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Il processo di “periurbanizzazione” del territorio in Italia

Tendenze emergenti nei contesti metropolitan

2. La città “emergente”: tendenze attual

2.2.1 Il processo di “periurbanizzazione” del territorio in Italia

Come è largamente noto, sul finire dell’Ottocento, Howard lanciò l’idea della “città giardino”, colpito dalla condizione della “Grande Londra”; la “Green

69 Ibidem.

Belt intorno a Londra partiva dall’assunzione di arrestare la crescita a macchia

d’olio della grande città e dall’altro di rendere più vivibili gli insediamenti umani attraverso questa cintura verde.

L’esempio più illustre in Italia di questo tentativo di “contenimento” dello spazio e di rallentamento del processo d’inurbamento, credo sia stato quello condotto da A. Olivetti nel Secondo Dopoguerra. Olivetti era particolarmente colpito dal dissolvimento della comunità di vicinato, dall’esplosione del conflitto di classe che nella città industriale sempre più si insediava. Nel disegno urbanistico del territorio intorno ad Ivrea, Olivetti tenta di far sorgere piccole industrie dislocate nei paesi del Canavese, per evitare l’inurbamento di Ivrea della popolazione mantenendola nel suo insediamento originario. Un’analisi dell’evoluzione della dinamica insediativa in Italia e del progressivo emergere delle aree periurbane, dal secondo dopoguerra ad oggi, richiede che si faccia una distinzione non solo in base alle fasi storiche dello sviluppo ma anche ai contesti macroregionali in cui si articola il paese vale a dire, che si consideri la differenza tra il Nord, il Centro e il Mezzogiorno.

Negli anni ’50 lo sviluppo urbano si è concentrato soprattutto nei principali poli urbani, si è trattato per lo più di una crescita rapida scarsamente controllata dagli strumenti della pianificazione urbanistica che ha comportato un forte aumento demografico delle città centrali e in parte delle corone periurbane più prossime al centro. In questa fase l’espansione delle città ha manifestato nel complesso un carattere compatto anche se la forma delle strutture urbane ereditate dalla storia è stata spesso del tutto stravolta sotto la pressione dei nuovi insediamenti industriali e delle correnti migratorie provenienti dalle campagne e dal mezzogiorno.

Già negli anni ’60, si assiste ad un primo allentamento, in termini relativi, della crescita dei poli centrali delle città del nord-ovest: «in queste ultime la crescita più rilevante si registra nelle zone periurbane (prime e seconde cinture). Nell’Italia Centrale gli incrementi dei poli sono più elevati che nel Nord Italia

mentre le fasce periurbane crescono con minor velocità; nel Mezzogiorno, crescono tanto i poli quanto le aree periurbane, ovviamente questo incremento si registra nonostante i forti processi di emigrazione che da essi sono diretti verso il nord del Paese»71.

A partire dalla metà degli anni ’70 si rende visibile un’inversione di tendenza nei processi di urbanizzazione delle aree periurbane italiane: i poli industriali del nord-ovest cominciano a perdere popolazione e progressivamente vedono ridimensionata la propria base produttiva. La crescita delle aree più esterne prosegue, ma a ritmi più lenti e riguarda soprattutto aree più lontane dal centro urbano. Questi fenomeni si rendono ancora più evidenti nel corso degli anni ’80, periodo in cui la tendenza alla periurbanizzazione del territorio è sempre più evidente.

Intorno alla fine degli anni ’70 in un importante saggio di A. Bagnasco72 viene proposta una nuova immagine del sistema territoriale italiano, non si parla più solo di dicotomia tra Nord e Sud, ma si delinea la possibilità di individuare un’ulteriore macroregione, le cui modalità di sviluppo socioeconomico e spaziale sono nettamente distinte da quelle di entrambi i contesti che avevano monopolizzato l’attenzione nella fase precedente. Bagnasco infatti descrive un’Italia in cui si possono individuare tre aree fondamentali: il Nord-Ovest contrassegnato dalla grande impresa fordista, il Meridione l’area più problematica e a minor sviluppo e infine le regioni dell’Italia Centrale (Toscana e Marche in particolare), e quelle Nord-Orientali caratterizzate da un’economia basata sulla piccola impresa, che ha dato vita ad una forma di sviluppo differente e particolare. Bagnasco sottolinea come il peso non solo di fattori economici ma anche di quelli sociali, politici e culturali siano stati determinanti nell’evoluzione di tale processo insediativo; il sistema della piccola impresa non rappresenta solo, secondo l’Autore, una variante

71 L. Davico, A. Mela (2003), op. cit. p. 109.

72 A. Bagnasco (1977), Le Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo italiano, Il

produttiva del modello fordista, ma è un modello economico che si basa su presupposti che trovano le loro radici in settori diversi come nella società, nella struttura famigliare, nell’organizzazione della società civile e nella cultura politica degli amministratori ecc.

Nel complesso se si analizza questo processo di progressiva diffusione e “periurbanizzazione” del territorio italiano, si registra come nel corso degli anni ’80 e della prima parte degli anni ’90, l’aspetto dominante in queste nuove aree sia stato principalmente quello della diffusione insediativa. Tuttavia questo effetto dipende da processi che sono parzialmente diversi nei differenti ambiti territoriali: nelle regioni del nord-ovest si intensifica il processo di periurbanizzazione determinato soprattutto dalla fuoriuscita di ceti medi verso le aree più esterne. Contemporaneamente nelle regioni del nord-est questa dinamica subisce dei processi di consolidamento per cui accanto alle zone industriali e a quelle residenziali si vengono a creare servizi, centri commerciali, aree ricreative, ecc. mantenendo relativamente basse le densità residenziali.

Nella maggior parte dei casi il disegno di progressiva periurbanizzazione del territorio si attua in assenza di un disegno di organizzazione spaziale del territorio, appoggiandosi essenzialmente alla struttura della viabilità esistente e penetrando in aree a persistente attività agricola.

La spinta alla periurbanizzazione delle aree più esterne delle fasce metropolitane nell’Italia settentrionale ha fatto registrare la fase più acuta nel corso degli anni ’80, tuttavia essa si è prolungata anche nella prima parte degli anni ’90.

Negli anni più recenti si rendono visibili importanti elementi di discontinuità che presumibilmente, si avviano a trasformare in misura significativa le modalità di sviluppo dei sistemi spaziali nel primo decennio del 2000.

I principali poli metropolitani sembrano oggi rilevare segnali di una imminente tendenza alla riurbanizzazione, già precedentemente evidenziata dal contributo

di A. Detragiache: sino ad oggi si assiste ad un rallentamento del calo demografico in numerosi dei centri maggiori, in particolare per la città di Bologna si vedrà nella seconda parte del presente lavoro, come questa inversione di tendenza ha visto a partire dal 1996 un ripopolamento del Comune capoluogo, mai registrato a partire dai primi anni Settanta.

I sintomi di una possibile riurbanizzazione, cui ora si è accennato, non implicano, tuttavia, che si arresti la spinta alla crescita delle aree periurbane, che si è prodotta nel periodo più recente, in forma meno intensa – da un punto di vista quantitativo – ma con caratteri qualitativamente diversi rispetto agli anni precedenti. In particolare il fenomeno cui si sta assistendo in questa fase sono delle modalità di insediamento meno compatte di quelle che si erano verificate nelle cinture più interne.

Gli ambiti territoriali coinvolti da questa forma di urbanizzazione marcatamente dispersiva sono, in alcuni casi, zone che presentano condizioni ambientali favorevoli (ad esempio, aree collinari o pedemontane); in altri casi si tratta di zone rurali a forte accessibilità (per la loro vicinanza ad autostrade o a stazioni di linee ferroviarie), anche se alquanto distanti dai poli principali. Le modalità con cui si attua questo processo insediativo è stata definita da molti autori “rurbanizzazione”, in quanto comporta la giustapposizione spaziale di una popolazione proveniente dalla città centrale e della popolazione precedentemente insediata sul territorio, con caratteri rurali.

La progressiva periurbanizzazione di queste fasce più esterne è resa possibile dalla presenza di infrastrutture viarie sempre più capillari e dalla diffusione sempre più generalizzata dei servizi alla persona (commercio, istruzione primaria e secondaria, strutture sanitarie di base ecc.).

Questa tendenza può essere messa in correlazione, da un lato, con i processi di trasformazione della base economica dei grandi centri urbani, che registrano un forte aumento dell’incidenza dei comparti più qualificati dell’attività terziaria, con una crescita delle occupazioni che richiedono elevati livelli di istruzione.

Dall’altro lato tuttavia, un presupposto essenziale per un “ritorno alla città” della popolazione agiata è rappresentato dall’offerta di edilizia residenziale ad elevata qualità e da un diffuso miglioramento degli spazi pubblici, specie nelle zone di maggior pregio. Il processo di riqualificazione della struttura fisica della città investe in particolare i centri storici, ma in alcuni casi, anche determinate zone periferiche o di prima cintura, in particolare nei contesti in cui è possibile attuare una riconversione di aree dismesse dall’industria per usi residenziali e di servizio.

Per quanto concerne le motivazioni sociali di questo processo le analisi svolte nell’area periurbana bolognese di Argelato73 hanno messo in rilievo l’incidenza di una domanda residenziale, espressa da gruppi sociali appartenenti ai ceti medi, in cerca di condizioni abitative che consentano di fruire di maggiore spazio a costi accessibili, maggiore tranquillità e la vicinanza con ambienti naturali ecc.

In ogni caso si è notato attraverso alcune interviste svolte a persone che hanno intrapreso questa scelta di vivere nel periurbano, il fatto che questa fuoriuscita dalla città non rappresenti per la maggior parte dei casi una perdita delle relazioni con la città centrale. La popolazione periurbana analizzata continua a mantenere rapporti di frequentazione relativamente intensi con il polo principale e con le opportunità che esso offre, tuttavia a differenza di quanto si verificava nel recente passato queste relazioni non sono più rappresentate unicamente dal pendolarismo per ragioni di lavoro, piuttosto, sempre più frequentemente, si tratta di relazioni motivate dall’uso di servizi, e in particolare da quelli di natura commerciale o legati alla fruizione del tempo libero.

Una autrice che si è impegnata a sottolineare la disseminazione anatomica delle tipologie prevalenti all’interno degli spazi del periurbano in Italia è F.

73 Argelato, come si vedrà meglio nella seconda parte del presente lavoro, è il Comune della

Provincia di Bologna su cui si è svolta la ricerca empirica in relazione al fenomeno di diffusione urbana che sta coinvolgendo l’area metropolitana bolognese.

Bertuglia74: dall’evoluzione della villetta unifamiliare, con le sue derivate semiotiche ed ornamentali che coinvolgono le strutture degli spazi esterni, dei giardini, delle recinzioni, fino agli insediamenti produttivi e artigianali, a seguire l’evoluzione tipologica dei centri commerciali che rende compatibile la residenza in vasti habitat periurbani con una propensione a forti consumi attestati su alti livelli urbani. Emergono, secondo l’Autrice, negli spazi periurbani fenomeni curiosi di inversione nell’utilizzo dei segni: la casa individuale che nel tessuto antico dei centri storici, appariva generalmente spoglia, povera di elementi di identificazione, componente essenziale di un tessuto, dotato per questo di una sua omogeneità, nello spazio del periurbano diventa villetta isolata, “emporio di stile”, supporto carico di decori verso l’esterno che sottolineano la diversità individuale dei suoi proprietari. Al contrario i luoghi di uso pubblico storicamente progettati per essere emergenze nel tessuto urbano e quindi ricchi di segni, di decori, nel periurbano si presentano sotto forma di centri commerciali. Ma emergono anche coppie di funzioni come l’abitazione/luogo di produzione che nella storia hanno prodotto il tessuto urbano medioevale (casa-bottega), oggi re-interpretate sotto forma di tipologie ibride, casa con capannone, e che pure tanta parte hanno nella definizione dello skyline del periurbano.

Un autore che sottolinea come questi “nuovi” tessuti urbani non producano tessuti di qualità è L. Dal Pozzolo75: secondo l’autore la costruzione di questi “territori di mezzo”, tra città e campagna non producono tessuti di qualità e complessità paragonabili alla città storica, non dipende solo da una perdita di competenze culturali costruttive che coinvolge utenti e progettisti ma dai modelli di comportamento e di consumo, che vedono la migrazione verso le mete del consumo e di loisir del sabato sera, il riconoscimento dei centri commerciali come luoghi di ritrovo, la reticolarità delle conoscenze e delle

74 F. Bertuglia (2004), Pianificazione strategica e sostenibilità urbana. Concettualizzazioni e

sperimentazioni in Italia, Angeli, Milano.

75 L. Dal Pozzolo (2003), “Fuori città senza campagna”, in A. Detragiache (a cura di), op. cit.

frequentazioni, è la civitas delle reti a non produrre più quel determinato ambiente costruito che conosciamo come città storica e compatta.

L’urbanità: « è qualcosa di più di un fenomeno “nuovo”, è qualcosa che lo obbliga a rivedere, con qualche imbarazzo, tutto il proprio apparato concettuale, tutte le proprie categorie osservative, a rileggere tutta la propria storia»76.

Dal Pozzolo ritiene che per spiegare la crisi urbana, che colpì l’Italia negli anni Sessanta e Settanta, e il fenomeno che oggi si verifica nel nostro Paese sotto il nome di “periurbano” e di “diffusione urbana”, si debba fare riferimento a due fattori, che hanno influenzato notevolmente il comportamento e le scelte individuali della popolazione in questi decenni: l’incrementalismo e la mobilitazione individualistica. Egli ritiene che la compresenza di questi due elementi abbia permesso il superamento di tale crisi, tramite un lungo percorso che ha visto come tappe intermedie il “decentramento produttivo”, il manifestarsi dell’”economia sommersa”, la “delocalizzazione” e la “deindustrializzazione”, la formazione e il rafforzamento dei “distretti industriali” fino ad arrivare alla formazione delle aree periurbane o della “campagna urbanizzata”.

Se da un lato Secchi sottolinea come questo sistema, costruito grazie alla politica individualista favorita dallo Stato, abbia portato soprattutto «ad un esito condannato da una straordinaria inefficienza»77 e caratterizzato da un dispendio di energie individuali, da una minor produttività economica e dalla mancanza di luoghi di “aggregazione” e di “sociabilità”, dall’altro ammette anche che la città “a maglie larghe”78, così da lui definita, possa avere il merito

76 B. Secchi (1995), “Resoconto di una ricerca”, in Urbanistica, n. 103, pp. 25-30.

77 B. Secchi (1997), “Un’interpretazione delle fasi più recenti dello sviluppo italiano: la

formazione della “città diffusa”ed il ruolo delle infrastrutture”, in Urbanistica Dossier, n. 3, pp. 7-11.

di permettere la convivenza di una società multietnica ed eterogenea79, oltre che di dar vita a sistemi economici fiorenti.