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Il contributo di Paolo di Tarso e dei Padri della Chiesa

6. L A T EORIA DEL P REZZO G IUSTO

6.2 Il contributo di Paolo di Tarso e dei Padri della Chiesa

I Padri della Chiesa, come Agostino (354-430), Ambrogio (337-397), Gregorio Magno (540-604), si caratterizzano per un atteggiamento maggiormente sospettoso rispetto all’attività commerciale, accentuando alcune perplessità già evidenziate nell’ambito del pensiero greco-romano. Lo stesso Aristotele, infatti, distingue l’acquisizione legata al soddisfacimento dei bisogni (positiva) dall’accumulo bramoso dei beni (negativo). Secondo Baldwin (1959), tuttavia, in questa fase è probabilmente più importante l’influenza di Platone (427 a.C.-347 a.C.) e anche di Cicerone rispetto a quella di Aristotele. Nondimeno, i primi elementi critici verso l’accumulo di ricchezze sono presenti già nel nuovo dal Nuovo Testamento.

Infatti, già agli albori del Cristianesimo sono affrontati i temi del comportamento dell’uomo nell’ambito economico ed il rapporto con la ricchezza. In particolare, la voce più autorevole in questo senso è senz’altro quella dell’apostolo Paolo di Tarso (5/10- 64/67), che imposta una tendenza che diverrà molto profonda, specie in ambito cattolico. Paolo affronta queste tematiche soprattutto nelle lettere indirizzate a Timoteo ed ai Tessalonicesi.

Infatti, oltre a predicare per i ministri della Chiesa (vescovi e diaconi) il distacco dalle ricchezze, egli evidenzia, più in generale, i rischi dell’attaccamento al denaro, definito causa di tutti i mali…Al contrario coloro che vogliono arricchire, cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste, che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L'attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori (Paolo di Tarso, I Lettera a Timoteo).

Della seconda lettera a Timoteo, oltre all’inclusione del denaro tra i peggiori mali, va evidenziato il riferimento verso un impegno corretto nel proprio lavoro e la necessità che a questo corrisponda un adeguato compenso…Anche nelle gare atletiche, non riceve la

corona se non chi ha lottato secondo le regole. L'agricoltore poi che si affatica, dev'essere il primo a cogliere i frutti della terra (Paolo di Tarso, II Lettera a Timoteo).

Nelle lettere ai Tessalonicesi, Paolo esprime parole che fanno riferimento sia al comportamento nei confronti degli altri, anche in ambito lavorativo, sia all’operosità e all’importanza del lavoro, in particolare, di quello manuale. Infatti, relativamente al primo argomento, Paolo afferma: che nessuno offenda e inganni in questa materia il proprio fratello, perché il Signore è vindice di tutte queste cose, come già vi abbiamo detto e attestato (Paolo di Tarso, I Lettera ai Tessalonicesi).

I riferimenti al lavoro sono, invece, contenuti in entrambe le lettere…vivere in pace, attendere alle cose vostre e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, al fine di condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e di non aver bisogno di nessuno (Paolo di Tarso, I Lettera ai Tessalonicesi), e ancora …non abbiamo vissuto oziosamente fra voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi… chi non vuol lavorare neppure mangi…mangiare il proprio pane lavorando in pace (Paolo di Tarso, II Lettera ai Tessalonicesi).

Secondo Baldwin (1959), queste parole sono indicatrici di due tendenze che caratterizzano una parte importante del pensiero economico cristiano fin dalle origini, da un lato, l’atteggiamento diffidente nei confronti delle attività commerciali e comunque meno aperto rispetto all’epoca romana pre-cristiana, nella quale venivano anche giustificate le truffe, seppur entro certi limiti, dall’altro, la centralità del fattore lavoro. In tal senso, queste parole evidenziano anche l’importanza sociale del lavoro e la necessità di un’etica nelle attività economiche.

Le affermazioni in ambito economico di Paolo, pertanto, sembrano giustificare il profondo sospetto col quale i Padri della Chiesta vedono l’attività commerciale e, più in generale, coloro che la praticano, i quali vengono ritenuti complessivamente individui che molto più facilmente degli altri possono cadere in fallo, secondo alcuni autori in maniera inevitabile. In generale, non è considerato impossibile per un ricco assurgere in Paradiso ma la difficoltà è legata al contrasto tra il tipo di attività praticata ed i valori morali propugnati dalla Chiesa. In particolare, secondo molti Padri della Chiesa, è l’attività commerciale in sé ad essere basata sulla cupidigia, la quale è, per molti di essi, causa di tutti i mali, ovvero il commerciante deve quasi inevitabilmente mentire ed adottare altri comportamenti condannabili: I mercanti lavorano giorno e notte andando contro i principi dell’integrità (Ambrogio, De officiis ministrorum ministrorum, Lib. III, cap. 9, P.L. 16: 161, 162). La sfiducia verso la contrattazione assume connotazioni ancora più generali presso alcuni pensatori, fino ad allargarsi anche agli acquirenti, come in Leone Magno (390-461): E’ difficile per il venditore e l’acquirente non incorrere nel peccato (Epistola CLXVII, P.L. 54: 1206) (Baldwin, 1959).

Tali comportamenti acquistano particolare gravità soprattutto se si verificano anche per i beni alimentari di base, poiché possono influenzare in maniera determinante la vita dei cittadini. Sotto questo aspetto particolarmente veementi risultano le critiche di Ambrogio contro coloro che cercano di accumulare ricchezze a spese degli agricoltori (Baldwin, 1959; Ambrogio, De officiis ministrorum, Lib. III, cap. 6, P.L. 16: 157, 158).

Tuttavia, sia Ambrogio sia Agostino giungono alla conclusione che non sono i mestieri in sé da condannare ma il modo immorale di esercitarli, in questo senso sono più aperti di altri Padri della Chiesa (Baldwin, 1959). Ciononostante, l’attività commerciale continua ad essere vista come soggetta ad un maggior rischio di incorrere in peccato rispetto ad altre (es. coltivatore).

Secondo Baldwin (1959), nel De Civitate Dei, Agostino individua due sistemi di valutazione dei beni. Il primo basato sull’ordine naturale, il secondo sul soddisfacimento dei bisogni dell’uomo. Tale impostazione sarà importante per i successivi sviluppi di epoca scolastica. Infine, sempre Baldwin (1959) evidenzia come alcuni autori moderni facciano risalire al De Trinitate di Agostino uno dei primi esempi di prezzo giusto, con il racconto dell’acquisto del manoscritto di valore8.