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GLASSI E LOTTE DI CLASSI NEL MEDIOEVO
CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEL MOVIMENTO SINDACALE
PARTE PRIMA.
I F A T T O R I D E L D I N A M I S M O S O C I A L E N E L M E D I O E V O .
§ 1. — Il metodo positivo nello studio dei fenomeni sociali.
Molti, o addirittura la più parte, sono coloro che parlano e scrivono delle u quistioni sociali » con la più grande leggerezza. Vi sono di quelli che, sulla base di pochi ed incerti elementi, spingono lo sguardo, tutt'altro che di aquila, nei lontani secoli venturi, architettando fantastiche costruzioni sociali, che hanno tutta la consistenza di « castelli di carta ». L'avvenire, si diee, è nelle mani di Dio ; e, per quanto sia un moto quasi naturale e istintivo della psiche umana quello di protendersi a guardare e leggere nel futuro, pure una logica elementare presiede al metodo delle induzioni e delle previsioni umane.
II metodo sperimentale, serio, positivo, imponendosi anche negli studi sociali, ci prescrive due imprescindibili, rigide norme: la interpretazione e valutazione accurata, serena, profonda del passato, ossia della storia, e quella, ugualmente accurata e serena, del presente.
Negli studi sociali, come nella ricerca di ogni verità, non bisogna portare nè pregiudizi, nè preconcetti, nè passioni di sorta, almeno per quanto sia più umanamente possibile. Dipende da ciò la verità e il successo. Ì1 ceto, la scuola, il partito, cui si appartenga, devono rimanersene completamente da
parte.
Come il mistico, l'asceta, nelle sne estasi religiose, cerca, si sforza di mettersi in diretta comunicazione col suo Dio, astraendo dalla sua carne, dalle sue passioni terrene, così deve tendere alla luce del vero lo studioso, astraendo dal suo ceto, dal suo partito, da suoi particolari interèssi. Altrimenti... è tempo perduto!
Non bisogna dimenticare che quello che è, deriva necessariamente da quello
che è stato e si trasformerà nell'avvenire quale risultante evolutiva del pas-sato e del presente. Senza cadere nelle esagerazioni del « determinismo sociale •,
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la storia non la facciamo noi, ne è di conferma il fallimento di tutti i piani di coloro, compresi l'ultimo Kaiser dei Tedeschi e il nuovissimo Czar dei Russi, il Lenin, che ebbero la illusione di fare essi la storia...
§ 2. — Le distinzioni di classi nei tempi più antichi.
Non mi pare che coloro i quali oggi discutono e propugnano il « movi-mento sindacale » e lo additano come il principale se non l'unico fattore di assetto sociale, lo abbiano profondamente studiato e valutato in tutti i suoi precedenti storici, nè in tutte le 'sue logiche, necessarie conseguenze.
Non è certo un fatto odierno, o recente, che la società sia un insieme di classi più o meno organizzate e disciplihate. La naturale, svariata differenza di attitudini umane e di .condizioni ambientali, porta necessariamente a diffe-renze d'interessi, d'aspirazioni, di classi: il ferreo ordinamento castale presso gli antichissimi popoli ; gli Spartani, i Lacedomoni e gli Iloti in Sparta ; i Pentacosiomedymmi... e i Theti, i Pediani, i Paralii. i Diacrii ad Atene; i Patrizi e i Plebei, gli schiavi, i liberti è i liberi a Roma, ecc. ecc. — attra-verso tutti i popoli e tutte le età. E le classi erano più o meno rigide o per-meabili, variabili e dinamiche, secondo i tempi e i luoghi; dal rigido ordi-namento castale, che fu spezzato dai Fenici, d'ingegno così eccezionalmente svegliato, e che Budda il saggio condanna presso gl'Indiani, proclamando la eguaglianza di tutti gli uomini e l'amore e la pietà verso tutti i viventi — al dinamico ordinamento romano, che già 206 anni dopo la caduta della monarchia aveva fatta scomparire ogni disuglianza fra patrizi e plebei, for-mando tutto' un blocco del popolo romano, dopo una lotta senza spargimento , di sangue e con vere forme legali ; tanto era il senno politico e il rispetto per le leggi presso quel mirabile popolo !
E non soltanto un generico ordinamento di classi si ebbe nell'antichità, ma perfino, sin dai tempi del secondo re di Roma, Numa Pompilio (714-672 a. C.), si ebbero delle vere e proprie Corporazioni di mestieri. Questo grande re, secondo la tradizione, perchè i poveri trovassero nella unione difesa e soccorso, li spartì in nove Corporazioni, secondo i mestieri. E se pensiamo alla breve civiltà di Roma, a questo tempo, ed alla vetusta, splendida civiltà etrusca, non sembrerà azzardata la opinione che queste Corporazioni esistessero già presso gli antichissimi Etruschi, e che Numa non facesse altro che adattarle al nuovo popolo di Roma.
Nè mai si sperdette fra noi il ricordo di questa istituzione, neppure nei più tetri anni del primo Medio-Evo, quando le valanghe delle invasioni bar-bariche sconvolgevano e travolgevano tutto il vecchio mondo latino. È infatti la ininterrotta attività delle antichissime maestranze uno dei più potenti fattori della ricostruzione italiana in mezzo allo sfacelo-medioevale, e per cui anche nella storia del Medio-Evo la nostra Italia finisce col rimettersi alla testa di tutte le altre Nazioni.
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traddistingueva la gente latina dalla germanica. Le popolazioni italiane, disgiunte l'una dall'altra, disgregate perfino come elementi di cittadinanza, poterono trovare una forma di vivere civile in quel poco che i barbari non avevano potuto toglier loro dall'esercizio della loro attività. Se nou troviamo alcun regio ufficiale, nè grande, nè piccolo, come scrive il Manzoni, di sangue romano, i barbari avranno dovuto però ricorrere ai Romani, quando avranno avuto bisogno di costruttori e di artefici. L'industria non aveva mai cessato di essere la proprietà del popolo cittadino; l'industria non poteva essere tolta come un terreno, o determinata come i tributi dell'aldio e dell'aggra-vato, o imposta nel modo con cui era obbligato al lavoro il colono o il servo della gleba. L'industria era un elemento della vita italiana, che poteva sot-trarsi in mille maniere al dominio del barbaro ed assicurare al Romano una certa morale superiorità. L'officina poteva diventare il castello del vinto. E infatti, mentre la religione e la cultura davano il clero, le arti dànno le
maestranze. Regolate da appositi statuti! governate da propri capi (come vediamo nella costituzione dei maestri comacini), distribuite in ordinata gerarchia industriale, queste maestranze costituivano come altrettanti piccoli Comuni, destinati a dare gli elementi più vigorosi delle successive democrazie italiane.
§ . — Le condizioni sociali e politiche d'Italia dal secolo IX all'XI.
È assai impressionante il disordine politico, e quindi sociale ed economico, che pervase tutti gli ordini della vita italiana nel sec. ix, caratterizzato dalla decadenza dei Carolingi, dai 64 anni del burrascoso e confuso Regno italico indipendente, dalla calata degli Ungheri, dalle scorrerie a Nord e a Sud dei Saraceni e dal colmo dell'audacia e degli intrighi dei grandi vassalli.
Si dissolvevano tutti i legami sociali, tra la mancanza e l'impotenza di valide Autorità. I Grandi, gonfi di prepotenza contro il proprio sovrano, rimanevano a loro volta deboli e impotenti contro i propri nemici ed in incessanti lotte fra di loro. Nelle reggie, come nei castelli e perfino nelle Corti vescovili, i delitti d'ogni sorta sono all'ordine del giorno. La stessa autorità religiosa è al colmo della prostrazione, mentre spadroneggia in
Roma la famiglia Teofilatto e le famigerate Teodora e Marozia impongono i loro drudi alla sede di S. Pietro, sconvolgendo Roma e l'Italia con le loro ambizioni, con le loro dissolutezze, con le loro infamie.
Ogni lume di coltura, ogni benefizio d'industrie e di commerci viene man-cando sempre più; crollano i monumenti, le istorie tacciono e sempre più dense si fanno le tenebre dell'ignoranza.
Soli baluardi della nazione divengono i solingbi castelli dei feudatari minori e le mura delle città quasi improvvisamente rialzate dal popolo dei soggetti.
In mezzo allo scompiglio di ogni istituzione politica e civile, di ogni idea morale, in mezzo alle infinite, immense sciagure pubbliche e private, un cupo scoraggiamento, un terrore misterioso invade tutta quanta la società; la
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inentata fantasia popolare trasforma i conforti riserbati agl'infelici ed agli oppressi dalle sublimi dottrine del Vangelo, in una religione di spavento e di espiazione. La soave figura di Cristo ritorna il Dio vendicativo, spietato, san-guinario d'Israele ; gli uomini sembrano credere che perfino il Cielo abbia a prender parte agli odii, alle violenze e alle guerre della terra. Tutti aspet-tano — con indicibile terrore — l'ultimo atto della vendetta divina, il
fini-mondo, fissato per il fatale anno 1000.
Appena però si apre il secolo xi, un nuovo alito benefico di vita rianima il popolo. Nella storia politica d'Italia è appunto la riunione del regno lico al germanico, avvenuta sotto i Sassoni, accettata dalla feudalità ita-liana — cui fu contemporanea la restaurazione della potestà imperiale — ciò che die' principio ad un'epoca più felice, nella quale vediamo ordinatamente esplicarsi tutti quanti gli elementi dell'attività nazionale.
Fu appunto in questo secolo xi — segnatamente verso la fine — che comin-ciarono a dissolversi i grandi dominii signorili e che gli agricoltori, divenuti più liberi, avvantaggiarono l'agricoltura, sè stessi, l'intera collettività. Le industrie e i commerci si erano già rifugiati nelle città, che crebbero e si svilupparono, con una nuova classe di uomini liberi, la borghesia (sec. x-xi). E questo processo di formazione fu proprio caratteristico del complesso ambiente di civiltà romano-germanica.
In tal modo tutta la vita pratica, tutta la organizzazione economico-sociale e politica che si erano fondate, col feudalesimo, sulla proprietà territoriale, si vengono spostando, al raggiungimento di un migliore equilibrio, verso i fino allora spregiati commerci ed industrie. E così il feudalesimo che, contrastato dalla salutare dittatura di Carlo Magno, era sin qui riuscito al mantenimento dell'ordine e alla difesa pubblica, veniva cessando, col compiersi della sua par-ticolare missione.
Le Crociate, che più che una gloria cavalleresca di Principi, sono a con-siderarsi come un trionfo dell» spirito mercantile delle città marittime ita-' liane, che fornirono le flotte potenti, produssero un sensibilissimo effetto eco-nomico, trasferendo i possedimenti dei nobili feudatari alle classi lavoratrici; mentre che con la graduale eliminazione del feudalesimo, con la emancipazione dei Comuni si formava e si sviluppava gagliarda quella classe borghese, che, messa appunto con le Crociate in contatto delle diverse razze, allargava i suoi orizzonti, favorendo il risorgimento dei commerci, delle industrie e della navi-gazione, specie nelle Repubbliche italiane.
Si aggiunse il Cristianesimo, che, rinnovato e ringagliardito nel movimento
francescano, predicando obbedienza, frugalità, ecc., purificò la vita ihterna di famiglia, la vita sociale, con grandi effetti economici. Nobilitò il lavoro, diffuse la dottrina della fondamentale uguaglianza degli uomini, predicando «on fervore affatto nuovo i doveri di amore, di perdono, di compassione e i
diritti dei poveri.
E alla forza del Cristianesimo si unì quella della Chiesa, come organizza-zione attuatrice della idea cristiana, col Monachesimo, coi Conventi e col
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Corpus juris • canonici, che, tra le altre, contiene appunto la teoria
econo-mica del cattolicismo. 11 monachesimo, i conventi, raccogliendo intorno una vastissima azienda le disperse popolazioni rurali in un'epoca priva di ogni sicurezza, furono i primi centri della vita economica italiana e francese nel Medio-Evo. I Canonisti favoreggiano la « àtticissima rerum possessio
com-munis » ; favoreggiano l'agricoltura, la quale « Dco non displicet <• ed avver-sano invece il commercio, che « Beo piacere non potest ». Propugnano l'juslum praetium -e combattono — centro di tutto il sistema economico canonico — l'interesse.
Ne venne Vaffrancazione delle classi lavoratrici, o, meglio, la trasfor-mazione della schiavitù in servitù della Gleba: il servo era avvinto al suolò, ma aveva relazioni domestiche stabili e partecipava alla vita religiosa della società. Cosicché mentre l'operaio urbano fu subito libero, solo più lenta-mente e più tardi conquistò il contadino la sua libertà, più che per motivi sentimentali ed umanitari, per veri motivi egoistici, come dice A . Smith, e cioè: sia per la produttività maggiore dei liberi fittavoli, sia per il toma-cento dei Re, che, gelosi della potenza dei grandi proprietari, incoraggiavano le lenti e persistenti usurpazioni dei contadini.
Ma il merito spetta puro alla Chiesa: i servi erano trattati meglio nei possedimenti ecclesiastici e i membri del Clero erano patroni e guardiani delle classi oppresse. Le terre ecclesiastiche erano le sole a non subire il peso della proprietà barbarica. Sottratte perfino alla giurisdizione dei dominatori, godevano della tutela immediata del Re (mundiburgium).
Dalla liberazione dei servi sorsero i primi lineamenti della costituzione gerarchica della industria moderna, effettuata con la separazione tra impren-ditori e operai. L'affrancazione personale dei lavoratori, stimolando attività e iniziative, portò ad accumulazioni, accresciute con l'ordine e il buon governo delle Corporazioni civiche, che risultarono dall'affrancazione. Così venne su una classe capitalistica attiva, indipendente, apparsa prima nel commercio; e fu il commercio a promuovere poscia le manifatture.
§ 4. — Importanza dei vari fattori e loro azione
nell'iittenso dinamismo sociale del Medioevo. Il feudalesimo - Carlo Magno - Ottone I di Sassonia.
Ma riprendiamo— dopo questa rapida sintesi — l'analisi dettagliata. Dicemmo già pòco fa come, all'aprirsi del secolo xi, un nuovo, benefico alito dijrita rianimò il popolo, dopo il caos e le sciagure dei tempi anteriori, e come fu la riunione del regno italico al germanico, che iniziò un'epoca più felice. L'avvenimento, infatti, della dinastia sassone, che aveva respinto dai confini dell'Europa carolingia la barbarie magiara e slava, e che tendeva a por fine alla prepotenza principesca, non poteva non riuscir benefico anche per l'Italia, nella quale per più di un secolo aveva dominata la più-grande anarchia, senza che nessun potere, nessuna autorità nè di He nazionali, nè di Diete, nè di Pontefici, nè di Vescovi fosse riuscita a produrre un ordine di cose fermo e duraturo.
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.La riforma di Ottone I e dei suoi successori: sassoni, Balici e avevi, non fu che una continuazione dj quella con cui Carlo Magno aveva assicurati i confini e regolato le istituzioni del mondo occidentale ; e in Italia, come in Germania, la di lui politica frenava i partiti, impediva la guerra interna, deprimeva la potenza dei grandi signori, prima causa del disordine politico e sociale, che si propagava a tutte le classi sottostanti della società feudale, e ricuperava pertanto, e durevolmente assicurava all'autorità sovrana, tutte le sue più necessarie prerogative.
Ottone, per raggiungere tutto questo, non ricorreva alla tirannide, come Ugo, come Berengario I I , ma, seguendo l'esempio di Carlo Magno, cercò gli elementi della sua riforma nel seno stesso-della società italiana, sollevandone gli ordini minori contro i maggiori, ed accrescendo, nel mentre che assog-gettava la curia romana alla supremazia imperiale, i privilegi del vescovo e del clero, donde vennero alle città franchigie e diritti inaspettati, prime armi del popolo italiano contro i discendenti degl'invasori.
Feudalesimo, Chiesa e Impero rappresentano perciò-come la sintesi dei differenti ordini di fatti e di istituzioni, che variamente contribuirono al dinamismo delle varie classi sociali e allo svolgimento della vita nazionale italiana.
Il Comune è a riguardarsi una istituzione italiana su terreno feudale. Il Papato e l'Impero furono come il pernio, su cui si aggirò tutta la politica italiana del Medio Evo. Al di sotto esistevano idee, sentimenti, isti-tuzioni, un'altra società, in cui non si erano arrestate le correnti della vita e dell'attività civile, ad onta delle barbariche alluvioni (Goti, Greci, Bizan-tini e specialmente Longobardi) ; un'altra società destinata a ringiovanire come le erbe, i fiori, le piante risorgenti sulle campagne desolate dai turbini e dai venti.
li individualismo germanico, discjplinato dopo la conquista, e per la pro-prietà, fu il feudalesimo. Col nome di feudalesimo si denota appunto la
società germanica, la società dei discendenti degl'invasori, non solo all'epoca anteriore, ma anche a quella che è contemporanea al risorgimento delle popo-lazioni italiane. Si potrebbe sostituire a questa la denominazione di nobiltà, come alla denominazione di Comune quella di popolo, se tanto l'una quanto l'altra, oltre d'indicarci un ceto, esprimessero altresì la sintesi della storia di due popoli, di due schiatte, di due civiltà differenti. ^
Il feudalesimo fu una trasformazione necessaria della vita barbarica: è, abbiamo detto, l'individualismo germanico. Come le invasioni barbariche infu-sero sangue più gagliardo e nuova vita nel corpo illanguidito della società occidentale, così l'individualismo germanico riuscì un necessario compenso della esagerata unità del mondo romano.
Fu Carlo Magno, che, messosi alla testa del mondo barbarico, forte contro forti di sua razza, raccoglieva nella volontà e braccio di un solo l'individua-lismo della razza. Le di lui guerre portarono a nuove divisioni territoriali e il feudalesimo fu come una « rete di ferro « distesa ad assicurare il dominio territoriale, oltre che una « gerarchia « risalente al Koning.
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Il feudalesimo fu forma e nel tempo stesso rimedio della nuova scomposi-zione sociale del mondo occidentale. I feudi crearono dei sotto-feudi, per garantirsi alla loro volta con lo stesso sistema gerarchico e territoriale del feudo.
Morto Carlo Magno, forza centripeta, comincia la scomposizione del feudo, con le lotte dei feudatari minori contro i feudatari maggiori.
Ottone I e i suoi successori riformano la società feudale come Carlo Magno aveva col feudalesimo riformato il mondo barbarico. La classe dei vassalli minori, per tener testa ai maggiori, si allea e innalza l'ultima classe del popolò: i discendenti, cioè, dei vinti romani, il popolo d'Italia. Fu l'Italia perciò il paese ove primamente l'opera di emancipazione delle classi minori della feudalità si diffuse alle classi del popolo soggetto, ed in conseguenza il primo, alla testa di tutte le altre nazioni, ad avere una vera storia nazionale ed a precedere sul cammino della civiltà.
§ 5 . - 1 1 popolo latino e le Città - I Germani e il Feudo La Chiesa e la società ecclesiastica.
Il soggiorno delle città era rimasto nei primordi al misero popolo dei sog-getti, che formava l'ultima, l'infima classe sociale. Così dominatori e vinti si trovarono separati anche di territorio, il che diede appunto all'elemento indi-geno modo di svilupparsi più rapidamente, di consolidare il proprio carattere
e di rafforzare le sue istituzioni. E fu questo altresì uno dei vantaggi del feudalesimo, anche nel periodo del suo maggiore predominio.
Il modo con cui la classe dei vassalli si rese indipendente da quella dei signori sarà pòscia imitato, seguito dalla classe dei soggetti contro i feuda-tari; le città scuoteranno il dominio del- Conte, che si troverà costretto a portare nel suburbio la propria corte; le attive maestranze diverranno libero asilo di ogni colono, di ogni servo della gleba, ribelle al proprio tiranno, u Spunterà infine il giorno in cui la ragione della forza da cui venne giusti-ficata la secolare oppressione sarà invocata anche dai figli dei vinti, e quando questi, stretti intorno al gonfalone del Vescovo e del Santo loro patrono, in concorde e compatta milizia di cittadini e di artigiani, si misureranno per la prima volta con le masnade dei cavalieri, si accorgeranno allora di non essere meno animosi di quei paventati predoni, di non avere braccia meno poderose, e si meraviglieranno allora per la prima volta di avere pazientato così a lungo *.
La Chiesa può essere considerata'come l'ultimo fatto dell'Evo antico e il primo del medio. Contemporanea e collegata alle necessarie trasformazioni della civiltà greco-romana, la Chiesa è l'unica istituzione che sia uscita salva, immune, gloriosa fra le mine dell'Impero latino e che abbia potuto crescere, prosperare e diventare potentissima in mezzo al nuovo ordine di cose.
In tempi in cui tutti gli elementi della società si agitavano nel caos del-l'anarchia barbarica non vi fu che la Chiesa, che, giovane ancora, ma fer-mamente stabilita, presentasse una ordinata associazione di uomini, regolata
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da leggi costanti, con istituzioni determinate, con uno scopo e un avvenire davanti a sè.
Invano si cercherebbe in quei tempi sciagurati una società più popolare, un'autorità più legittima della ecclesiastica, in quanto che se quella può sembrar dischiusa a tutte le classi sociali, senza distinzioni di sorta fra servi e padroni, fra Re e popoli, fra duci di fare e schiavi della gleba, questa non solo proclama, ma mette in atto un giure che sottrae le più nobili facoltà