Pagine non periture di Taine e di Tocqueville ricordano il concorso involontario dato dalle classi privilegiate dell'antico regime alla matu-ranza dei germi spirituali e materiali onde esplose, in forme che una maggior fermezza di governo avrebbe certo, con comune vantaggio, attenuate, la rivoluzione giacobina. Ma il fenomeno, nofa il Pareto, è caratteristico di tutte le elette in decadenza. E lo vediamo ripetersi in misura ben maggiore oggi, quando la spinta violenta ed incomposta d'un'insurrezione proletaria non tutta spontanea nè sempre naturale trova nella vituperata borghesia il concorso di un favoreggiamento platonico e l'aiuto di una codardia, equivalente negli effetti ad una autentica complicità.
Gli episodi che individueranno la tendenza agli occhi degli storici futuri sono innumerevoli. Taluni assumono però fisionomia più tipica, e meritano perciò di essere fissati nei loro lineamenti precisi (mal noti fuori dell'immediato ambiente in cui si svolsero), a guisa di documenti
(1) Le presenti note, pronte per 1» stampa fin dal settembre scorso, e per ragioni editoriali dovute ritardare, furono esuberantemente confermate, sebbene in qualche parte superate, dal fatale andare degli eventi, di cui l'episodio narrato à indice precursori- Ritengo quindi opportuno di completarle parzialmente col riferimento a fatti più recenti, serza mutarne il contenuto e le conclusióni sostanziali. Non sembrerà superfluo l'augurio che l'epilogo istruttivo onde la vita industriale di Torre Pollice usci risanata possa venire seriamente meditato nel più vasto ambito a cui si diffuse il mimetismo di quel fallito esperimento, formando un salutare correttivo alla demenza di chi anche oggi (vedi ordine del giorno della Camera del lavoro di Torino, 28 dicembre 1920) consiglia di arginare la disoccupazione dilagante minacciando di rinnovare l'impresa van-dalica di cui la classe operaia sconta, nel marasma dell'industria, le fatali e troppo prevedibili conseguenze.
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caratteristici della crisi di civiltà che attraversiamo. Tra i quali pochi assumono significato più eloquente del breve conflitto, modesto di pro-porzioni, ma grave di conseguenze e di insegnamenti, che si svolse nel febbraio e marzo scorsi in alcuni borghi delle prealpi piemontesi, in seguito ad una delle tante battaglie industriali, la cui cronicità è indice patologico del profondo dissesto di spiriti della tormentata ora presente.
Per polemiche giornalistiche ed echi parlamentàri tutta Italia ebbe, a suo tempo, notizia del complesso di fatti che rimarranno designati col nome sintetico di caso Maeeonis. Deformazione di rendiconti ten-denziosi, avventatezza di giudizi pronunziati da chi era supremamente ignaro degli elementi positivi e giuridici della contesa, trascuranza sdegnosa degli interessati di illuminare il pubblico su elementi ad arte falsati dalla speculazione politica, difetto infine d'ogni informa-zione sull'ultima e più significativa fase della vertenza, hanno però circondata la cristallina semplicità dell'evento di tante e tali leg-gende, reticenze ed insipienze, da rendere anzitutto indispensabile, a chiarimento delle idee, un prospetto schematico dei fatti.
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Per il rifiuto opposto dall'imprenditore al licenziamento di un capo-tecnico ed alla revoca di punizioni cagionate da offese e vie di fatto contro' costui, le maestranze dei cotonifici Mazzonis di Torre Pellice, Pont Canavese, eòe. dichiaravano, nel gennaio, lo sciopero, reclamando, oltre la soddisfazione specifica sul pretesto occasionale del movimento, il riconoscimento per parte della ditta del concordato di lavoro 28 maggio e 26 ottobre 1919 -concluso fra la Federazione tessile e l'Associazione padronale. Rispondevano gli industriali che, estranei per deliberato proposito a quest'ultima, non ne ritenevano per sè vinco-lative le stipulazioni, onde soltanto avrebbero riaperti gli stabilimeuti per trattative dirette coi propri operai.
Avvertendosi, dopo alcune settimane, palesi sintomi di scoraggia-mento fra la massa scioperante, ricorrevano i dirigenti alla commis-sione di conciliazione dei probiviri provinciali; ma ne declinavano la giurisdizione i Mazzonis, mentre espressamente rifiutavano un invito di colloquio del prefetto, permettendosi di ricordargli che perizia politica non è sinonimo di competenza tecnica. Il lodo intanto, unila-teralmente invocato, pur rendendo implicito omaggio alla piena legit-timità del coqtegno iniziale della ditta, affermava il principio di massima sostenuto dagli operai: esser dovere degli imprenditori osservare la
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norma comune vigente nell'industria, per consenso delle organizzazioni delle due parti.
Forte dell'espresso disposto di legge (1), che assegna a simili giu-dicati valore facoltativo di semplici consigli, la ditta non mostrava di avvedersene, neppure quando il prefetto insisteva, notificando la sen-tenza sotto forma di ingiunzione imperativa e perentoria. Entrava in. gioco allora l'azione diretta, da tempo premeditata, della massa, che, invadendo gli stabilimenti ed inalberandovi bandiera rossa, ne procla-mava la definitiva appropriazione comunistica. Soltanto dopo alcuni giorni l'autorità, rimasta spettatrice benevola del colpo di mano, avver-tiva la legalità turbata dal rivoluzionario precedente e decideva di restaurarne l'apparenza formale con l'affidare ad un funzionario dello Stato, l'ing. Fusconi, la gestione delle fabbriche per conto dei proprie-tari, con l'incarico di applicarvi, a guisa di provvedimento esecutorio, il lodo arbitrale. Compiuta la quale operazione, un decreto di deriqui-sizione reintegrava nel possesso dell'azienda i fratelli Mazzonis, che • accettavano senza altri contrasti il fatto compiuto.
La breve cronistoria si chiude cosi, nella relazione ufficiale e pel pubblico, come ogni onesto apologo educativo, col trionfo dell'oppresso ed il pentimento del reo.
Se non che la favola intiera riceve da un ultimo, e generalmente ignoto, documento il sapore di un'impagabile ironia.
Nell'esaminare infatti con obbiettiva coscienza i conti dell'azienda, il solerte gestore ebbe una sorpresa che certo non si attendeva: trovò cioè che le retribuzioni spontaneamente pagate dalla ditta al suo per-sonale prima dello sciopero erano, nel complesso, sensibilmente supe-riori a quelle della tariffa sindacale, occasione e pretesto a tanto sconquasso. Siccome, fra le altre conquiste, figurava pure la retroattività del nuovo trattamento, indiscutibile risultava l'obbligo per gli operai di rimborsare anziché percepire delle eccedenze.
Paghi però di veder constatato un fatto cosi eloquente, gli impren-ditori generosamente rinunciarono a rivendicare a loro volta un diritto evidentissimo. Vollero soltanto apparisse da dichiarazione formale dei responsabili il danno da essi recato alle credule maestranze, unito alla malafede delle contumelie quotidiane lanciate, in giornali e comizi, contro la resistenza padronale. Il concordato di riconsegna, in data 27 marzo, risultò quindi, nella concisione dei suoi termini, uno
schiac-(1) Il decreto luogotenenziale 20 gennaio 1918, n. 103, che istituì le commis-sioni di conciliasione, come temporaneo provvedimento, connesso al sistema provvisorio della mobilitazione industriale.
ciante atto di accusa: « Il gestore, sulla scorta di dati rilevati dai > libri-paga dei vari stabilimenti Mazzonis, dimostra che alle maestranze i degli stabilimenti stessi vennero concessi complessivamente, in varie « riprese, aumenti di tariffe e paghe superiori a quelle dovute secondo » i concordati applicati coi criteri di equità suesposti. I rappresentanti a degli operai convengono nelle conclusioni del gestore ».
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Il sorprendente verbale, che lessi per puro caso sulla Infortnaeione
industriale del 29 aprile (n. 10), essendosi la stampa quotidiana, tanto prodiga di sproloqui preventivi, onestamente astenuta dal riprodurlo, illumina il succedersi dei fatti di una luce che non fu, s'io non erro, totalmente e abbastanza avvertita nei molti commenti suscitati, in tutta Italia, dal precedente decorso-della vertenza.
Venne, per dir vero, da ogni parte segnalata l'enormità giuridica della linea di condotta governativa. Quando il prefetto di Torino non temeva di affermare che. « il contegno della ditta, che si era rifiutata « di riconoscere un giudizio pronunciato in conformità delle leggi dello » Stato e vuole escluderne l'applicazione tenendo chiusi i propri stabi-li stabi-limenti, costituiva offesa alle leggi », commetteva manifestamente egli stesso ed egli solo la piti grave offesa alle leggi positive, nonché all'intero sistema giuridico che ci regge. Siamo in una fase revisio-nistica degli istituti cardinali del diritto pubblico e privato ; sia pure. Alle garanzie statutarie delle meditate e dibattute riforme giuridiche la calamità della decretomanla bellica ha in gran parte sostituito l'em-pirismo arbitrario di un restaurato assolutismo; è verissimo. Riteneva però ancora il modesto cittadino di avere diritto alla tutela legale, o, quanto meno, di non dover incorrere- in penalità non mai comminate, quando osservasse letteralmente le norme dei vecchi testi e delle nuove gride. Insegnano i trattati più elementari che il limite di distinzione fra il regime assolutistico, monarchico od oligarchico, ed il dispotico di tipo orientale sta nel riconoscere quelle leggi generali e notorie, mentre in questo la volontà incontrollabile del sovrano si esercita caso per caso, senza limiti e freni. L'indebita estensione data fra noi ai pieni poteri di guerra ci ha, da cinque anni, provvisoriamente ricon-dotti nel primo. Rimaneva tuttavia fino a ieri l'illusione che la revoca •temporanea delle garanzie liberali non dovesse significare perfetta
autocrazia. L'ingenua speranza è ora d'un tratto caduta. Gli invasori delle officine Mazzonis, come d'altronde i dissodatori delle terre incolte scatenati in tanta parte d'Italia dal decreto Yisocchi, sono stati gli
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esecutori violenti della più autentica soperchieria ufficiale. Fu la garanzia di impunità, insita alla ' implicita approvazione governativa, che cancellò nelle masnade assalitrici il senso istintivo della legalità tradizionale. Non mancò all'atto audace la consacrazione tangibile di delegati e carabinieri, presenti ed assenzienti perfino al sequestro dei fondi di cassa. Forse ed anzi il simbolico, impassibile intervento degli agenti dell'ordine fu desiderato e richiesto, a tutela della meritoria gesta, dagli stessi autorizzati « espropriato ri di S. M. ».
Perchè, sul modo stesso come l'invasione si svolse, molto rimane a dire che il pubblico non ha appreso dalla cronaca tendenziosa dei fogli d'ogni colore. Non furono invero soli l'Avanti e la Stampa a dipingere con tinte luminose l'entusiasmo travolgente della massa lanciata alla con-quista. Lirismo a parte, una descrizione non molto dissimile si lesse nella democratica G-aeeetta del Popolo e nel cattolico Momento. Chi fu pre-sente ai fatti, a Pont come a Torre Pollice, sa però perfettamente che la spedizione, organizzata a Torino, non trovò nelle maestranze locali se non un entusiasmo assai blando, tantoché occorsero le più energiche e minacciose obiurgazioni per indurle a superare i non guardati cancelli, eroicamente spalancati dalla estranea pattuglia dei dirigenti.
Non ignoravan gli operai che i baroni Mazzonis, pure rifiutando di riconoscere l'obbligatorietà del lodo per ragioni di principio, si appre-stavano ad applicarlo di fatto, riaprendo le fabbriche nel tempo con-sentito dalle esigenze tecniche. Ciò avrebbe, in pratica, equivalso alla loro vittoria morale, ratificando quel giudizio tutte le misure disci-plinari contestate, escludendo il pagamento, delle giornate di sciopero, e stabilendo infine un trattamento che, come la prova dimostrò ben presto, era men favorevole ai salariati di quello anteriormente vigente. Ma, con tale imminente soluzione, 1' » onore proletario » (comodo sino-nimo di « prestigio degli organizzatori ») avrebbe subito un colpo irre-parabile. E fu appunto e soltanto la faccia di costoro che, anche questa volta, l'omertà dei colleghi e la complicità del governo vollero ad ogni costo salvare. L'illegale ingiunzione prefettizia, l'invasione tumultuaria, la parodia di gestione comunistica, il simulacro di requisizione non ebbero, in realtà, altro scopo, fuorché di confondere in una serie di episodi illusori ed incidentali agli occhi della massa la logica istruttiva della spontanea concatenazione dei fatti. Per un espediente di volgare opportunismo non si temette di dimostrare così che alla protezione delle leggi hanno ormai diritto, in Italia come nel Messico, soltanto gli amici della fazione o consorteria politica al potere.
Il quasi contemporaneo episodio degli invasori di officine napoletane, espulsi senza complimenti, a fucilate; unito ai quotidiani esempi di
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impunità reclamate ed ottenute da membri di gruppi organizzati, convinti di reati comuni (Giuseppe Rensi ne cita di veramente edifi-canti nei suoi coraggiosi Principii di politica impopolare) (1), toglieranno, io penso, anche ai più enfatici campioni del verbalismo nazionalistico la tentazione di scomunicarmi per un cosi irriverente parallelo.
Alla consumazione di un'offesa trascendente di tanto le persone dei direttamente colpiti contribuì certo notevolmente il contegno della stampa e l'atteggiamento della sagace opinione pubblica.
Pochi esempi riflettono cosi tipicamente l'asservimento della prima agli andazzi demagogici, rossi, neri o gialli, come i resoconti e le chiose con cui essa seguì, divulgò, inasprì la vertenza. Basti ricordare l'imbarazzato riserbo col quale la Gazzetta del Popolo del 1° marzo riferiva, narrando il colpo di mano, una intervista col solito » auto-revole personaggio », dal quale si faceva .insegnare che « il M. col
« deliberato rifiuto ad obbedire alle autorità costituite, si era posto « da sè stesso fuori della legge ed aveva creato un ginepraio,
appro-u fittando della mancanza di sanzioni legali precise che permettessero « all'autorità un ben altro intervento (!) »; onde unico còmpito del governo rimaneva quello di assistere alle conseguenze della sua pro-vocazione, » finché non fosse turbato l'ordine pubblico ».
Con una cosi inedita interpretazione del medesimo — da ritenersi dunque illeso finché non accadano uccisioni di persone —, e con una inversione tanto disinvolta del problema giuridico, esposta senza chiose dall'organo nazionalistico, come meravigliare se molta parté del pub-blico, suggestionato intanto dai sofismi apologetici di altri e men inconsapevoli coltivatori borghesi dell'infezione anarchica, fini per accogliere senza sospetto la leggenda x della cecità e caparbietà » della ditta recalcitrante? (2).
(1) Bologna, 1920, p. 7 e *egg.
(2) Effetto dei tendenziosi commenti -della stampa locale fu in gran parte la erronea opinione che sulle ragioni, le faBi e la soluzione del conflitto si diffuse in ambienti per necessità men bene informati. Sintomatico, da questo punto di vista, sembrami il giudizio che, anche recentemente, pronunciava sull'episodio un benemerito foglio ebdomadario, la cui equità di educativi intendimenti nessuno può porre in dubbio. Sul n. 34(21 agosto 1920) di Le otto ore leggiamo infatti ehe, nel caso Mazzonis, fu colpa del governo non aver applicati provve-dimenti punitivi alla ditta, non appena respinse il lodo, dichiarandosi con ciò x ribelle», e non aver preteso una pubblica ammenda onorevole allorché il reo laudabiliter te subiecit.
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Ma la scriminante della sorpresa buona fede non parmi possa ugualmente invocarsi dalla Confederazione industriale, che, disinte-ressandosi della questione di principio, si limitò a dichiarare, a cose finite, che, ove alcunché di simile dovesse accadere ad un suo socio, essa entrerebbe in campo a bandiere spiegate. Il poco ossequio dimo-strato dai Mazzonis alla grande organizzazione padronale aiuta forse a comprenderne la ostentata neutralità. Non può tuttavia disconoscersi che la federazione perdette una buoiia opportunità di dimostrarsi interprete autorevole, oltreché di un npcfeo di interessi privati, dell^ ragioni stesse da cui dipende la prosperità economica dell'industria! Alcuni anni addietro, la requisizione governativa dell'azienda tramviaria napoletana, compiuta con ben maggior rispetto della legalità formale, a prosecuzione di un servizio pubblico indispensabile, aveva suscitate, per parte della lega, le più fiere proteste. Il precedente meritorio poteva opportunamente venire oggi ricordato a sostegno di una analoga, ed assai meglio giustificata, solidarietà di classe. Intesa come semplice protezione limitata ai propri iscritti, questa corre rischio di confondersi con l'omertà che tende a prevalere nel sindacalismo operaio, secondo cui il diritto non esiste per l'individuo isolato, mentre pel raggrup-pamento di compagni non esiste il reato. Ma, a ciò ridotti i suoi intenti ideali, il prestigio di una rappresentanza di classe diviene una sem-plice questione di forza. E lo imparò a sue spese la grande federazione pochi mesi dopo, quando alle proteste del suo interprete parlamentare per l'acquiescenza del governo alla violenza armata di cui era vittima, udì opporre dal presidente del consiglio quel tollerato precedente a preziosa giustificazione del proprio pilatismo opportunistico.
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Qualche riserva suggerisce pure il giudizio che da economisti, d'al-tronde affatto consenzienti nel nostro punto di vista, venne pronunziato circa taluni aspetti del contegno dei Mazzonis verso la duplice orga-nizzazione.
Osservò, fra gli altri, l'Einaudi che il sistema del patronato, da essi tipicamente incarnato, e cioè quello dell'imprenditore che rivendica la cura di regolare liberamente le condizioni del lavoro nella propria azienda, facendosi al tempo stesso un dovere di adottare le norme più adatte al benessere materiale e morale degli operai, è invecchiato e sta morendo, nei suoi fautori dottrinali e nei suoi realizzatori.
Ora, se ciò è innegabile in massima, non devesi però intendere in senso troppo assoluto. Meriterebbero- d'esser studiati i sintomi di
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venza caratteristica che il vecchio metodo presenta in Inghilterra, dove, specialmente durante la guerra, ed in corrispondenza all'assun-zione di una abbondante mano d'opera femminile, molti industriali si fecero spontanei iniziatori di procedimenti di welfare tv'ork, di cui il ministero del lavoro, dopo averli sottoposti a minute inchieste, si adoprò a diffonder la pratica in campi sempre più estesi. Il massimo patrocinatore ed applicatore della tendenza, lord Leverhulme, in un libro consacrato ad illustrarne i risultati (1), l'ha modernamente teo-rizzata, spogliandola degli attributi etico-religiosi del vecchio patronato del Le Play, per richiamarla al principio economico del ben inteso, reciproco tornaconto. E la commissione americana, inviata dal National industriai conference board a studiare diagnosticamente la crisi sociale europea, ha segnalato come buon sintomo il propagarsi di simili idee in sezioni importanti dell'iudustria del Regno Unito, pur notando le difficoltà che esse incontrano per la incoercibile antipatia operaia contro qualunque apparenza di paternalismo (2).
La verità è che, oltre Oceano, la sollecitudine intelligente degli imprenditori per l'elevazione fisica intellettuale e morale dei loro dipen-denti si è ormai trasformata, attraverso una larga, probante esperienza, in un canone di buon successo negli affari, a cui han reso omaggio fra i primi i creatori dei colossali organismi che individuano, di fronte • al mondo, la fisionomia peculiare di quella industria (3).
Anziché il tipo di tirannelli industriali in ritardo, che loro fu par-tigianamente attribuito, i Mazzonis incarnavan in sè questa modernis-sima e simpatica (anche sè non sempre fortunata) figura di impren-ditore, che rifiuta di piegarsi all'uniformità di tariffe e di condizioni generiche soltanto per poterle perfezionare ed adattare genialmente, in conformità dei particolari bisogni, ed in uno spirito di collabora-zione feconda coi propri dipendenti. Astrazion fatta dalle numerose liberalità con cui essi soccorrevano necessità improvvise e non previste di costoro e delle loro famiglie, il sistema di salari a premio vigente
(1) Gfr. The six hourt day and otlier industriai questioni. Londra, Fisher and Unwin 1918.
(2) Cfr. Problemi of labor and induilry in Great Britain, Franee and Italy. Boston, novembre 1919, pag. 212 e segg.
La prova di squisita civiltà data ultimamente dai massimalisti torinesi, inter-venuti in massa al teatro regio a sabotare un concerto popolare di musica classica, sussidiato dagli industriali a scopo di istruzione delle masse, conferma gli ostacoli pratici contro cui urtano, nnche e specialmente fra noi, pel difetto di educazione del proletariato, tentativi consimili.
(3) Vedi la recente, suggestiva inchiesta di J. M. TARBELL, La règie d'or dei affdires, Parigi, Payot, 1920.
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nei loro stabilimenti era tale da giustificare il vanto che, fra gli indu-striali italiani, nessuno lavorasse a minor costo, pure pagando salari superiori alla media, come l'esperienza dimostrò (1).
L'arbitrio dell'autorità, che interruppe con la violenza il felice ed educativo esperimento, pone dunque nettamente per principio esser vietato in Italia di applicare sistemi di rimunerazione diversi da quélli convenuti fra le grandi organizzazioni di categoria, anche se più van-taggiosi agli operai.
Per tappe accelerate procede così alla paralisi dello spirito di intra-prendenza progressivo il regime economico-sociale emergente dalla rinascenza corporativistica.
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Ponendoci dal punto di vista degli interessi sindacali operai, il breve periodo di gestione diretta riesce non meno istruttivo.
Una singolare contraddizione scaturisce anzitutto fra il principio affermato come assioma dalle organizzazioni circa l'illiceità dei patti individuali deroganti alle, stipulazioni collettive di categoria, e la