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Il prezzo giusto nelle culture islamica ed ebraica

6. L A T EORIA DEL P REZZO G IUSTO

6.7 Il prezzo giusto nelle culture islamica ed ebraica

Il contributo delle culture non europee al dibattito sul tema del prezzo giusto e, più in generale, allo sviluppo del pensiero economico occidentale, è stato spesso trascurato. Per contestualizzare tale fenomeno appare utile un accenno a quella che è stata definita la Teoria del grande gap (Schumpeter, 1954). Schumpeter, infatti, nella sua analisi della storia del pensiero economico a partire dall’epoca greca, evidenzia un grande vuoto nei cinquecento anni che hanno preceduto gli autori Scolastici. Tale tesi, che ha avuto grande seguito anche in epoca recente14, tende a trascurare il contributo di numerosi autori, specie

di cultura islamica, nonostante la loro produzione fosse ben nota all’epoca dei suoi scritti (Ghazanfar, 1995). Nella critica mossa a questa visione, Ghazanfar (1995), al contrario, rileva l’importanza dell’ampio contributo degli autori islamici al pensiero, e più in generale, alla cultura europei, specie in epoca medievale. È notorio, infatti, come molta parte del pensiero greco sia pervenuto in Europa tramite gli autori islamici e lo stesso Aristotele sia giunto probabilmente a Tommaso in questo modo. A questo proposito va ricordato come nelle Università, Napoli e Parigi, presso le quali si è formato il d’Aquino fossero presenti testi di autori islamici e come, soprattutto, a Napoli fosse forte l’influenza della cultura islamica (Hoisseini, 2003). Del resto, proprio nel Medioevo la civiltà islamica si caratterizzò per una fertile produzione scientifica e culturale che originò o trasferì molte nuove conoscenze, contribuendo in maniera consistente allo sviluppo anche della società europea (Ghazanfar, 2003a). Del resto, lo stesso Schumpeter (1954) ammette quella che chiama la mediazione semitica, in particolare operata da grandi autori islamici ed arabo-ebraici, quali Avicenna (980-1037), Averroè (1126-1198) e Maimonide (1135- 1204)15.

Ritornando alla discussione intorno al prezzo giusto, l’autore islamico con il quale è possibile osservare la più forte comunanza con Tommaso è senz’altro al-Ghazali (1058- 1111), pensatore persiano vissuto oltre cento anni prima dell’Aquinate. Entrambi questi autori presentano legami col pensiero greco e, in particolare, cercano di giustificare il pensiero aristotelico, l’uno in chiave islamica, l’altro in chiave cristiana (Ghazanfar, 2003a). Relativamente al pensiero economico, va evidenziato come entrambi vedano l’attività economica strettamente influenzata da una pulsione etica e, quindi, dalla necessità di garantire una giustizia sociale, che vada al di là dei fabbisogni dei singoli. Ciò giustifica l’aspra critica alle frodi e la ferma condanna dell’usura, nonché i limiti al

      

14 Ghazanfar (1995) ricorda, tra gli altri, i contributi di Newman et al. (Source Readings in Economic Thought. New York: W. W. Norton, 1954), Roll (A History of Economic Thought. 3rd edn. Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall, 1956), Spengler and Allen (Essays in Economic Thought: Aristotle to Marshall. Chicago, 111: Rand McNally, 1960), Spiegel (The Development of Economic Thought.Abridged edn. New York: John Wiley & Sons, 1964) ed in epoca più recente Tower (History of Economic Thought: Economics Reading Lists, Course Outlines, Exams, Puzzles and Problems, Vol. 24. Durham, NC: Eno River Press, Aug. 1990).

15 Va evidenziato come il termine semitico risulti in parte improprio, essendo Avicenna di origine persiana e quindi indoeuropea.

profitto, tutti elementi questi che caratterizzano il pensiero di entrambi gli autori, come evidenziato da Ghazanfar (2003a).

In merito al prezzo giusto16, al-Ghazali, da un lato, riconosce il ruolo delle forze di mercato, volontarie e impersonali, dall’altro evidenzia però la necessità dell’equità del prezzo (Ghazanfar, 2003a). Nella visione dell’autore persiano, pertanto, il mercato è visto non come mero luogo di scambio di beni, servizi e denaro, ma come luogo dove si concretizza una mutua collaborazione tra i diversi operatori e le diverse professioni, alla base della quale vi è un vero e proprio codice etico (Ghazanfar, 2003a).

Proprio per tale ragione, come afferma Ghazanfar (2003a), nel prezzo e negli scambi commerciali è necessario riscontrare una forma di giustizia (sociale) che va al di là della semplice equità; in questo senso è importante anche il ruolo di regolamentazione e controllo operato dallo Stato. Tale punto di vista è sostanzialmente coincidente con quello di un altro autore islamico Ibn Quayyim (1292-1350) (Ghazanfar & Islahi, 2003). Inoltre, al-Ghazali, così come altri autori islamici, estende il concetto di giustizia applicato ai prezzi anche ai salari, così come avviene del resto in ambito occidentale (de Roover, 1958). Infine, analogamente a quanto effettuato da Tommaso nel contesto cristiano, al- Ghazali enfatizza molto l’onestà nei comportamenti degli operatori economici.

Un altro dei principali autori islamici è Ibn Taimiyah (1263-1328), contemporaneo di Tommaso, che afferma come il prezzo giusto (che definisce prezzo equivalente) corrisponda al prezzo comunemente accettato in un dato posto ed in un dato tempo, determinato da domanda e offerta (Hosseini, 2003). Ciononostante, anche per Ibn Taimiyah è necessaria una compensazione qualora il prezzo pagato nel corso della contrattazione risulti fuori da tale livello.

In generale, questi meccanismi di vigilanza sugli scambi economici vanno considerati alla luce della visione di cui sono portatori questi autori, basata sulla creazione di uno stato sociale, seppur in un ambiente orientato al mercato, nel quale lo Stato ha la funzione di promuovere lo sviluppo e la prosperità per i propri cittadini (Ghazanfar, 2003b). Tuttavia, lo stesso Hosseini (2003) fa osservare come nell’Islam siano presenti anche visioni che risultano meno influenzate da istanze etiche e che si oppongono a forme di intervento sui prezzi; alcuni tra i principali rappresentanti di questo secondo filone sono Dimishqi (1256-1327) e Kay Kavus (1021?-1087?).

Di un certo interesse risulta anche l’analisi sviluppata in ambito ebraico con particolare riferimento al Talmud, uno dei testi sacri dell’Ebraismo, che costituisce, di fatto, anche la base per la legislazione ebraica. Secondo Kleiman (1987) l’approccio talmudico si caratterizza per un’impostazione empirica, nata dall’osservazione di problemi concreti e per l’assenza quasi assoluta di connotazione di carattere etico. Questo aspetto marca la differenza rispetto all’impianto aristotelico-tomistico, nonché rispetto a quello di matrice islamica, avvicinandolo, invece, maggiormente all’impostazione romana. Tuttavia, la legge romana sostanzialmente non si preoccupa delle discrepanze rispetto al prezzo giusto, ad eccezione della laesio enormis, cosa invece prevista dai testi ebraici. L’analisi di Kleiman (1987) mostra come tali differenze varino in base al tipo di bene considerato,

      

con la presenza sostanzialmente di tre categorie: moneta, terra, beni generici. Per questi ultimi l’oscillazione rispetto al prezzo giusto, in alto o in basso, era di 1/3 o di 1/6 a seconda dell’epoca presa a riferimento. Per la terra, al contrario, risultava analoga alla laesio enormis, con valore massimo pari al doppio e minimo pari alla metà del prezzo giusto. Tale similitudine ha indotto alcuni autori ad ipotizzare un’influenza diretta degli scritti ebraici sulla legge romana (Dickstein, 1926). Sul denaro, infine, erano previste oscillazioni più modeste (Kleiman, 1987).

Su quale fosse invece il prezzo ritenuto giusto per il Talmud, Kleiman evidenzia come pochi dubbi ci siano sul fatto che fosse inteso quello di mercato, tendenzialmente libero, ritenuto variabile nel tempo e nello spazio. Un aspetto importante nel Talmud è la presenza di precetti che enfatizzano le informazioni fornite sui prodotti che mirano alla trasparenza dei mercati; cosa ancora oggi difficile da ottenere (Kleiman, 1987).

7. I

L PREZZO GIUSTO

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NA PROPOSTA METODOLOGICA