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I contributi moderni a questo concetto

Tendenze emergenti nei contesti metropolitan

2. La città “emergente”: tendenze attual

2.3 Un nuovo stile di vita “suburbano”

2.3.1. I contributi moderni a questo concetto

Le vicende del concetto di stile di vita suburbano sono state vivacizzate sia dal contributo teorico di figure importanti della storia del pensiero sociologico della seconda metà del Novecento, come M. Castells e R. Sennett, sia da ricercatori come H. J. Gans, impegnati nell’analisi di una fenomenologia di matrice prevalentemente anglosassone96.

94 L. Mumford, La città nella storia, op. cit., p. 615.

95 J. R. Gold (1985), Introduzione alla geografia del comportamento, Angeli, Milano; vedi in

particolare il Cap. V, «La città come spazio in cui vivere», pp. 123-181.

96 Molte di queste ricerche sono citate in M. Castells (1974), La questione urbana, Marsilio,

La prima importante verifica empirica a cui il concetto di “stile di vita suburbano” è stato sottoposto è stata opera di H. J. Gans, autore di una nota indagine sull’area suburbana di Levittown97. Se, da un lato, i risultati della sua indagine portarono al consolidamento dell’idea di “aspirazione suburbana”98, quale desiderio di affrancamento dagli eventi imprevedibili e dai contatti inaspettati della città, d’altro canto, il suo lavoro ebbe il merito ulteriore di “perfezionare” il concetto di “stile di vita suburbano”, nelle sue valenze spaziali e in quelle sociali.

Per prima cosa, percorrendo fino in fondo la strada che partiva dal dubbio che la “condizione suburbana”, così come descritta da Mumford, riguardasse non solo i neo-suburbani, quanto piuttosto un’intera classe sociale: quella media. In secondo luogo, allargando la definizione di aree suburbane dalle «zone residenziali a bassa densità, con alloggi unifamiliari, dilaganti alla periferia di gran parte delle metropoli canadesi e americane» anche alle «altre zone costituite da piccoli agglomerati che sono sparsi un po’ dovunque in quello che era una volta un ambiente rurale»99. Era l’anticipazione di una tendenza che solo molto più tardi sarebbe stata evidente: quella per cui l’assegnazione di nuove “forme di vita” a territori come quelli suburbani, più che l’attribuzione di caratteristiche sociali a determinate partizioni geografiche del territorio, rappresentava soprattutto una modalità alternativa di leggere il territorio, sempre meno legata al suo essere “centro” o “periferia”, “suburbano” o “periurbano”, “metropolitano” o “rurale”, ecc.100.

La formulazione della categoria di “area suburbana” serviva, in primo luogo, ad alludere ad un nuovo modo di intendere il rapporto tra spazio e società e,

97 H. J. Gans (1971), Indagine su una città satellite USA, Il Saggiatore, Milano.

98 «I sobborghi rappresentano… uno ‘spazio di aspirazione’ per tante persone che risiedono in

città, costituiscono una meta per molti residenti urbani e consentono a coloro che già vi abitano di sentirsi ‘arrivati’. I valori menzionati riguardano la sfera privata, poiché sono in relazione con la casa ed il giardino, l’aspetto generale del vicinato e lo status sociale», J. R. Gold (1985),

Introduzione alla geografia del comportamento, Angeli, Milano, op. cit., p. 167.

99 H. J. Gans, «La comunità suburbana ed il suo modo di vivere», in L. Balbo e G. Martinotti (a

cura di) (1966), Metropoli e sottocomunità, Marsilio, Padova, p. 3.

solo secondariamente, ad indicare determinate aree territoriali a cui far corrispondere determinate “forme di vita”.

L’elemento veramente innovativo dell’interpretazione di Gans, rispetto a quella di Mumford, stava però in un’affermazione: le specifiche tipologie abitative sperimentate nei territori suburbani non erano determinanti per spiegare le differenze tra le “forme di vita” degli abitanti della città e quelle delle popolazioni dei sobborghi. Per giustificare tali differenze, infatti, sarebbe bastato far ricorso alle variabili dell’età e della classe sociale, invece di chiamare in causa complicate variabili ecologiche: «dal momento che la maggior parte di coloro che si sono trasferiti nei suburbi dopo la guerra appartengono alla lower middle class, il loro modo di vivere è stato generalmente identificato con il modo di vita suburbano. Ma sia che vivano in città o nei suburbi, le famiglie della lower middle class hanno come centro della loro attività e attenzione la casa e la famiglia»101.

Da questa prospettiva, i territori della prima espansione urbano-metropolitana non dovevano tanto la loro specificità a variabili ecologico-ambientali, quanto piuttosto al fatto di aver concentrato in “aree comuni” componenti socio- demografiche peculiari, a partire dalle famiglie giovani della classe media, aspiranti alla proprietà dell’abitazione ed al miglioramento delle condizioni di vita per se stesse e per i propri figli. Secondo tale interpretazione, l’attribuzione di uno specifico “modo di vivere” alle popolazioni suburbane sarebbe sostenuta dall’omogeneità dei caratteri della popolazione residente molto di più che dalle variabili ecologiche ed ambientali.

Con Gans si aprono sterminati campi al sospetto del declino di ogni relazione forte tra i contesti spaziali delle aree suburbane e le pratiche sociali dei suoi residenti. La sola residenza in un’area “ecologicamente” suburbana non può essere ritenuta quindi, di per sé, condizione sufficiente a determinare una

correlazione tra una “cultura suburbana” ed un relativo “modo di vita suburbano”.

Coloro che hanno spiegato il modo di vivere suburbano con i caratteri dell’omogeneità, del conformismo e della competizione sociale, secondo Gans, non si sarebbero accorti di scambiare il modo di vivere suburbano con lo stile di vita della classe media. Essi avrebbero trascurato la circostanza che, se esiste una relazione tra la conformazione spaziale delle aree suburbane e le pratiche sociali dei suoi residenti, questa si deve soprattutto al fatto che i modelli insediativi dell’espansione metropolitana hanno attratto alcuni segmenti della popolazione urbana piuttosto che altri.

Se il modello gansiano ha inflitto un grave colpo ad alcuni aspetti del concetto di stile di vita suburbano, esso non ha, tuttavia, invalidato il movente fondamentale della “scelta suburbana”: l’aspirazione ad un modello di vita alternativo a quello urbano.

Quest’aspirazione rimane, anche in Gans, la principale variabile che accomuna le persone che hanno scelto di risiedere in aree suburbane. Essa si impone come l’elemento centrale della spiegazione del rapporto tra forma del territorio e forma della società.

Poco spazio nella spiegazione dei “modi di vita suburbani” è invece concesso in Gans ai fattori ecologici tipici delle aree suburbane: la distanza tra le abitazioni, il grado di densità, l’accentuata mobilità, la tendenza alla lottizzazione degli spazi aperti tra i proprietari di case unifamiliari, ecc. non sarebbero più importanti delle variabili della classe sociale e dell’età nel determinare gli atteggiamenti ed i comportamenti degli abitanti di tali aree. Secondo Gans, «sia che vivano in città o nei suburbi, le famiglie della lower

middle class hanno come centro della loro attività e attenzione la casa e la

famiglia»102. Mai rassegnata all’idea che i neo-modelli insediativi dell’espansione metropolitana fossero una variabile determinante per spiegare

l’elaborazione di stili di vita differenti da quelli tradizionalmente definiti urbani, la posizione di Gans nei confronti dei sostenitori dell’esistenza di un modo vita ascrivibile alle aree suburbane è stata fortemente critica, fino a raggiungere talvolta toni esilaranti e dissacratori: «certamente con il trasferimento nei suburbi i legami con i vecchi amici e i parenti divengono più difficili e talvolta si allentano fino alla rottura, con un senso di tristezza per coloro che ci tenevano e di gioia per coloro per cui questi rapporti rappresentavano una causa di conflitti. La vita forse è un po’ più lenta nelle zone suburbane, ma coloro che hanno fretta possono vivere in fretta dovunque»103.

Forse per la prima volta in modo così radicale nella storia delle scienze sociali del territorio, qualcuno metteva in dubbio la possibilità di una relazione significativa tra conformazione spaziale e configurazione delle forme sociali, affermando la scarsa influenza, anche nel contesto delle aree suburbane, delle forme spaziali sulle forme sociali. Oltre alla decisione di trasferire la propria abitazione in un’area alternativa a quella della città ed al fatto di condividere questa scelta essenzialmente con persone della stessa classe sociale, pochi altri fattori contraddistinguerebbero, secondo Gans, l’abitare suburbano. Oltre al fatto di concedere minore importanza alle variabili ecologiche, rispetto a quanto aveva fatto Mumford, Gans si distingue anche per un diverso giudizio nei confronti di un carattere centrale del vivere nel suburbio: l’uniformità socio-demografica dei soggetti ivi residenti.

L’omogeneità della popolazione suburbana rappresenta per Gans una fonte di garanzie e di vantaggi ai fini della costruzione di legami intensi e di rapporti di collaborazione tra le diverse componenti della sua popolazione104.

103 Ibidem.

104 H. J. Gans, «La comunità equilibrata», op. cit., pp. 75-94. Su Gans, vedi anche

l’approfondita interpretazione di A. Petrillo (2000), La città perduta. L’eclissi della dimensione

Quell’artificiosità della composizione socio-demografica assegnata, con forte negatività, da Mumford, all’ambiente umano dei “suburbi”, è stata, al contrario, valorizzata da Gans, il quale, invece di vedere nella maggiore omogeneità delle condizioni di vita delle aree suburbane l’antitesi dei ricchi contenuti della vita propriamente urbana, vi ha riconosciuto un elemento favorevole all’elaborazione di una relazionalità significativa: «per la relativa uniformità di classe sociale e di età, è più facile trovare amici, andare d’accordo con i vicini, in generale aver fiducia negli altri, aiutarsi, essere più tolleranti, e collaborare per il raggiungimento di fini comuni»105 .

L’omogeneità artificiosa dei contesti di vita delle aree suburbane non implicava, secondo Gans, necessariamente povertà di stimoli e di sollecitazioni, come sosteneva Mumford e come sosterrà R. Sennett, poiché lasciava delle “zone” scoperte, dove era concesso spazio anche all’imprevisto ed ai contatti tra persone di gruppi sociali diversi, non meno di quanto avvenisse nei quartieri urbani: «alcuni dicono che ciò rende gli individui – specialmente i giovani – ciechi alle amare realtà della vita; ma si può ribattere che l’assenza del contatto diretto con queste realtà riduce l’asprezza nei loro confronti e permette quindi maggiore comprensione. Ad un ragazzo che vive nelle zone suburbane non mancano i contatti diretti con altri problemi: malattie mentali, alcoolismo, liti coniugali. Allo stesso tempo vi è la possibilità di aver contatti con persone in un certo senso diverse. Nelle zone suburbane che ho fatto oggetto di studio, ho notato che persone di condizione sociale o origine etnica diverse sono più pronte a stringere contatti di quanto non lo siano nei quartieri cittadini. […] Può darsi che le zone suburbane offrano la possibilità di fusione che le città non hanno mai offerto»106.

105 H. J. Gans, «La comunità equilibrata», op. cit., p. 17. 106 Ibidem.

Qualche anno più tardi, comunque, il problema del «rapporto fra un certo tipo di habitat e i modi specifici di comportamento»107 non poteva ritenersi ancora definitivamente risolto neanche per Manuel Castells 108.

Castells sostiene la possibilità di assegnare una specifica cultura, specifici atteggiamenti ed uno specifico modo di vivere ad una determinata unità residenziale come quella suburbana: « nelle aree suburbane, non possiamo attenderci la semplice traslazione diretta della «cultura urbana», ma dobbiamo aspettarci piuttosto l’elaborazione di «nuove formule di relazione sociale»109. In questa direzione, lo avevano spinto gli studi empirici condotti da vari ricercatori, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, negli ambienti residenziali delle periferie americane; questi studi avevano raccolto materiale significativo a favore della tesi dell’«avvento di una forma culturale» destinata a superare «in qualche maniera il tipo urbano»110.

Agli inizi degli anni Settanta, lo “stile di vita suburbano” poteva essere descritto in relazione ad un sistema di valori organizzato intorno a quattro elementi:

a) l’esaltazione primordiale dei valori familiari; b) l’intensità dei rapporti formali di vicinato; c) l’inseguimento di un’affermazione sociale; d) lo stile di vita conformista degli abitanti111.

107 La sociologia urbana, secondo Castells, è per definizione orientata alla ricerca di «formule

che permettano di tradurre volumi architettonici o spazi urbanistici in termini di socialità», M. Castells (1972), La questione urbana, op. cit., p. 128.

108 Le ambizioni analitiche di Castells sono ovviamente di portata ben maggiore rispetto a

quella a cui si fa in queste pagine. Questo rappresenta solo un tentativo, peraltro rischioso, di estrapolazione di alcune riflessioni particolarmente rilevanti per questa analisi, ma utilizzate

per scopi di portata ben maggiore da Castells ne La questione urbana.

109 M. Castells, La questione urbana, op. cit., p. 130. 110

Ibidem.

Se non fosse stato per il fatto che i risultati della ricerca empirica non furono a senso unico, Castells non avrebbe dubitato sulla possibilità di attribuire con tanta sicurezza una specifica cultura suburbana ad una determinata tipologia di territorio. Invece, osservando alcune discrepanze emerse dalla ricerca empirica, in Castells, prendeva corpo un sospetto molto simile a quello che aveva già avuto Gans: i fattori che dovevano caratterizzare il modo di vita suburbano non erano altro che elementi del modello di comportamento della classe media americana, contraddistinto principalmente dall’assenza di una relazionalità sociale, anche debole, sul territorio di residenza e da una significativa tendenza al ripiegamento negli spazi e nella relazionalità domestici112.

Secondo Castells, la caratterizzazione sociale pre-definita della popolazione dei nuovi territori dell’espansione urbano-metropolitana aveva, nella definizione dei modelli di comportamento e degli stili di vita, un peso assai maggiore di qualsiasi aspetto ecologico suburbano.

Il dilemma che assalì Castells era che nelle aree suburbane ci trovassimo di fronte a «segmenti spostati della struttura sociale», piuttosto che a «collettività locali che si strutturano in rapporto a un certo uso dello spazio»113. Quando fu definitivamente messo in dubbio che gli aspetti ecologici del territorio suburbano fossero alla base della «specificità di comportamenti e di rappresentazioni»114 dei suoi abitanti, ci fu una sorta di rovesciamento nell’impostazione della “questione suburbana”. Invece di continuare a spiegare l’ambiente sociale delle aree suburbane con l’ambiente spaziale si tentò, al contrario, di spiegare l’ambiente spaziale a partire dai caratteri dell’ambiente

112 B. Berger,«Working-Class Suburb», in M. Castells, La questione urbana, op. cit., p. 132.

113 Walter T. Martin ha distinto tra caratteri «propri» e caratteri «derivati» dei sobborghi

americani. Le aree suburbane sarebbero il risultato del rapporto tra i caratteri propri del loro territorio, costituiti fondamentalmente da fattori ecologici, quali: a) localizzazione all’esterno del centro della città; b) rilevanza delle migrazioni alternate; c) bassa densità della popolazione ed i caratteri derivati, rappresentati da fattori sociali e spiegabili con la selettività socio- demografici della mobilità verso le aree suburbane, che predilige: a) popolazione di giovani coppie e b) appartenenza alle classi medie, W. T. Martin, «The structuring of social relationship engered by suburban residence», cit. in M. Castells, La questione urbana, op. cit., p. 136.

sociale115, ragionando soprattutto sui canali di produzione dello spazio da parte dei gruppi sociali che erano andati ad abitare le aree suburbane: la classe media. Anche se non aveva risolto tutti i problemi interpretativi, tuttavia l’attribuzione della facoltà di “produzione dello spazio” a specifici gruppi sociali sembrava una soluzione valida solo per i casi estremi poiché, di regola, secondo Castells, non poteva esserci una «corrispondenza specifica fra i valori di un gruppo e la comunità residenziale, in quanto unità sociale ed ecologica»116.

Lo spazio non può essere interpretato come una semplice riproduzione diretta delle caratteristiche e dei valori di un solo gruppo sociale, essendo piuttosto la risultante di un processo sociale che bisogna comunque sempre definire nella sua totalità.

Dopo Gans e Castells, il concetto di “stile di vita suburbano” non poteva più contare sulla certezza assoluta dell’esistenza di una relazione tra spazio e società. Pertanto non poteva sostenersi più su modelli interpretativi simili a quelli che avevano permesso di spiegare le comunità tradizionali con gli antichi centri storici e la vita nel suburbio con le aree dell’espansione urbana, correlando, molto genericamente, determinate forme della socialità e determinati territori dalle caratteristiche spaziali mutevoli per densità e dimensione.

Infatti, mentre, da un lato, il fattore spaziale si avviava a diventare soltanto “una” delle variabili che potevano condizionare le pratiche sociali ed i comportamenti degli abitanti di determinate aree, dall’altro, questi ultimi non potevano essere considerati molto più di variabili concorrenti insieme a tante altre nella caratterizzazione dello spazio: «se alcune forme spaziali possono accentuare o indebolire alcuni sistemi di comportamenti, attraverso

115 L’autocorrezione della ricerca sociologica sul territorio è stata spiegata da Castells come la

conseguenza dei deludenti risultati sulla rilevanza del «ruolo del contesto ecologico nella determinazione dei sistemi culturali», Ibidem.

l’interazione delle componenti sociali che vi si combinano, non esiste l’indipendenza dei loro effetti e, di conseguenza, non c’è legame sistematico fra i differenti contesti urbani e modi di vita»117.

A questo punto, il destino del concetto di “stile di vita suburbano” sembrava destinato ad indebolirsi come concetto scientifico per sopravvivere soltanto come un sistema di rappresentazione o come un’iconografia incorporante tendenze culturali, che spingono sì a trovare delle alternative alla dicotomia “urbanesimo”/“ruralità”, ma non sempre giustificano questa ricerca con variabili puramente ecologiche.

Se l’urbanesimo di Wirth era parso a molti soprattutto una riproposizione della descrizione della società moderna, la vita nel suburbio sembrava, per contrappunto, una semplice traslazione della descrizione della società alla rappresentazione di talune forme della spazialità emergente, con il grave difetto di trascurare troppo spesso le variabili spaziali a vantaggio di quelle sociali. Sebbene fin ad oggi l’esistenza di un collegamento tra “scelta residenziale di tipo suburbano” e “stile di vita” non sia stata mai del tutto smentita, spesso le nuove periferie dell’urbanizzazione generalizzata continuano ad essere rappresentate, sia sul piano simbolico sia sul piano strumentale, come le situazioni più favorevoli alla realizzazione dei valori di cui risulterebbero portatrici le classi medie: «importanza della vita familiare, carriera professionale diretta da una mobilità ascendente regolare, interesse portato al consumo»118, ecc. Rimane il fatto che, fino ai nostri giorni, non è venuta mai meno una certa fiducia nella persistenza di una relazione, seppur non deterministica, tra le forme ed i modelli dell’insediamento e le pratiche sociali che ivi insistono.

117 Ibidem.

118 W. Bell, «Social Choice, Life Styles and Suburban Residence», in M. Castells, La