SOMMARIO. — I. L'intervento statale nella vita economica nel periodo bellieo e post-bellico. — II. La legislazione sociale in Italia negli ultimi anni. — III. Raffronti tra la legge sull'assicurazione obbligatoria contro l'invalidità e la vecchiaia in Italia, in Francia e in Germania. — IV. Raffronto tra le disposizioni legislative emanate in Italia sull'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, la legge inglese ed il progetto tedesco. — V. Il progetto italiano di assicurazione obbligatoria contro la malattia, la legge tedesca e quella inglese. — VI. Estensione data all'assicurai-.! oue obbligatoria contro gli infortuni agricoli in Italia in confronto con la legge estera. — VII. Il progresso compiuto dall'Italia nel campo delle assicura-zioni sociali nel periodo post-bellico.
I. — Di fronte al conflitto formidabile che si sta svolgendo tra capitale e lavoro, e che, specialmente nell'incerto e difficile periodo post-bellico, ha assunto proporzioni gravissime e forme non di rado violente, presenta uno strano contrasto il notevole progresso compiutosi nel campo della legisla-zione sociale nel corso di questo storico periodo. Pur in mezzo ad aspre e cruenti lotte si ebbe infatti, negli ultimi anni, in Italia specialmente, un rifio-rire di leggi tutrici del lavoro. Ormai la legislazione sociale è, si può dire, diventata il codice della civiltà moderna, tanto vasta è stata l'applicazione di queste norme in tutti i paesi civili. Dalle leggi di protezione del lavoro dèlie donne e dei fanciulli a quelle sull'assicurazione obbligatoria contro la disoc-cupazione, dalle leggi sul riposo settimanale all'assicurazione contro l'invali-dità e la vecchiaia, dalle leggi che tutelano l'igiene e la sicurezza nelle fab-briche all'assicurazione contro le malattie, dalle varie forme di intervento statale nei conflitti tra capitale e lavoro all'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, è tutto un complesso di leggi e di norme che mirano ad elevare il tenor di vita ed il livello morale ed intellettuale della classe operaia, e ad attenuare, per quanto è possibile, il formidabile urto tra capitale e lavoro. Si è, infine, accentuato il movimento verso l'unificazione internazionale delle leggi sul lavoro, la cui prima idea si fa risalire a Roberto Owen (1), ed alla quale, dopo vari e ripetuti altri tentativi, il Congresso di Washington del 1919 ha cercato recentemente di dare particolare impulso. "
(1) AGUSAYA, International Labor Législation (New-Yoik, 1920), pag. 17 e eeg.
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Sono ormai lontani i tempi in cui l'intervento dello Stato nella vita eco-nomici si riteneva, secondo l'opinione degli scrittori della scuola ottimista, sempre dannoso, quale elemento perturbatore;, chè, anzi, non abbiamo forse mai assistito, come nel periodo bellico e post-bellico, ad un così frequente ed insistente intervento statale in tutti i rapporti della vita economica.
Fu un vero eccesso dell'azione dello Stato, che, soltanto le eccezionali circo-stanze dalla guerra create, potevano in parte giustificare: dalle leggi e dai decreti sugli approvvigionamenti e sui prezzi dei più svariati prodotti, rego-lati da una multiforme varietà di calmieri, al moltiplicarsi delle leggi pro-tettrici del lavoro, dalle poco soddisfacenti esperienze dello Stato industriale, all'intervento dello Stato nell'economia agraria e nel mercato delle case a base di vincolismi e di restrizioni, dalle limitazioni delle importaziobi e delle espor-tazioni non soltanto nei rapporti verso i paesi esteri, ma anche tra provincia o provincia, all'ingerenza, infine, ed al controllo dello Stato nella vita indu-striale.
Ma, a parte questi eccessi di intervento statale, degeneranti nella tutela u paternalistica » dello Stato, è ormai generalmente ammesso che la funzione di questo, circoscritta entro determinati limiti, è integratrice dell'opera indi-viduale, e che, anzi, l'intervento statale è necessario in quei casi nei quali l'azione individuale libera si trasformi in azione anti-sociale. Di qui appunto hanno origine le varie leggi tutrici del lavoro, miranti a proteggere gli operai con misure preventive e con provvedimenti repressivi, onde impedire qualsiasi forma di sfruttamento, il quale deve essere combattuto sia per considerazioni di carattere etico, sia anche per impedire una menomazione dell'integrità fi-sica del lavoratore, e dell'efficienza quindi di uno degli elementi essenziali della produzione.
II. — Se ci facciamo a considerare le recenti leggi sociali attuate nel nostro paese, e queste paragoniamo con quelle degli altri Stati, possiamo rile-vare un primo tratto caratteristico nel crescente sviluppo delle varie forme di previdenza sociale introdotte in Italia nel corso di questi ultimi anni.-Il nostro paese che, in confronto di altri più progrediti in fatto di legislazione sociale, come, per esempio, l'Inghilterra, la Germania e la Francia, aveva attuato in questo campo ancora scarse riforme, guadagnò negli ultimi anni il tempo perduto.
Risale, infatti, al periodo post-bellico, oltre al progetto di assicurazione obbligatoria contro le malattie, l'istituzione delle due principali forme di assi-curazione sociale: l'assiassi-curazione obbligatoria contro l'invalidità e la vecchiaia, e l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria. Questi due tipi di assicurazione insieme con quella sugli infortuni, applicata soltanto col 1° maggio 1919 ai lavoratori della campagna, costituiscono le forme di
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videnza sociale che hanno assunto nella nostra legislazione particolare impor-tanza. Importanza essenziale dal punto di vista sociale, ma anche non trascu-rabile da quello economico. Infatti è evidente che la legislazione del lavoro, in quanto ha per fine di tutelare l'igiene, la salute e la vita degli operai, mentre adempie all'alto còmpito di provvedere al benessere della classe lavo-ratrice, di elevarne e migliorarne le condizioni di vita, di diffondere nella classe operaia lo spirito di previdenza, può anche servire a ridurre il costo di produzione e ad accrescere in tal modo la produttività del lavorataci il quale viene così a trovarsi in ambienti igienici, meglio protetto contro i danni degli infortuni, contro il pericolo delle malattie e le incertezze di una saltuaria occupazione, e può quindi prestare un'opera più proficua e di maggior rendimento.
Le assicurazioni sociali possono adunque essere considerate, oltre che dal loro aspetto essenziale, cioè dal punto di vista sociale, anche dal punto di vista economico. Ma nel considerare il bilancio economico delle assicurazioni sociali, occorre tener conto non soltanto della maggiore produttività che esse possono determinare, ma anche degli oneri che inevitabilmente fanno gravare sull'industria, oneri tutt'altro che indifferenti, da quel che risulta da alcune inchieste compiute intorno alia pressione esercitata dalle spese di carattere sociale sui vari rami di produzione.
Da un interessante studio fatto parecchi anni fa in Germania dall'iTatjsa
Band sulle società per azioni tedesche relativamente al periodo che dal 1900 va al 1909, risultò che gli oneri sopportati dall'industria e dal commercio, per le assicurazioni sociali, erano cresciuti al 2,14 % del capitale azionario, ed al 23,37 % del dividendo (1).
Molto minore è stato sinora l'onere derivante dalle spese per le assicura-zioni sociali in Italia. Dall'inchiesta fatta dal Geissefr e dal Borgatta sulle società per azioni in Italia per il periodo 1909-1913, risultò infatti che le spese per le assicurazioni obbligatorie (infortuni e cassa di maternità) rap-presentavano appena il 0,20 % del capitale ed il 3,09 % dei dividendi ; e che, a questi oneri aggiungendo quelli delle assicurazioni allora non obbligatorie, ma alle quali le imprese delle società per azioni sono in generale tenute mag-giormente che non i privati industriali, tenendo cioè conto anche delle spese apparentemente facoltative, per la Cassa Nazionale di Previdenza degli operai, per la previdenza e l'istruzione degli impiegati, per la loro assistenza ospe-daliera, ecc., gli oneri delle spese sociali salirebbero al 0,78 % dei capitali ed al 12,31 % dei dividendi per le società meccaniche, al 0,71 a/o dei capitali ed al 7,12 °/0 dei dividendi per le società metallurgiche, al 0,34 % dei capi-tali ed al 12,45 % dei dividendi per le società cotoniere (2).
Molto interessante riescirebbe senza dubbio una precisa inchiesta sugli oneri
(1) Cfr. Die Òffentliche rechtlichen Belastu nqen voti Gewerbe Ha ti del und Industrie, pag. 8 e eeg.
(2) Cfr. A. GEISSHR U G . BORGATTA, La pressione tributaria su le società per anioni in Italia, pag. 167.
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sociali gravanti attualmente sull'industria italiana, dopo che vennero intro-dotti i recenti decreti sulle nuove forme di previdenza, delle quali, oltre al considerare la portata sociale, economica e finanziaria, non sarà privo di inte-resse richiamare i tratti caratteristici in confronto alle disposizioni della legi-slazione estera.
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III. — Considerando i lineamenti essenziali dell'assicurazione contro l'inva-lidità e la vecchiaia, introdotta in Italia col decreto-legge del 21 aprile 1919, appare anzitutto una notevole affinità con la legislazione germanica, non sol-tanto per l'organizzazione tecnica, ma anche per quella amministrativa; poiché la Cassa per l'assicurazione sociale deve costituire il centro di tutti gli altri istituti di previdenza sociale, dovendo far capo ad essa la Cassa per le malattie, quella per la disoccupazione e la Cassa, infine, per l'assicurazione infortuni. Anche da noi venne introdotto, come è noto, il sistema tedesco del triplice contributo: dell'assicurato, del datore di lavoro e dello Stato. Sistema seguito in gran parte anche dalla Francia, dalla Svezia, dalla Rumania e da altri paesi. Così pure risulta evidente la rassomiglianza con l'assicurazione introdotta in Germania, sia per la regolamentazione della pensione di invalidità e vecchiaia, sia per quel che riguarda la determinazione delle categorie di persone soggette all'obbligo dell'assicurazione.
L'estensione data nella legislazione italiana a questa forma di assicurazione obbligatoria è particolarmente notevole, e, se non è pari a quella stabilita nella Svezia con la legge 30 giugno 1913, la quale imponeva l'obbligo del-l'assicurazione a tutti i cittadini che godono di un certo reddito, ed è in realtà una forma di assicurazione obbligatoria associata col sistema dell'assi-stenza, è però superiore di estensione a quella stabilita con la legge tedesca
e con quella francese.
Mentre, infatti, in Germania l'obbligo dell'assicurazione è imposto, oltre che ai lavoratori manuali, anche agli impiegati, quando questi abbiano un assegno annuo non superiore ai 2000 marcili, in Italia tale obbligo è esteso, oltre che ai lavoratori manuali, agli impiegati che hanno uno stipendio annuo di L. 4200. Mentre in Francia sono esclusi dall'obbligo dell'assicurazione, qualunque sia il loro reddito,-i mezzadri ed i fittavoli, per i quali è stabilita una partico-lare forma di assicurazione libera integrata dallo Stato, in Italia è soggetta all'assicurazione obbligatoria anche questa categoria di lavoratori, quando il reddito annuo, accertato o presunto che si ricava dal fondo, non superi lire 3600 per un membro almeno della famiglia soggetta all'assicurazione.
Si aggiunga infine la larga applicazione delle forme di assicurazione facol-tativa, disciplinata col decreto legge del 19 aprile 1919, e apparirà evidente come il legislatore italiano abbia voluto dare un'estensione assai notevole ad un provvedimento ispirato ai più nobili sentimenti di umanità, il quale mira ad eliminare nell'esistenza dei lavoratori manuali e dei piccoli impiegati l'eventualità di una incerta vecchiaia, ed offre loro, in pari tempo, un prezioso aiuto in caBO di precoce incapacità al lavoro.
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-È notevole inoltre il fatto che in Italia il contributo a carico dello Stato per la pensione di vecchiaia e di invalidità — stabilito in L. 100, qualunque sia la pensione — è superiore alla quota di integrazione dello Stato in Ger-mania, indistintamente fissata in 50 marchi ; ed è anche superiore alla quota di concorso stabilita dalla legge francese del 1915, perchè, secondo questa, lo Stato deve versare bensì Fr. 100 per ogni pensione, ma soltanto quando dal-l'assicurato siano state pagate 30 annualità, mentre il contributo dello Stato viene ridotto proporzionalmente quando l'assicurato abbia pagato un numero minore di annualità (1).
La pensione di vecchiaia è concessa in Italia, in linea generale, all'età di 65 anni come in Germania; in Francia invece è liquidata a 60. Naturalmente è necessario che sia stato versato il minimo di contributi prescritte: che siano cioè stati corrisposti 240 contributi quindicinali secondo il nostro decreto-legge, corrispondenti a 10 anni di assicurazione, e 1200 contributi settimanali (circa 23 anni di assicurazione) secondo le disposizioni vigenti in Germania
Tanto in Germania quanto in Italia il contributo varia secondo il salario dell'operaio; mentre in Francia la quota da versarsi è fissa ed invariabile, e differisce soltanto a seconda che si tratti di operai o di operaie o di ragazzi di età inferiore ai 18 anni (L. 9 per gli uomini, L. 6 per le donne, L. 4.50 per i ragazzi, all'anno).
Per la pensione di invalidità in Italia si richiede come minimo un versa-mento di 120 contributi quindicinali (5 anni di assicurazione), mentre in Ger-mania basta aver versato 200 contributi settimanali (2 anni circa di assicu-razione). La legislazione germanica, però, è più restrittiva, in quanto stabilisce una vera e propria decadenza del diritto della pensione di invalidità, se l'as-sicurato entro il periodo di due anni non può far valere il versamento di almeno 20 contributi settimanali. In Francia la legge è ancora più liberale verso l'invalido, perchè, anche se questo ha corrisposto una sola annualità, ha diritto ad una pensione, per quanto il contributo dello Stato. diminuisca quando l'assicurato abbia fatto pochi versamenti; ma la pensione massima, complessiva, non può superare le 360 lire (2), mentre in Italia essa varia a seconda dei versamenti fatti e può quindi superare assai questo limite.
Si nota, infine, che la pensione di vecchiaia, a diversità della pensione di invalidità, la quale aumenta progressivamente in rapporto ai versamenti fatti, non può superare i 230 marchi in Germania, mentre in Italia tanto la pen-sione di vecchiaia quanto quellà di invalidità sono stabilite in ragione dei ver-samenti fatti, e quindi possono raggiungere una cifra più elevata di quella sta-bilita dalla legge tedesca. La legislazione italiana, per quel che riguarda la pensione di vecchiaia e di invalidità, appare adunque più larga nella sua estensione e, sotto vari aspetti, più liberale che non quella germanica e quella
francese.
(1) Cfr. F. CHHSSA, L'assicurazione obbligatoria contro l'invalidità e la vecchiaia in Italia e la sua estensione (Bollettino Municipale del Lavoro di Roma, mario
1920, pag. 87).
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IV. — Un altro provvedimento di particolare importanza nella moderna legislazione sociale è l'assicurazione contro la disoccupazione, che l'Italia attuò in forza del decreto-legge del 19 ottobre 1919, precedendo paesi assai pro-grediti nel campo della legislazione sociale, come la Germania e l'Inghilterra, la quale ultima aveva estesa questa forma di assicurazione soltanto ad alcune industrie con la legge del 1911 e doveva poi applicare largamente questa forma di assicurazione sociale con la legge del 9 agosto 1920, entrata in vigore il 18 novembre 1920; mentre in Germania è tuttora allo studio un . progetto di legge sull'assicurazione obbligatoria.
Sono trascorsi ormai molti anni dacché il Sismondi nei suoi « Principi di Economia Politica » proponeva il sistema dell'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, il quale doveva, soltanto nella moderna economia industriale, trovare pratica attuazione. Il primo esperimento dell'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione è stato fatto a San Gallo nella Svizzera sin dal 1894, ma fu un esperimento di breve durata. Oltre una prima applicazione in Inghilterra nel 1911, per quanto limitata ad alcune speciali industrie, l'assi-curazione obbligatoria contro la disoccupazione fu introdotta in Olanda nel 1916, e più tardi, dopo la guerra, anche in vari altri paesi. L'Austria, senza creare una vera e propria assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, ha costituito un fondo di assicurazione, al quale lo Stato contribuisce per un terzo, mentre gli altri due terzi sono versati dall'assicurato e dal datore di lavoro; e la Svizzera ha messo in vigore un sistema provvisorio di assicura-zione obbligatoria il 16 novembre 1919, in via provvisoria, finché venga pro-mulgata una legge definitiva.
L'Italia ricorse ben presto all'assicurazione obbligatoria, il rimedio sul quale si fece maggiore assegnamento dopo che la crisi mondiale venne aggravan-dosi, determinando una disoccupazione generale.
Raffrontando la legislazione italiana con quella inglese e con il progetto tedesco, appare una certa affinità nell'ordinamento di questa forma di assi-curazione.
E notevole, anche in questo caso, l'estensione data dal legislatore italiano a questa forma di assicurazione. Mentre in Inghilterra, secondo la legge del 9 agosto 1920, ed in Germania, secondo il progetto di legge sopra ricordato, si escludono dall'obbligo dell'assicurazione, oltre i dipendenti dello Stato, delle Provincie e dei Comuni, oltre a coloro che lavorano a domicilio e le persone addette a servizi privati ed altre categorie di minore importanza, anche tutti i lavoratori della campagna, in Italia questi ultimi sono pure sottoposti all'ob-bligo dell'assicurazione.
Inoltre in Inghilterra il contributo per l'assicurazione è per metà a carico dell'assicurato e del datore di lavoro; mentre in Italia lo Stato interviene ad integrare la quota versata dalle due parti. È infatti istituito presso l'Ufficio Nazionale per il collocamento e la disoccupazione un fondo per la disoccupa-zione involontaria, costituiti dai residui dei fondi stanziati precedentemente per la disoccupazione, da una quota dei contributi per l'assicurazione obbliga-toria contro la disoccupazione, e da una annualità versata dallo Stato, che
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per i tre primi esercizi, a partire dal 1920-21, è di quaranta milioni all'anno, e successivamente non potrà in nessun caso superare il terzo della media dei sussidi corrisposti nel termine precedente.
In Francia non abbiamo una vera e propria assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione; ma con decreto 17 ottobre 1919 è imposto un con-corso dello Stato a quello dei datori di lavoro, nella formazione dei fondi di disoccupazione municipali e dipartimentali. I sussidi, a cui dà diritto l'assi-curazione, sono abbastanza elevati in Italia in confronto ai sussidi a cui dà diritto l'assicurazione in Inghilterra. In Italia sono stabiliti in ragioBe della retribuzione percepita dal lavoratore, e quando questa superi le 8 lire, arri-vano, come è noto, a lire 3,75 al giorno; mentre in Inghilterra il sussidio, stabilito in misura fissa, senza tener conto della retribuzione percepita prima dal lavoratore, è ora stato elevato a 18 scellini per settimana per gli operai ed a 15 scellini per le operaie. In Germania il sussidio deve essere stabilito in ragione del salario locale.
Anche il periodo, per il quale l'assicurato può godere del sussidio, è mag-giore in Italia e giunge sino al massimo di 120 giorni per anno solare, quando siano stati versati non meno di 36 contributi quindicinali ; e secondo le dispo-sizioni transitorie in vigore prima che fosse attuato il decreto-legge sull'assi-curazione, il sussidio poteva essere corrisposto per 180 giorni, ed in alcuni casi speciali ancora per 90 giorni in più.
In Germania il periodo massimo perii quale si ha il diritto al sussidio, in base al progetto, è di 13 settimane.
In Inghilterra il sussidio è corrisposto per un periodo massimo di 15 set-timane in ciascun anno di assicurazione. Però se la nostra legislazione è più liberale in quanto concede il sussidio di disoccupazione per un più lungo periodo di tempo, è invece più restrittiva per quel che riguarda il massimo dei contributi richiesti per aver diritto al sussidio: 24 contributi quindicinali in Italia, 26 contributi settimanali in Germania, 12 contributi settimanali in Inghilterra. Occorre inoltre ricordare che, secondo il progetto tedesco, il sus-sidio può essere pagato anche in caso di disoccupazione stagionale, mentre, secondo il nostro decreto-legge, è escluso il pagamento del sussidio nel caso di disoccupazione durante la cosidetta stagione morta.
Una disposizione caratteristica è quella stabilita nella legge inglese per il rimborso, all'età di 60 anni, dei contributi versati. Infatti gli assicurati che hanno versato 500 contributi (o un numero minore, se essi sono stati assicu-rati dopo i 55 anni) hanno diritto al compimento del 60° anno al rimborso delle quote versate (dedotti i sussidi eventualmente pagati), aumentate degli interessi.
L'assicurazione contro la disoccupazione, la quale dalla forma libera ed autonoma è assurta ora a quella obbligatoria, ed ebbe già larga attuazione in diversi Stati, doveva nell'intendimento del legislatore italiano essere estesa ad un largo numero di lavoratori. Essa dà diritto ad un sussidio, il quale, per quanto non molto elevato, se considerato assolutamente — poiché è piut-tosto un complemento di altri redditi che non un reddito sufficiente per