuovo contratto, con «azzeramento del contatore»9.

Alla violazione di tale limite viene espressamente riconnessa la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato. Sul punto si registra che, in realtà, il rapporto di lavoro intermittente può ben essere a tempo inde-terminato.

La riforma del 2015 non scioglie il nodo che attiene al contratto di lavoro in-termittente a tempo determinato: pacifica ed espressamente codificata

8 M.MARAZZA, op. cit., 681 ss. La tesi era peraltro smentita dall’interpretazione ministeriale

della disciplina (circ. Min. lav. 18 luglio 2012, n. 18).

l’apposizione del termine (cfr. l’abrogato art. 33, comma 2, d.lgs. n. 276/2003; art. 13, comma 1, d.lgs. n. 81/2015) non è invece affatto chiaro se si applichi la disciplina del contratto a tempo determinato (d.lgs. n. 368/2001 e successive modifiche ed integrazioni e, ora, artt. 19 ss. del decreto in commento, cui si rinvia).

Allo stato l’estensione è da escludere, anche secondo una consolidata interpre-tazione ministeriale (circ. Min. lav. n. 4/2005, cit.; confermata successivamen-te con insuccessivamen-terpello n. 75/2009)10.

L’art. 13 (comma 4), afferma che nei periodi in cui non viene utilizzata la pre-stazione il lavoratore intermittente non matura alcun trattamento economico e normativo, salvo che abbia garantito al datore di lavoro la propria disponibili-tà, spettandogli, in tal caso, l’indennità di disponibilità.

Il disposto riprende il contenuto dell’abrogato art. 38, comma 3, del d.lgs. n. 276/2003 secondo cui «per tutto il periodo durante il quale il lavoratore resta disponibile a rispondere alla chiamata del datore di lavoro non è titolare di al-cun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati né matura alal-cun trattamento economico e normativo, salvo l’indennità di disponibilità di cui all’articolo 36».

Tuttavia nel testo vigente può notarsi che viene rimossa la formula secondo cui il lavoratore intermittente «non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai la-voratori subordinati»: l’innovazione non è trascurabile e sembrerebbe aprire qualche spiraglio sul versante della disciplina legale applicabile al rapporto nella fase di disponibilità alla chiamata11.

Sempre con l’art. 13 (comma 5) il legislatore ha inteso precisare, con un’innovazione rispetto alla disciplina previgente, che la disciplina in com-mento non si applica ai rapporti di lavoro alle dipendenze della pubbliche amministrazioni.

4.2. I divieti (art. 14)

L’art. 14 del decreto in commento riproduce l’elenco dei divieti di ricorso al lavoro intermittente già previsti dall’abrogato art. 34 del d.lgs. n. 276 2003: a. per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;

10 Ibidem.

11 Si veda la circ. Fondazione Studi Consulenti del lavoro, 30 luglio 2015, n. 18, Il testo

orga-nico delle tipologie contrattuali: novità in tema di lavoro a tempo parziale e contratto di lavo-ro intermittente.

b. salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti col-lettivi ai sensi degli artt. 4 e 24 della l. 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente ovvero presso unità produttive nelle quali sono ope-ranti una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, in regime di cassa integrazione guadagni, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;

c. da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza. Si segnala che dalla lett. b è stato rimosso l’inciso «salva diversa previsione degli accordi sindacali» prima formulato dall’abrogato art. 34 citato.

Nel documento Disciplina delle mansioni (art. 3) (pagine 138-142)