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La mobilità nel Comune capoluogo

Dinamiche demografiche dell’area bolognese

3. Il quadro delle principali tendenze nella provincia bolognese

3.2. Il quadro delle principali tendenze nel Comune di Bologna

3.2.5 La mobilità nel Comune capoluogo

Come per i dati inerenti la mobilità registrati nella Provincia di Bologna i seguenti risultati36 riguardano esclusivamente la mobilità di breve raggio, vale a dire il territorio della Provincia di Bologna.

A livello comunale, sono poco più di 170.000 le persone che quotidianamente raggiungono un luogo di studio o di lavoro, con un calo rispetto al censimento 1991 pari al 14,5%; in termini di incidenza percentuale sulla popolazione residente, si registra un calo dal 49,5% al 46%. La diminuzione riguarda principalmente i pendolari che si muovono per ragioni di lavoro (-16,10%); a differenza però di quanto osservato per gli spostamenti relativi ai pendolari residenti nel complesso della provincia di Bologna, a livello del solo Comune capoluogo risultano in calo anche i movimenti per ragioni di studio che, già ridotti dal 1981 al 1991 del 30%, si riducono di un ulteriore 7,5%.

36 I risultati relativi alle principali tendenze riguardanti la mobilità dei bolognesi sono frutto di

elaborazioni fornite dal Settore Programmazione, Controlli e Statistica del Comune di Bologna pubblicati in, Bilancio/budget 2006, Piano dei lavori pubblici e degli investimenti 2006-2008,

La più bassa incidenza dei pendolari sul complesso degli abitanti di Bologna è ovviamente da ricercare nella composizione per età dei bolognesi che vede un’ampia presenza di persone in età avanzata e contingenti giovanili meno numerosi.

Tra i residenti a Bologna aumenta, sia pur leggermente, la quota di pendolari che riesce a raggiungere la propria meta in tempi brevissimi, al di sotto dei 15 minuti. L'incremento è riferibile però ai soli spostamenti degli studenti che beneficiano evidentemente di un notevole risparmio di tempo approfittando del passaggio in automobile. Al contrario, tra i lavoratori, cala la percentuale di persone che rientrano nelle prime due fasce (cioè entro la mezz’ora) e crescono le due classi successive, in particolare quella che va dai 30 ai 60 minuti.

Le autovetture circolanti nel 2004 erano a Bologna più di 206.000 unità, in pratica due auto ogni abitante. Rispetto ad altri comuni metropolitani italiani, Bologna si caratterizza per un tasso di motorizzazione tra i più elevati a livello nazionale.

Nella città di Bologna la popolazione ha progressivamente spostato la propria attenzione verso un mezzo più economico e più pratico per l’uso cittadino, la moto. Negli ultimi anni, si è verificata una crescita esponenziale del numero di motocicli posseduti dai cittadini bolognesi, si è passati infatti dai poco più di 28.000 unità del 1991 ai quasi 44.500 del 2004 ( cioè il 59% in più).

Osservando gli ultimi dieci anni, si può notare che per le autovetture il numero delle immatricolazioni, è stato in deciso aumento fino al 2001, scendendo poi leggermente nei due anni successivi per poi riportarsi ad un valore elevato nel 2004 (poco meno di 24.000 auto immatricolate). La crescita complessiva nel decennio trascorso è stata dunque del 43%. Per i motocicli si è passati invece da poco più di 1.000 del 1990 a quasi 7.000 nel 2000; sono seguiti poi alcuni anni di calo delle prime iscrizioni con una ripresa nel 2004 a quasi 5.000 unità.

3.3 L’avvicinamento alla ricerca empirica

Bologna è una di quelle realtà urbane che cominciano ad essere investite - anche se con un certo ritardo rispetto ad altre metropoli italiane - da un fenomeno di diffusione residenziale, registrato ampiamente dai dati statistici riportati in precedenza, definito oggi sempre più spesso con il termine

sprawltown37. Un aspetto specifico tipico della trasformazione metropolitana è

la tendenza al decentramento residenziale, che fa sì che una quota crescente di residenti nel capoluogo scelga di trasferirsi in un altro comune della provincia. Questo fenomeno caratteristico di molte realtà urbane “mature” è legato in parte alle trasformazioni strutturali che hanno investito la città di Bologna, i dati statistici riportati dalle analisi statistico-demografiche, mostrano infatti alcuni aspetti tipici di questo macro-cambiamento. Due tendenze di fondo sembrano emergere con evidenza dall’analisi dei dati: un progressivo calo demografico della città di Bologna accompagnato da un invecchiamento della popolazione e una redistribuzione selettiva della popolazione sul territorio metropolitano attraverso un fenomeno di decentramento residenziale. La vitalità della città è riconoscibile nella sua continua trasformazione, tuttavia in epoca più recente fattori diversi contribuiscono a tale mutamento come le innovazioni tecnologiche, i mutamenti negli stili di vita, le nuove sensibilità nei confronti dell’ambiente, i grandi movimenti migratori, il “costo” della città concentrata e l’accresciuta mobilità che ne hanno accelerato talmente i cambiamenti da determinare una rottura sempre più evidente. Bologna tende a perdere popolazione che si diffonde nel territorio, in quella che un tempo era la campagna, dando luogo, in generale a nuove forme di organizzazione e

37 Il termine inglese sprawltown, è una parola introdotta negli USA negli anni Sessanta per

indicare la crescita urbana senza forma, letteralmente significa “sdraiato”; non esiste parola equivalente nelle lingue europee. Periferia, periurbano, conurbazione, nebulosi urbana, exurbia, ovvero città diffusa sono tutti termini per descrivere un fatto geografico che si è ripetuto in tanti modi diversi, come lo sprawl americano.

contemporaneamente producendo una modifica del concetto stesso di città e del suo uso.

In sintesi i dati censuari analizzati, fino ai più recenti del 2004, confermano, per la città di Bologna e la sua area metropolitana, il trend di continua de- urbanizzazione iniziato in questi territori a partire dalla seconda metà degli anni ’70.

I dati riportati riflettono una realtà dove non solo si è proseguito e rafforzato il processo di diffusione urbana, generato dal rapporto città- capoluogo e centri minori della cintura, ma è proseguito, ed a tassi sostenuti, anche il processo di dispersione, coinvolgendo anche un gran numero di piccoli comuni della pianura e di prima collina.

Nell’evoluzione dei caratteri del territorio bolognese, che ha portato alle dinamiche economico/sociali di questi anni e all’assetto territoriale attuale, possono essere distinte in estrema sintesi due fasi: la prima si protrae dall’immediato dopoguerra sino alla seconda metà degli anni ’70, essa conclude il grande ciclo della trasformazione industriale del territorio bolognese, iniziatosi sul finire del XIX secolo, ed ha come esiti specifici dapprima la sua evoluzione verso un assetto tipico delle “metropoli di prima generazione”. La seconda conduce dagli anni ‘80 ai giorni nostri ed ha come elemento caratterizzante la trasformazione in senso terziario. In essa iniziano a stagliarsi le forme della “metropoli di seconda generazione”, in cui sono fondamentalmente avvertibili i temi della cosiddetta globalizzazione.

Come negli anni ’50 e ’60 il centro urbano torna ad essere il fulcro attrattore degli spostamenti pendolari, ma con più di una differenza, la prima è quella relativa al carattere sociale dei pendolari. Mentre negli anni del dopoguerra e durante tutti gli anni ’60 la città era destinazione quotidiana per operai residenti in campagna, ora lo è per impiegati che vivono nelle zone rurali dopo essere fuggiti dalla congestione urbana. La seconda differenza è il numero e la natura

stessa degli spostamenti: i tragitti sono più lunghi e i viaggi più numerosi e meno sistematici.

Un altro aspetto che dovrà essere tenuto in considerazione per le generazioni future e per le politiche inerenti il piano di programmazione, sono le conseguenze ambientali e territoriali di questo fenomeno. La quantità del territorio provinciale occupato dalla città e dalle infrastrutture extraurbane ha registrato una crescita marcata dai 24 kmq degli anni ’50, ai 104 degli anni ’80 agli attuali 211 kmq.

Il progressivo aumento dei “pesi” residenziali dei capoluoghi nei piccoli comuni e delle loro frazioni non consentirà alcuna alternativa all’uso generalizzato dell’auto che ha visto in questi anni uno straordinario incremento. Il modello insediativo proposto parte dalla considerazione che l’evoluzione tendenziale non crea nuove centralità, ma dilata quelle esistenti, aumentando così l’area della congestione e sprecando le potenziali economie di agglomerazione che potrebbero formarsi nei poli urbani minori più periferici. L’accessibilità verso il capoluogo può avvenire solo con il mezzo privato su strade fortemente congestionate. Allo stesso tempo questo fenomeno, come dimostrano i dati, ha coinvolto l’area della “corona esterna” verso la pianura e la collina; lo sprawl ha da alcuni anni interessato anche queste aree un tempo considerate “periferiche”.

La congestione viaria è arrivata fino ai comuni della seconda cintura bolognese dove i piccoli centri abitati sono quelli che percentualmente hanno visto negli ultimi dieci anni la maggior crescita. Nonostante questi centri siano parzialmente investiti dal decentramento residenziale bolognese, ciascuno di essi ha mantenuto condizioni di sufficiente separazione fisica rispetto all’estensione banalizzante delle periferie, e pur in diverso grado, una fisionomia ben individuabile, dovuta sia a caratteri storici, sia a condizioni di “tenuta” sociale ed economica. Nel capitolo successivo verranno presi in considerazione i mutamenti avvenuti in un comune della seconda cintura,

Argelato, investito da una profonda trasformazione nel corso degli ultimi dieci anni. Basti pensare che l’incidenza della popolazione emigrata da Bologna nel corso del periodo 1996 - 2004, corrisponde al 35% dell’intero flusso immigratorio verso questo comune della provincia, a riprova del fatto che gran parte della crescita demografica che si registra nei comuni periurbani è dipesa dal movimento migratorio dal polo urbano.

3. 4 I metodi della ricerca

Dal momento che le conclusioni a cui perviene una ricerca sociologica sono il risultato dei metodi di cui il ricercatore si è avvalso, è necessario che descriva i metodi utilizzati al fine di dare un quadro fedele dell’attendibilità, della validità e dei limiti dei dati raccolti.

L’analisi del decentramento residenziale nell’area metropolitana di Bologna ha fornito lo spunto per mettere alla prova alcuni strumenti di ricerca applicabili ai fenomeni metropolitani, nell’ipotesi che nell’attuale fase di trasformazione urbana «le categorie concettuali tradizionali non sono più in grado di spiegare in modo coerente i dati empirici, mentre gli stessi strumenti di osservazione appaiono sempre più puntati sugli oggetti errati e utilizzati con lunghezze d’onda che non colgono l’intero spettro dei fenomeni»38. Negli studi empirici sulle recenti trasformazioni delle realtà urbane mature si registra, da un lato, una notevole diffusione di ricerche basate sull’utilizzo di basi di dati statistiche. Dall’altro abbiamo ricerche realizzate prevalentemente attraverso strumenti di indagine di tipo «qualitativo», come l’osservazione partecipante, le storie di vita, i colloqui in profondità. Queste ultime affrontano spesso le dinamiche

urbane con un taglio «micro», illuminando l’impatto dei processi in atto a livello globale sulle strategie di vita individuali.

In questa sede si è scelto di concentrare l’attenzione su due metodologie di ricerca in maniera particolare, l’analisi statistica supportata dalla rappresentazione cartografica attraverso l’utilizzo della tecnologia Gis39 e la realizzazione e l’analisi di interviste in profondità su argomenti mirati.

La scelta è stata quindi di far convivere due metodologie di ricerca di natura diversa ed in genere collocate su versanti opposti rispetto allo spartiacque che divide gli approcci «qualitativi» alla ricerca da quelli «quantitativi»40. La volontà di integrare questi due metodologie nasce da alcuni assunti legati alla natura del fenomeno in esame. Il decentramento residenziale in contesti metropolitani maturi si manifesta infatti come un fenomeno non riconducibile esclusivamente all’azione di vincoli strutturali, ma legato anche all’elaborazione di specifiche strategie abitative da parte di certi segmenti della popolazione urbana: «la mobilità residenziale della popolazione sul territorio testimonia in parte i processi di espansione dell’area urbana trainati dalla ridislocazione dell’apparato produttivo sul territorio, ma segnala anche una autonoma domanda di insediamento residenziale conseguente a mutate esigenze dell’abitare (fuga dalla congestione, rarefazione dell’offerta immobiliare nelle aree centrali, per tipologie e forme contrattuali richieste,

39 I Gis (Sistemi Informativi Geografici) per la gestione del territorio possono essere

considerati come la risposta ai limiti, da un lato, di una geografia positivista incapace di rappresentare le caratteristiche distintive dei luoghi, e dall’altro, di una scienza statistica secondo logiche prevalenti a-spaziali. Questo strumento risponde all’esigenza di analisi spaziali complesse, basate sulla considerazione della maggiore quantità possibile di informazioni rilevanti. Il primo settore di applicazione di questi nuovi sistemi fu quello della gestione delle risorse naturali, ma in seguito quasi tutte le discipline interessate al territorio hanno sviluppato un interesse per i Gis.

40 Sulla «più che vexata quaestio» della loro contrapposizione e di come questa possa essere

attribuita al livello tecnico, a quello teorico o a quello epistemologico esiste una bibliografia ormai sterminata. Si è scelto di non appesantire l’esposizione col tentativo di ripercorrere questo annoso dibattito. Per qualche riferimento ai suoi sviluppi più recenti R. Cavallaro (a cura di) (2006), Lexicon: lessico per l’analisi qualitativa nella ricerca sociale, Ed. CieRre, Roma; M. G. Fischer (2000), L’analisi quantitativa dei dati sociali: lezioni introduttive, Trauben per Libreria Stampatori; A. Marradi, R. Pavsic, M. C. Pitrone (a cura di) (2007),

Metodologie delle scienze sociali, Il Mulino, Bologna; A. Marrani (2005), Raccontar storie: un nuovo metodo per indagare sui valori, Carrocci, Roma.

prezzi praticati, ecc)»41. Si registra, in generale, la perdita di forza di alcuni vincoli che nel passato avevano fortemente influenzato le scelte residenziali, come quello della vicinanza al luogo di lavoro42.

Con la presente ricerca si è voluto adottare un approccio che tenesse conto anche delle strategie abitative individuali e famigliari, nell’ipotesi che i vincoli strutturali alla base dei processi di decentramento interagiscono con i sistemi di motivazione e di preferenze dei soggetti, e che quindi il loro effetto non sia univoco e predeterminato. Questo ha portato, a livello metodologico, al tentativo di integrare strumenti di tipo qualitativo e quantitativo. Da un lato, riproponendo un percorso di analisi statistico-quantitativa di dati socio- demografici si è voluto evidenziare le potenzialità ed i limiti di strumenti di questo tipo per lo studio del decentramento residenziale.

Attraverso l’analisi territoriale effettuata con le tecniche di Gis è stato possibile evidenziare alcuni aspetti di tale fenomeno di spopolamento di alcuni quartieri di Bologna a favore di un particolare comune della seconda cintura metropolitana bolognese, il Comune di Argelato. L’analisi statistica e la cartografia prodotta attraverso i sistemi di Gis ha poi cercato di mettere in luce le caratteristiche e le dinamiche prevalenti di questo fenomeno di sprawl all’interno di una particolare area del Comune di Argelato, la frazione di Funo e in modo ancor più mirato la sezione di censimento n. 25.

Dall’altro, attraverso la raccolta e l’analisi di interviste in profondità a famiglie protagoniste di questo decentramento, si è cercato di rintracciare gli eventuali aspetti innovativi del fenomeno a livello delle strategie abitative individuali e famigliari e della trasformazione dei modelli di appartenenza territoriale.

41 G. Bovini et.al. (1994), «Bologna: fra locale e globale», in Comune di Bologna, Provincia

di Bologna Le logiche metropolitane negli assetti della società bolognese, Il Mulino, Bologna, pp. 129.

42 G. Pollini, «L’appartenenza socio-territoriale», in R. Gubert (a cura di) (1992),

L’integrazione tra tecniche di analisi quantitativa e qualitativa nel campo della sociologia urbana può essere fatta risalire alle prime esperienze di social survey ma si afferma con l’esperienza della Scuola di Chicago. Possiamo ricordare al riguardo l’osservazione di Burgess, secondo il quale « il metodo statistico e quello del case study non sono in concorrenza tra loro: in realtà sono complementari. Confronti e correlazioni statistiche possono spesso fornire suggerimenti per ricerche da fare col metodo del case study, e i materiali documentari, in quanto rivelatori di processi sociali, indicheranno inevitabilmente la strada per indici statistici più adeguati»43.

L’esigenza di approfondimenti qualitativi nell’osservazione della realtà urbana continua ad essere sottolineata anche nel periodo di massima diffusione della ricerca per sondaggio: «nonostante siano molto importanti, gli studi per sondaggi su grandi campioni non rappresentano sempre la parte più importante degli studi sociologici in aree urbane. L’osservazione diretta dei gruppi e delle persone in condizioni sempre più controllate permette di avere una veduta più completa della vita degli uomini nel loro ambiente sociale. E’ il solo mezzo per interpretare certi dati delle interviste estensive che, spesso, restano ad un livello d’osservazione più superficiale»44.

Nel campo degli studi urbani questa tendenza si traduce in una rinnovata attenzione per la dimensione locale45 e per gli ambiti legati alla soggettività e alla quotidianità. Contemporaneamente si rafforza l’istanza di integrazione metodologica, condivisa anche da discipline diverse dalla sociologia urbana,

43 E. W. Burgess (1995), «Statistica e “case study”», in R. Rauty, Società e metropoli,

Donzelli, Roma, p. 109.

44 P. H. Chombart de Lauwe (1967), Uomini e città, Marsilio, Padova, p. 62.

45 «il livello locale è l’anello debole del processo di rappresentazione e riproduzione “normale”

del territorio. In esso si formano continuamente immagini territoriali soggettive: non solo individuali (mappe mentali), ma anche collettive, condivise cioè da intere comunità, gruppi, classi sociali […]. La ricerca antropologica, la storia orale e delle classi subalterne portano sempre più frequentemente in superficie frammenti di tali rappresentazioni», in G. Dematteis (1994), Le metafore della terra. La geografia umana tra mito e scienza, Feltrinelli, Milano, p. 155.

come l’antropologia urbana. Ad esempio Hannerz osserva che « la vita urbana richiede in genere al ricercatore una grande flessibilità metodologica» ed inserisce tra le tecniche di «triangolazione» da lui considerate necessarie negli studi di antropologia urbana la combinazione di tecniche qualitative e quantitative, che definisce «la forma di triangolazione più ovvia»46.

Il ventaglio delle tecniche qualitative applicabili all’analisi urbana è estremamente ampio e spazia dall’osservazione partecipante all’analisi biografica, dall’intervista alle tecniche visuali.

In questo caso, per esplorare alcuni particolari aspetti del decentramento residenziale, si è scelto di utilizzare la tecnica dell’intervista in profondità. Questo strumento è infatti particolarmente indicato qualora si miri all’approfondimento qualitativo di un numero limitato di questioni47.

Inoltre, limitando il numero e la natura dei «vincoli»48 posti all’intervistato ed accentuando l’orientamento alla «non direttività», l’intervista in profondità consente di esplorare fenomeni emergenti, non ancora precisamente concettualizzati, come, nel nostro caso, la trasformazione dei modelli di appartenenza territoriale tra i protagonisti del decentramento residenziale. Nel caso di questa ricerca, il problema della rappresentatività dei risultati ricavati dalle interviste in profondità è stato affrontato cercando di delimitare il campo di indagine e di selezionare i soggetti da intervistare sulla base di indicazioni ricavate dalla prima fase di analisi, quella basata sugli indicatori socio-demografici delle tendenze in atto a scala metropolitana. Innanzitutto si è scelto di concentrare l’attenzione sulle caratteristiche della fase più recente del decentramento residenziale, ed in particolare sulla tendenza di questo ad interessare progressivamente comuni sempre più lontani dal centro e dai principali assi viari.

46 U. Hannerz (2001), Esplorare la città. Antropologia della vita urbana, Il Mulino, Bologna,

p. 501.

47 C. Guala (1993), Posso farle una domanda? L’intervista nella ricerca sociale, Nis, Roma, p.

87.

Poi si è ulteriormente delimitato il campo d’indagine scegliendo di concentrarsi su una specifica area del Comune studiato (la frazione di Funo di Argelato), ed infine definendo la sezione di censimento che presentava un maggior livello di bolognesi insediatisi a partire dal 1996. Il campo di indagine si è così concentrato su una tipologia famigliare composta prevalentemente da coppie tra i 30 e i 45 anni, prevalentemente con figli, questa tipologia risultava sovra- rappresentata nei processi di decentramento residenziale considerati. Si ritiene comunque che il numero di interviste effettuate attribuisca a questa indagine solo un carattere «esplorativo» e che le indicazioni da essa ricavate richiedano di essere approfondite attraverso ulteriori rilevazioni.

Un gruppo di problemi che nasce dall’utilizzo di questa tecnica di indagine è l’integrazione tra ricercatore e intervistato nel corso del colloqui. L’«effetto ricercatore»49 è sempre presente nelle situazioni di intervista ed i risultati di questa sono inevitabilmente influenzati dai processi di interazione che hanno luogo tra intervistato e ricercatore50. Per quanto riguarda le distorsioni che possono derivarne, esse possono essere ridotte, ma mai completamente eliminate: nel caso della presente ricerca, si è cercato di tenerle per quanto possibile sotto controllo. Innanzitutto si è cercato di ridurre l’eventuale diffidenza dell’intervistato spiegando chiaramente le ragioni e gli obiettivi dell’intervista, la sua natura accademica e non commerciale e sottolineando la garanzia di anonimato. Va poi rilevato che alcune tipiche fonti di distorsione del rapporto di intervista risultavano in questo caso ridotte al minimo, ad esempio gli argomenti toccati non riguardavano sfere intime o private della vita