• Non ci sono risultati.

Gli sviluppi di questo stile di vita in Italia

Tendenze emergenti nei contesti metropolitan

2. La città “emergente”: tendenze attual

2.3 Un nuovo stile di vita “suburbano”

2.3.3 Gli sviluppi di questo stile di vita in Italia

Quando in Italia, a partire dalla fine degli anni Sessanta, si cominciò a parlare di diffusione urbana, il ritardo accumulato, soprattutto rispetto ai paesi anglosassoni e francofoni132, fu evidente soprattutto a chi osservò il considerevole condizionamento della più accreditata letteratura americana e nord-europea sulle prime ricerche e sui primi studi italiani.

L’idea per la quale, alla base della dispersione delle unità insediative oltre i confini della città centrale o della crescita endogena delle periferie, doveva esserci una combinazione di «oggettive repulsioni nei confronti delle condizioni di vita dei centri urbani» e di «esigenze difensive nei confronti dell’insicurezza e dell’anomia dell’ uomo nella folla urbana»133.

129 R. Sennett, Usi del disordine, op. cit., p. 85.

130 Le espressioni semplificazione e purificazione rimandano al concetto di igienizzazione di

M. Foucault. Vedi M. Foucault, Eterotopia. Luoghi e non-luoghi metropolitani, a cura di T. Villani, Mimesis, Milano 1997.

131 R. Sennett, Usi del disordine, op. cit., p.148.

132 Per una documentazione sulla ricchezza del contributo francese all’analisi della “spazialità

periurbana” vedi M. Bergamaschi, «Il Periurbano: una specificità ormai riconosciuta. Il dibattito in Francia», in Sociologia Urbana e Rurale, n. 69, 2002.

133 A. Ardirò (1967), La diffusione urbana. Le aree metropolitane e i problemi del loro

Ben presto si affermò la tesi che le une e le altre fossero in stretta relazione con un importante «mutamento degli stili di vita»134 sia urbani, sia rurali. Se A. Ardigò aveva precocemente rivelato l’interesse della sociologia italiana per la dispersione dei sistemi insediativi nelle aree dell’espansione urbana, per molto tempo, tuttavia, le questioni territoriali italiane indugiarono, con poche eccezioni, sui temi della concentrazione e del decentramento, o della delimitazione delle nascenti aree metropolitane.

Le riflessioni sulle nuove formazioni territoriali furono pertanto, almeno inizialmente, funzionali a questi compiti ritenuti primari. Si può parlare, in questo caso, di effetti collaterali dell’importazione di un modello interpretativo di matrice anglosassone nell’impianto empirico e teorico che spiegava il passaggio dalla metropoli all’area metropolitana fondamentalmente in termini statistici e che, pertanto, affrontava il problema con metodi parimenti statistici.

134 B. Secchi, «Le condizioni sono cambiate», in B. Secchi (1989), Un progetto per

Fu G. Martinotti135, all’inizio degli anni Novanta, a segnare, per l’Italia, una svolta negli studi sociologici sulle nuove conformazioni assunte dal territorio abitato.

Martinotti dimostrò la rilevanza dell’apporto demografico dei territori periferici alla crescita delle aree metropolitane, azzerando così lunghi anni di speculazioni intorno alle irrisolvibili questioni relative all’incremento/decremento demografico delle aree metropolitane e, soprattutto, deviando finalmente molti degli interessi del tempo verso gli aspetti evolutivi della morfologia sociale dei territori dell’espansione metropolitana, dopo che, dal punto di vista statistico e geografico, restava ormai ben poco da dire.

Fu così che, da quel momento in poi, la ricerca sociologica di territorio136 si orientò, molto di più di quanto non fosse avvenuto in passato, a spiegare come, al di là delle vicissitudini strettamente demografiche, nuove popolazioni e quindi nuovi utilizzi del territorio e nuovi modi di comportamento stessero conquistando la platea di nuovi habitat umani.

Così negli ultimi anni, l’urbanistica, l’architettura, la geografia, l’antropologia e la storia si sono trovate concordi nello spalleggiare la sociologia del territorio nell’ambizioso progetto di studiare non solo l’evoluzione delle forme fisiche, ma anche di quelle sociali ed antropologiche dell’habitat urbano contemporaneo.

Il primo risultato fu quello di stabilire, una volta per sempre, che la specificità del caso italiano non poteva essere in alcun modo offuscata da processi di assimilazione al modello anglosassone: tanto l’urbanizzazione diffusa quanto l’espansione urbano-metropolitana, in Italia, avevano luogo non su un territorio vergine, come generalmente accadeva nel resto dell’Europa e nel Nord

135 G. Martinotti (1993), Metropoli. La nuova morfologia sociale della città, Il Mulino,

Bologna.

136 Molti resoconti di ricerche sui modelli di sviluppo territoriale italiani si trovano in A.

Clementi, G. Dematteis, P.C. Palermo (a cura di) (1996), Le forme del territorio italiano, Laterza, Roma-Bari.

America, ma piuttosto tra le maglie di situazioni storicamente e geograficamente assai più “consistenti”137.

Questa presa di distanza non ha però impedito, sulla scia della tradizione anglo-americana, di vedere, nelle estensioni suburbane e nei territori dell’urbanizzazione diffusa, il campo della elaborazione di nuove pratiche sociali, indotte da un originale «sistema di relazioni fra gli oggetti e gli abitanti»138.

L’idea di fondo era che la tipica spazialità periurbana, ponendo le persone in una relazione con lo spazio completamente diversa da quella tipica dell’urbanesimo, dovesse, per forza, favorire una riformulazione dei comportamenti e degli stili di vita dei suoi abitanti e che il concetto di stile di vita suburbano, con qualche correzione, poteva funzionare ancora molto bene per spiegare queste forme di vita piuttosto recenti.

Così sì è parlato di modi di vita della città dispersa (Secchi)139, di stili di vita

che popolano la città diffusa (Dal Pozzolo), di vita quotidiana del nuovo abitante metropolitano (Martinotti), di urbanità subalterna (Gambi) e di stile di vita suburbano del «metropolitano di area» o del «suburbano permanente»

(Sernini)140, ecc., a testimonianza della convinzione che ci dovesse essere uno

137 P. Guidicini (a cura di) (2000), “luoghi” metropolitani. Spazi di socialità nel periurbano

emergente per un migliore welfare, Angeli, Milano; G. Pieretti (a cura di) (2000), La persistenza degli aggregati. Cittadini e welfare locale in un’area periferica di Bologna,

Angeli, Milano; B. Secchi, «Città moderna, città contemporanea e loro futuri», in AA.VV. (1997), I futuri delle città. Tesi a confronto, Angeli, Milano, pp. 41-70. In particolare Secchi ricorda come la città contemporanea affondi le sue radici nella città moderna e che di questa non può eliminare ogni traccia.

138 F. Bertuglia, «Le tipologie nella città diffusa», in L. Dal Pozzolo (a cura di) (2002), Fuori

città, senza campagna. Paesaggio e progetto nella città diffusa, Angeli, Milano, p. 108.

139 «In una grande città dispersa si lavora in un luogo, si abita in un altro distante alcuni

chilometri, si ha la fidanzata in un paese ancora diverso, insieme si va a ballare la sera in un terzo, al bar con gli amici in un quarto, la domenica alla partita in un altro luogo ancora […] Il cinema, la farmacia, la scuola, l’ospedale, il supermercato, la palestra, i negozi si trovano distanti tra loro quanto lo sono per un cittadino di Milano o Roma, ma lo spazio tra di loro non è tessuto urbano, ma campagna, condotta da piccole aziende familiari che hanno raggiunto una propria stabilità», B. Secchi, «Piani di area vasta», in B. Secchi (1989), Un progetto per

l’urbanistica, Einaudi, Torino, p. 255.

140 «Il mutante in tangenziale, che ha imparato a muoversi per ogni affare, incombenza, affetto

stretto legame tra l’espressione fisica delle trasformazioni occorse nei paesaggi territoriali contemporanei ed i caratteri dei suoi abitanti, nonostante la difficoltà di enunciare tale legame141.

Sebbene fosse stato riconosciuto che le nuove formazioni territoriali italiane presentassero una morfologia fisica ed una combinazione di sistemi insediativi di una complessità assai superiore a quella dei paesi anglosassoni, il perseguimento di tale obiettivo aveva portato all’approntamento di un modello interpretativo di massima che tenesse conto del fatto che, dallo scardinamento degli spazi tradizionali dalla forma compatta e definita della città moderna, stessero affiorando configurazioni del territorio talmente anomale che, per forza di cose, dovevano essere depositarie di nuove pratiche sociali che si sostituivano ed, in parte, affiancavano quelle tradizionali.

Le scienze urbane italiane hanno tendenzialmente contrassegnato i “territori esplosi” dell’espansione metropolitana, la città diffusa, le conurbazioni, le campagne urbanizzate, ecc. come luoghi della collocazione di inedite tipologie di residenza e dell’aumento della complessità dei modi di utilizzo del territorio, nonché dell’elaborazione di nuovi stili di vita e della sperimentazione di nuove strategie individuali e famigliari di organizzazione del tempo e della mobilità. Agli occhi degli interpreti della più recente conformazione urbana, questi territori rappresenterebbero i luoghi dell’elaborazione di pratiche sociali alternative.

l’ultima figura del vivere periferico, ma ormai si può dire che la dimensione periferica in lui è superata, è diventata uno status perpetuo e ammorbidito da suburbano permanente, da metropolitano di area e non più da metropolitano del centro e neppure da metropolitano di quelle spasmodiche e sempre più trascurate fasce intermedie di saldatura tra centro, antiche periferie ormai semicentrali, periferie degli ultimi decenni, frangia esterna. È un essere da frangia esterna, assimila lo stile americano del vivere in automobile tra un ipermercato, un centro direzionale e una residenza pseudourbana in piccoli paesi trasformatisi in suburbio all’italiana», M. Sernini (1988), La città disfatta, Angeli, Milano, pp. 433-434.

141 «È più facile dire, paradossalmente, cosa non sono gli abitanti di cui parliamo piuttosto che

identificare con precisione cosa e chi sono. Essi appaiono infatti sfuggenti, rispetto a tali classificazione, e solo in modo molto forzato inseribili in un qualsiasi tipo di tassonomia […] Dalla nostra ricerca l’abitante del periurbano emerge come un non-tipo», G. Pieretti, «Città perfetta e crisi del razionalismo», in Sociologia Urbana e Rurale, n. 69, 2002, pp. 138-139.

Permane il retaggio dell’idea che tra le forme spaziali, espressione di inconsueti rapporti tra spazi edificati e spazi non-edificati, e le forme sociali, espressione della combinazione di nuove pratiche di vita, esista una correlazione significativa. Il presupposto implicito di tale tendenza interpretativa è che le nuove configurazioni del territorio siano causa o effetto di nuove forme del vivere, mentre il suo elemento chiave è la tesi, che la spazialità e la socialità periurbana siano l’esisto di un progetto latente di semplificazione simultanea delle forme dello spazio e delle forme della società142.

Da ciò l’affermazione anche in Italia di modelli di lettura dello stile di vita suburbano e delle sue declinazioni143 come l’espressione del successo delle strutture di protezione “domestiche” o “famigliari”, il consolidamento delle quali sarebbe stato impossibile senza l’investimento di notevoli risorse nella residenza ordinaria ed il contemporaneo rifiuto della città costruita nei primi cinquant’anni del XX secolo, dove le possibilità di impiego di denaro nello spazio privato erano invece assai più limitate144.

A queste emergenti rappresentazioni dell’abitare sono state assegnate precise responsabilità nella configurazione diffusa e dispersa dei nuovi territori dell’espansione metropolitana: «la casa isolata su lotto, cui molta parte dei fenomeni di dispersione si deve imputare, è divenuta oggi ed improvvisamente, rispetto alla storia lunga della città europea, aspirazione e pratica di consumo

142 R. Sennett, La coscienza dell’occhio, op. cit.. Relativamente all’evoluzione del rapporto tra

“interno” ed esterno” si veda il Cap. 1 «Il rifugio», pp. 17-52.

143 «Sia che il processo di dispersione insediativa avvenga attorno ai nuclei urbani, sia lungo le

infrastrutture della mobilità, oppure lungo i principali attrattori del paesaggio, la configurazione ultima e ideale non può che essere rappresentata dal tappeto isotropo. Se l’alta concentrazione enfatizza concettualmente i contrasti e le differenze, il suo opposto, l’iper- dispersione, esalta la genericità, l’uniformità e l’isotropia», «X-treme Europe. Scenarious for european city and territory», in New Territories, Istituto di Architettura dell’Università di Venezia (Dottorato in Urbanistica), sito web.

144 B. Secchi, «Diario di un urbanista», in Quaderno della ricerca sulle trasformazioni

pervasiva»145 e ancora «l’abitazione moderna, perduta l’originalità culturale e

smarriti i contenuti tradizionali, ne ha acquistati altri, più nuovi. Essa è il luogo esclusivo della vita privata, che non si interseca più con quella pubblica, ma che tende a distaccarsene ed a opporvisi. La casa, racchiudendo uno spazio, crea una distinzione tra interno ed esterno, due luoghi che oggi si allontanano e si contrappongono. Il mondo esterno significa ambiente di lavoro, relazioni sociali e di conseguenza tensioni continue che è impossibile eliminare: la casa invece è un microcosmo in cui regnano l’ordine, la tranquillità, gli affetti, verifica il compito di contenere e ricomporre le contraddizioni e le conflittualità che traggono origine dalla sfera pubblica, attraverso la realizzazione di un sistema di valori tutti privati. Basta pensare alle belle immagini di interni che i mass-media quotidianamente propongono, interni perfetti in cui famiglie altrettanto perfette conducono un’esistenza appartata e serena, realizzando ‘un’arte del vivere che sembra essere il traguardo della felicità a portata di tutti. […] La privatizzazione della dimora e le tipologie abitative stereotipate comunicano ‘un’arte del vivere che, sia pure falsa e nella maggior parte dei casi irrealizzabile, sembra essere l’unica possibile»146.

La rappresentazione dell’abitare suburbano diventava, agli occhi dei suoi interpreti, la manifestazione inequivocabile della «rilevanza di tre grandi miti: abitare nel verde, abitare uno spazio proprio, abitare sicuri»147. Questi tre aspetti dell’abitare nel suburbano rappresentano ancora oggi condizioni di notevole rilevanza agli occhi delle persone intervistate che hanno deciso di abbandonare la città di Bologna per vivere in uno spazio del periurbano rappresentato dalla frazione di Funo di Argelato, oggetto dell’indagine empirica del presente lavoro.

145 B. Secchi, «Città moderna, città contemporanea e loro futuri», in AA.VV., I futuri delle

città, op. cit., p. 62.

146 R. Giorgi, «Trasformazioni della struttura urbanistica e dei modelli abitativi in un centro

marinaro», in AA.VV. (1981), Antropologia della casa. Struttura dell’abitato e rapporti

sociali, Edizioni Carabba, Lanciano.

147C. Merlini, «Recinti abitati. Osservazioni sulla casa unifamigliare», Relazione presentata al

Il concetto della casa come rifugio, unitamente all’idea della casa uni- famigliare come espressione del senso di territorialità, avrebbero favorito la riduzione dell’abitare al risiedere, la diminuzione dell’investimento di risorse temporali ed affettive verso ciò che è all’esterno della residenza privata148, indipendentemente da quanto possa essere “vero” che ci sia poco di cui interessarsi di un ambiente caratterizzato dal susseguirsi di piccole imprese, grandi infrastrutture logistiche, spazi agricoli, analoghe residenze chiuse in se stesse, costellati da centri storici preesistenti all’esplosione metropolitana: «nelle nostre case staremo bene qualsiasi cosa possa succedere là fuori! È l’esasperata chiusura nel privato. Una volta si investiva quasi tutto nella città, nel pubblico. La casa era modesta, serviva per lo stretto indispensabile. La vera ‘abitazione’ era la città che doveva essere bella, accogliente, adatta per il passeggio, per l’incontro, per la spesa, per il gioco. Oggi si è invertita la tendenza, si investe tutto nel privato, nella casa, che diventa sempre più rifugio e fortezza»149.

Pur senza distinguere chiaramente tra cause ed effetti, la sociologia del territorio italiana ha tendenzialmente spiegato la progressiva enfatizzazione dell’abitazione e la «chiusura della famiglia entro la privacy dell’alloggio moderno»150 insieme alla contrazione dello spazio pubblico: «la città diffusa erode ‘strutturalmente’ lo spazio pubblico, dotando ogni sua unità abitativa di

148«Mi è sembrato che nelle nostre società industriali la famiglia tenesse un posto immenso e

che mai, forse, avesse influito in modo così decisivo sulla condizione umana […] Il sentimento della famiglia si presenta come una delle grandi forze del nostro tempo», P. Ariès (1968),

Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, Laterza, Bari, p. 6. La stretta relazione tra

ipertrofia affettiva della famiglia nucleare e modifiche della città, anche se temporalmente anticipata, è un’idea di Philippe Ariès, come ricorda bene anche Bernardo Secchi. «la famiglia nucleare con la sua ipertrofia affettiva, destinatario ideale […] delle modifiche della città auspicate e realizzate durante tutta l’ultima parte della modernità, è in gran parte un’invenzione della società urbano-industriale, una sorta di compensazione alla perdita dei luoghi della sociabilità della città pre-industriale. Sino a tutto il XVIII secolo, nella società di ancien régime, la formazione dell’individuo avveniva in un campo di relazioni più vasto che investiva culturalmente, professionalmente e affettivamente tutta o una parte considerevole della società», P. Ariès, cit. in B. Secchi (2000), Prima lezione di urbanistica, Laterza, Roma-Bari, p. 87.

149 F. Tonucci (1996), La città dei bambini, Laterza, Roma-Bari, pp. 16-17.

una pertinenza esterna, lottizzando tra innumerevoli proprietari lo spazio aperto, il giardino, l’orto, lo spazio gioco dei bambini»151.

Una volta diminuita la domanda di spazio pubblico era ovvio che diminuisse anche l’offerta dello stesso. Le piazze, i portici, i corsi sono usciti dall’orbita degli individui ancor prima di quando siano usciti dai programmi della progettazione152.

Stabilita nella dispersione dei singoli elementi dei neo-sistemi insediativi la variabile ecologica per eccellenza della spazialità contemporanea sono state, di conseguenza, spiegate una parte rilevante della «organizzazione economica ed ecologico-insediativa»153 dell’urbanizzazione diffusa e una parte altrettanto importante delle pratiche sociali che attecchivano nelle formazioni territoriali emergenti. Ha preso così corpo la tesi per cui le abitazioni, sempre più microcosmi residenziali e sempre più ripiegate al loro interno, dovessero diventare sempre più concorrenti spietati dello spazio pubblico; più le prime si sarebbero “perfezionate”, più lo spazio esterno alla residenza privata avrebbe perso importanza, fino a che non sarebbero stati stravolti gli equilibri vecchi di anni tra spazio pubblico e spazio privato154.

A quelle che erano le peculiarità dello spazio pubblico – la casualità e l’imprevedibilità degli incontri – si sarebbe rinunciato, con pochi rimpianti, per

151 L. Dal Pozzolo, «Schegge di centralità», in L. Dal Pozzolo (a cura di), Fuori città, senza

campagna, op. cit., p. 82.

152 Le piazze, i portici, i corsi, i sagrati, i larghi, le stesse strade e le vie sembrano […] non

avere letteralmente più alcun senso nelle conurbazioni contemporanee. […] Non sono più categorie progettuali utilizzabili perché non esistono più sul piano reale delle cose, perché la gente la domenica va nei centri commerciali, nei parchi-giochi […]. Ma non nelle piazze. […] Forse per andare avanti dobbiamo […] immergere le mani in quegli strani spazi pubblici (semipubblici, semiprivati, pubblico-privati?), dove la gente, dove tutti noi andiamo la domenica, P. Desideri, «Tra nonluoghi e iperluoghi: verso una nuova struttura dello spazio pubblico», in P. Desideri, M. Ilardi (a cura di) (1997), Attraversamenti. I nuovi territori dello

spazio pubblico, Costa&Nolan, Genova, pp. 18-20.

153 M. Torres (2000), Luoghi magnetici. Spazi pubblici nella città moderna e contemporanea,

Angeli, Milano, p. 40.

154 Un interessante lavoro sullo sviluppo dello spazio pubblico è stato realizzato da Marco

Grieco, in M. Grieco, Spazio Pubblico: dall’agorà al cyberspazio, Tesi di laurea, Relatore A. Besussi, Corso di Laurea in Scienze Politiche, Università degli Studi di Milano, anno accademico 1997/1998.

inseguire l’aspirazione massima di una vita il più possibile al riparo dai conflitti e dalle contraddizioni presenti nelle strade della città155.

In sintesi, l’atteggiamento blasé, invocato da Simmel per descrivere le forme di difesa messe in atto dall’individuo metropolitano di fronte ai crescenti livelli di complessità del suo ambiente di vita, avrebbe assunto forme sempre più raffinate fino a trovare compimento nel rafforzamento dell’intimità della vita famigliare. E questo sarebbe avvenuto a scapito di tutte le altre sfere di relazione estese ed ovviamente dei luoghi deputati al loro svolgimento: «tutta l’evoluzione dei nostri costumi contemporanei è incomprensibile se si trascura questo prodigioso ingigantire del sentimento familiare. Non è l’individualismo che si è affermato, è la famiglia. Ma la famiglia si è estesa nella misura in cui si concentrava la socievolezza. Tutto si svolge come se la famiglia moderna si sostituisse alle vecchie relazioni sociali […] La storia del nostro costume si riduce in parte al lungo sforzo di appartarsi dagli altri, di tagliarsi fori da una società la cui pressione non è più tollerata. […] La vita professionale e la vita familiare hanno soffocato l’altra attività che in altri tempi invadeva invece tutta la vita: quella dei rapporti sociali»156

L’estinzione dello spazio pubblico157, compensata dal progressivo aumento della domanda di spazio privato e di spazio semi-pubblico, diventa, nella concettualizzazione dello stile di vita suburbano, il fattore determinante per la rappresentazione della spazialità suburbana. Di conseguenza, le interpretazioni della vita suburbana tengono conto del fatto che l’accoppiamento strutturale tra spazio e società nelle aree periurbane, nella città diffusa, nelle frange

155 Ida Farè parla di «sostituzione di una sociabilità anonima quale quella della strada, della

corte, del castello, della piazza, della comunità con una sociabilità ristretta che si confonde con la famiglia o, ancora, con lo stesso individuo». I. Farè, «Storia degli spazi come storia dei