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Lo stile di vita suburbano: una lettura degli anni Settanta

Tendenze emergenti nei contesti metropolitan

2. La città “emergente”: tendenze attual

2.3 Un nuovo stile di vita “suburbano”

2.3.2. Lo stile di vita suburbano: una lettura degli anni Settanta

Una prova della fiducia nei confronti della persistenza di una relazione tra pratiche sociali ed ambiente è il fatto straordinario che, nonostante la continua esposizione a critiche, dubbi e prove d’appello, all’inizio degli anni Settanta, lo stile di vita suburbano era ancora meritevole d’attenzione anche agli occhi di Richard Sennett119.

Il punto di vista di Sennett ha oscillato, tra le posizioni di Mumford e di Gans: come Mumford, ma senza costruire un «alone romantico attorno al passato»120, Sennett si è avvalso di notevoli contributi provenienti sia dalla storia che dall’antropologia121; come Gans, invece, ha dubitato che i caratteri sociali della vita suburbana potessero essere attribuiti esclusivamente alle nascenti periferie dell’espansione metropolitana. Sennett era convinto che i fattori caratterizzanti la vita nelle metropoli contemporanee si manifestassero in maniera più evidente soprattutto in quello che definì «ambiente semplificato» dei sobborghi, perché questi erano i luoghi in cui si poteva realizzare «il desiderio della gente […] di vivere in un ambiente funzionalmente separato, internamente omogeneo»122.

Secondo Sennett, l’orientamento positivo di molti ex residenti nell’urbano verso i contesti socio-spaziali dei sobborghi si spiegava proprio con la fiducia che questi avevano nelle prerogative di tale tipologia dell’insediamento di

119 Si vedano in particolare i testi: R. Sennett (1999), Usi del disordine. Identità personale e

vita nella metropoli, Costa&Nolan, Genova; R. Sennett (1992), La coscienza dell’occhio. Progetto e vita sociale nelle città, Feltrinelli, Milano.

120 R. Sennett (1999), Usi del disordine, op. cit., p. 57.

121 R. Sennett, a differenza di alcuni dei suoi predecessori (Mumford, Jacobs) evitò di riferirsi

alle epoche precedenti necessariamente come a tempi migliori e al passato come ad «un’epoca di piccole, intime relazioni tra vicini nella vita cittadina», J. Jacobs (1966), Vita e morte delle

grandi città, Einaudi, Torino, p. 58.

semplificazione delle forme dello spazio fisico e della socialità, mediante il contenimento delle situazioni non prevedibili del sociale, l’assicurazione di un senso di ordine e di una stabilità di lunga durata ed il consolidamento di una relazionalità intima all’interno delle famiglie.

Se la vita delle metropoli era destinata a caratterizzarsi per una graduale semplificazione delle interazioni e delle relazioni sociali, allora, le aree suburbane erano da considerarsi i territori della genesi di questa semplificazione. Qui prima che altrove, per Sennett, si stava realizzando la contrazione delle possibilità di contatti e di scambi sociali tra persone e tra estranei, a vantaggio, quasi esclusivo, dell’intensificazione della vita famigliare. Le famiglie, nelle aree al di là dei vecchi confini della città, potevano assumere la dimensione di «piccole isole della proprietà privata, autonome, chiuse e ristrette nella loro prospettiva autolimitante e abitudinaria» e diventare dei veri e propri ripari dall’esperienza della diversità tradizionalmente messa a disposizione dalla città, anche a costo di acquisire le sembianze di «ambienti noiosi e soffocanti»123.

L’ambiente fisico e sociale delle aree suburbane permette alle strutture della vita famigliare di rinforzarsi intorno ad ognuno dei suoi componenti come mezzo di difesa dalle pressioni, dalle sollecitazioni e dai pericoli124, dell’esterno e fa di una vita familiare sempre più intensa uno «strumento per infondere la paura adolescenziale nella vita sociale»125. Anche se è inevitabile che all’intensificazione della vita attorno ad un gruppo ristretto, come la famiglia, si paghi un forte tributo in termini di diversificazione delle esperienze di vita e delle occasioni di contatto multiple, i vantaggi che essa comporta in termini di sicurezza sono ritenuti tali, da rendere superfluo soffermarsi troppo sugli svantaggi: «lo sviluppo dei sobborghi e la crescente organizzazione degli spazi cittadini in compartimenti funzionali non costituiscono un processo

123 Ibidem.

124 M. D’Eramo, Il maiale e il grattacielo, op. cit.; in particolare il Cap. IX della Parte Prima –

«Paradisi di periferia», pp. 95-107.

imposto arbitrariamente sugli abitanti della città quanto una risposta ai loro desideri di nascondersi dal dolore e dal disordine»126.

Il contributo che Sennett ha dato al consolidamento del concetto di stile di vita

suburbano avrebbe avuto conseguenze profonde sulle discipline territoriali se

fosse stato recepito in tutta la sua radicalità. Il concetto di stile di vita suburbano è stato condizionato nei suoi sviluppi successivi dal fatto di aver avuto origine da una grave colpa: quella di aver favorito una sorta di blocco evolutivo della crescita dell’individuo ad una fase pre-adulta, che equivale ad una rinuncia alla crescita, ad un esonero dal passaggio alle età successive dello sviluppo. Sennett ha emesso una pesante accusa nei confronti dell’abitante degli spazi “purificati” delle aree suburbane: questi, scegliendo di vivere in un ambiente semplificato e riparato, avrebbero adottato un modello di comportamento fortemente limitato dalla paura dei «suoi stessi poteri di esplorare ciò che non può controllare in anticipo»127.

La conseguenza è stata che, lungo la linea interpretativa che si è sviluppata da Mumford a Sennett, lo stile di vita suburbano si gravasse di un tale carico di valenze negative da consegnarsi ai posteri etichettato come una “forma di vita” minore. E con questi contenuti, il concetto ha varcato i confini delle scienze sociali: «vivere nei sobborghi significa disporre di più spazio a minor prezzo, di un garage e di un praticello. Il che, secondo la maggioranza degli americani permetterà di crescere meglio i propri figli»128.

Il grande merito di Sennett è stato quello di aggiornare la riflessione mumfordiana, rilevando come la forma purificata della città o della metropoli contemporanea fosse sempre meno un carattere da circoscrivere alle aree suburbane, ma si estendesse su tutto il territorio dove il tipico assetto suburbano poteva essere, anche se approssimativamente, replicato. Riconoscendo l’interessamento progressivo del territorio tout-court da parte della tipica conformazione suburbana, Sennett, ha altresì osservato lo spiegamento di un progetto latente di semplificazione dell’intero habitat umano:

«l’abbondanza materiale nella città moderna è stata manipolata per creare uno spazio suburbano nella costruzione

126 Ibidem.

127 Ibidem.

128 D. Steigerwald (1995), The Sixties and the end of Modern America, in S. Pistolini, Gli

degli alloggi, sia nei nuovi centri urbani sia nei sobborghi, uno spazio che è purificato ai limiti di una semplicità brutale e funzionale»129.

Sennett ha rimarcato la successiva tendenza di questi processi di purificazione/semplificazione130 a generalizzarsi su di

un territorio sempre più ampio di quello emergente del suburbano.

Comunque, tanto in Mumford quanto in Sennett, i processi di semplificazione operanti nelle aree suburbane e la loro tendenziale “generalizzazione” sull’intero territorio abitato erano ritenuti negativi da diversi punti di vista: « era come se individui e società cospirassero «l’uno contro l’altro per fissare una forma eguale di schiavitù al noto e alla routine»131.