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Una parte dei lavori che riguarda Slow Food affronta il tema della sostenibilità dell’agricoltura, intesa sotto l’aspetto ambientale ma anche economico e sociale. Il presente capitolo fornisce una panoramica di queste pubblicazioni, incentrandosi soprattutto su quei lavori che hanno affrontato la sfida della misurazione, con metodiche quantitative, dei risultati in termini di impatto generale (ambientale, socioculturale ed economico) dei prodotti agricoli, specie dei presìdi Slow Food. Si tratta di lavori che prendono spunto da un’ampia letteratura internazionale.

Infatti, la valutazione complessiva dei risultati delle attività produttive, che non si fermi solo alla misurazione dei principali e più semplici indicatori economici, rappresenta un tema oggi sempre più attuale, specie nel settore agricolo. L’attività agricola, per sua natura risulta caratterizzata da multifunzionalità, con impatti in primo luogo ambientali ma anche con una forte influenza sugli aspetti sociali e culturali dei territori di produzione. Ciò ovviamente assume ancora maggiore rilevanza nel campo dei prodotti locali e tradizionali, proprio per il legame particolare che assumono col proprio areale di produzione.

A ciò si aggiunge il fatto che, negli ultimi cinquant’anni, lo sviluppo dell’agricoltura, a carattere sostanzialmente esogeno, ha sì portato ad un notevole incremento delle rese produttive, ma ha anche causato notevoli problemi di inquinamento, la perdita di biodiversità, e più in generale delle cultura legata alle pratiche tradizionali (Peano et al., 2014). Uno sviluppo di tipo endogeno consente, invece, di usare al meglio e non disperdere le risorse locali (van der Ploeg, 1995). Per Slow Food, ciò non significa fare a meno di qualsiasi apporto esogeno ma di prenderne il meglio modellandolo sulla base delle esigenze territoriali (es. Presìdi Slow Food) (Peano et al., 2014).

Per tali ragioni diverse istituzioni e ricercatori si sono impegnati nella costruzione di griglie di indicatori funzionali a stimare l’impatto complessivo delle produzioni, con particolare riferimento al settore agricolo. Ciò che accumuna tali iniziative è l’impiego di un approccio olistico e, nella maggior parte dei casi, l’obiettivo di fornire strumenti di valutazione ai decisori politici.

Il lavoro di Smith & Dumanski (1994), preparato per conto della FAO, funge da riferimento a livello internazionale per la valutazione della gestione sostenibile del territorio (Framework for the Evaluation of Sustainable Land Management - FESLM). Ciò alla luce delle sfide che riguardano la produzione di cibo in un Mondo contraddistinto da un aumento di popolazione, consumo di suolo e cambiamenti climatici.

Sempre in questo senso uno dei lavori più completi ed interessanti sul tema è stato sviluppato dalla Commissione Europea, la quale ha fornito delle vere e proprie linee guida per la misurazione degli impatti economici, ambientali e sociali (European Commission, 2005).

Un'altra metodologia per la valutazione della sostenibilità sociale, ambientale ed economica delle produzioni agricole e per coadiuvare i processi decisionali, è il sistema MESMIS o NRMS (López-Ridaura et al., 2002).

Un riferimento piuttosto importante e poderoso in materia di valutazione dell’impatto, ambientale e non, delle produzioni agricole è stato fornito da van der Werf & Petit (2002), che analizzano ben dodici metodologie basate su indicatori per valutare l'impatto ambientale a livello di azienda agricola.

Analoga aspirazione presenta il lavoro di Weersink et al. (2002), che, ancora una volta, sottolinea l’importanza di considerare gli aspetti ambientali al di là dei risultati economici in senso stretto, per orientare le decisioni politiche in materia di agricoltura.

In un lavoro più recente con riferimento alla realtà fiamminga, Triste et al. (2014) prendono in considerazione il sistema MOTIFS (MOnitoring Tool for Integrated Farm Sustainability). Il MOTIFS è uno strumento di valutazione della sostenibilità basato su indicatori, i cui risultati vengono aggregati visivamente in un grafico radar (Meul et al., 2008). Sempre allo scopo di proporre uno strumento a favore dei decisori politici, Pacini et al. (2009), hanno effettuato uno studio comparativo di diversi sistemi di valutazione dell’impatto agroambientale, relativo alla realtà della Toscana (Italia), svolti a partire dal 1991; dalla loro analisi risulta una buona adattabilità del modello AESIS (Agro- Environmental Sustainability Information System), focalizzato sull’analisi degli aspetti ambientali e produttivi, ma senza trascurare quelli economici (Pacini et al., 2009).

Schönhart et al. (2008), invece, effettuano un confronto tra il sistema di produzione locale con quello convenzionale, con approccio olistico, considerando le componenti, economica, ambientale e sociale.

Partendo dalla complessità e dell’eterogeneità degli obiettivi perseguiti attraverso il progetto Presìdi, Slow Food, attraverso la Fondazione per la Biodiversità e con l’aiuto di istituzioni accademiche, ha implementato una metodologia per validare l’impatto dei presìdi, a partire dai riferimenti metodologici internazionali summenzionati. Questi indicatori, cercano di tradurre i criteri di selezione dei presìdi4, nonché il motto buono,

pulito e giusto, in numeri. Tale attività ha originato diverse pubblicazioni a carattere scientifico ma anche divulgativo. La metodologia consente di effettuare un’analisi multicriteriale, basata sulla costruzione di una rete di indicatori, al fine di validare gli obiettivi dei presìdi di natura sociale, culturale, ambientale ed economica.

Uno dei lavori più completi in questo senso, prende in considerazione un campione rappresentativo di presìdi europei, per un totale di quarantasette prodotti, ventidue vegetali e venticinque animali (Peano & Sottile, 2012). Va specificato che alcune tipologie (caffè, cacao, tè e infusi, miele e olio) sono state escluse perché poco rappresentate, così come la categoria del pescato, perché segue logiche completamente diverse (Peano & Sottile, 2012).

In questo lavoro gli autori considerano una griglia di circa cinquanta indicatori, numero che può variare a seconda della tipologia di prodotto, raggruppati a loro volta in tre scale (Peano & Sottile, 2012):

- Socioculturale: prende in considerazione le caratteristiche intrinseche del prodotto, il suo valore culturale e le opportunità di creare e sviluppare relazioni interne ed esterne alla

      

4 In particolare: gusto storia, cultura, legame col territorio, piccola scala, rischio di estinzione, sostenibilità ambientale, sostenibilità economica.

comunità di riferimento; suddivisa nelle seguenti componenti: prodotto, relazioni interne, relazioni esterne, cultura e territorio.

- Agroambientale: analizza la capacità del sistema presidio di porsi come modello di azioni virtuose per il mantenimento e la gestione delle risorse non rinnovabili; suddivisa nelle seguenti componenti: biodiversità, territorio, suolo e acqua, difesa delle colture (solo prodotti vegetali), allevamento e trasformazione (solo prodotti animali), energie.

- Economica: valuta l’incidenza da un punto di vista dello sviluppo e dell’efficienza dei sistemi messi a punto negli anni; suddivisa in: sviluppo ed efficienza.

In origine, gli indicatori possono essere sia di natura quantitativa che qualitativa, ma a ciascuno di essi viene attribuito un punteggio, da 0 a 10, ed un peso. Moltiplicando punteggio e peso, se ne ottiene il peso ponderato. La somma dei pesi ponderati degli indicatori dà luogo al punteggio complessivo del presidio. Va, inoltre, ricordato che complessivamente ciascuna delle tre scale presenta lo stesso peso (ovvero vale il 33% del punteggio totale) (Peano & Sottile, 2012).

Lo scopo principale di tale metodologia sta nella valutazione temporale dell’impatto del presidio, ottenuta attraverso il confronto tra i risultati al momento dell’istituzione del presidio (T0) ed in un momento successivo (T1). Nel caso specifico, sono stati considerati i presìdi con almeno quattro anni d’età, ovvero quelli sorti prima del 2008 (Peano &

Sottile, 2012).

In un analogo e precedente lavoro svolto sempre sui presìdi Slow Food da Migliorini et al. (2010), gli indicatori vengono, invece, raggruppati in cinque categorie, ovvero: qualità, culturale, sociale, economica, ambientale. Rispetto a questo lavoro, l’indagine sui presìdi europei di Peano & Sottile (2012) ha operato un accorpamento tra le scale qualità, sociale e culturale, che sono andate a costituire la scala socioculturale. Anche Migliorini et al. (2010) attribuiscono a ciascun indicatore un punteggio da 0 a 10, ma il numero dei presìdi considerati è meno ampio, essendo analizzati soltanto due casi studio. Inoltre, in questo lavoro è effettuata una valutazione solo di singoli indicatori, senza valutazioni sul punteggio complessivo ottenuto.

In un successivo lavoro, viene ripresa la stessa suddivisione in cinque dimensioni (Peano et al., 2014). Anche in questo caso, lo scopo principale resta quello di testare la sostenibilità del sistema dei presidi, traducendo il motto di Slow Food (buono, pulito e giusto) in cinque scale valutabili anche a distanza di tempo, prendendo a riferimento tre presìdi come casi di studio (Cappero di Pantelleria, Lenticchia di S.Sessanio e Wild Service Tree of Wiesenwienerwald) (Peano et al., 2014). Gli indicatori complessivamente valutati sono quarantuno. La principale novità introdotta da questo studio è la stima dell’impatto dei presìdi ipotizzando una variazione del peso delle cinque scale, sulla base della valutazione, ottenuta mediante interviste, di portatori di interessati, vale a dire: consumatori, produttori e scienziati/esperti (Peano et al, 2014). Ciò genera quindi tre punteggi diversi, ai quali si aggiunge un quarto, nel quale ciascuna scala possiede lo stesso peso (ovvero il 20%). Sotto questo aspetto va evidenziato come per i consumatori (44%) ed anche per i produttori (26%) abbia maggior peso l’aspetto qualitativo, mentre per i ricercatori la sostenibilità economica è più importante della qualità (28% vs 24%) (Peano et al., 2014).

Partendo sempre da questa impostazione metodologica, Pezzana et al. (2014) hanno effettuato uno studio su quattro presìdi italiani: Lenticchia di Ustica (legume), Ramasin di Pagno della Val Bronda (frutto), Manna delle Madonie (dolce), Culatello di Zibello (prosciutto). La particolarità di questo articolo sta nel fatto che, oltre a considerare la variazione nel tempo di alcuni dei principali indicatori (economici, ambientali, sociali e culturali), mostra anche i risultati delle analisi bromatologiche eseguite sui presìdi, comparate con quelle dei corrispondenti prodotti convenzionali. Il tutto alla scopo di caratterizzare e valorizzare maggiormente i prodotti presidio.

I risultati di queste indagini evidenziano un generale miglioramento dei presìdi nel corso del tempo, un po’ sotto tutti gli aspetti (Migliorini et al, 2010; Peano & Sottile, 2012; Peano et al., 2012; Peano et al., 2014; Pezzana et al., 2014). In particolare, solitamente si riscontra la forte presenza di elementi innovativi nella scala socioculturale (Peano & Sottile, 2012; Peano et al., 2012), ma evidenti progressi anche dal punto di vista economico, altresì per il ruolo di promozione e comunicazione svolta dalla stessa Slow Food (Peano & Sottile, 2012; Peano et al., 2014). Pezzana et al. (2014) sottolineano anche la maggiore qualità in termini nutrizionali dei presìdi. In conclusione, i presìdi possono svolgere un ruolo di volano per lo sviluppo rurale dei contesti territoriali nei quali operano (Peano et al., 2012).

Il lavoro di Lotti (2010), invece, effettua una valutazione della sostenibilità del sistema proposto da Slow Food, con approccio qualitativo, partendo un caso studio. In particolare, prendendo in considerazione il presidio del suino basco Euskal Txerria (Spagna), Lotti (2010) discute due criticità del modello presìdi (§ 2.2): mercificazione; effetto sulla biodiversità. Secondo Lotti (2010), quella operata attraverso i presìdi è comunque una forma di mercificazione degli stessi valori che Slow Food sostiene. In questo senso Slow Food, come anche altri AFNs, non è in alternativa, come pretenderebbe, al sistema convenzionale che cerca di contrastare, ma sostanzialmente ne adotta la stesse strategie. Inoltre, l’ingresso nel presidio conferisce ai produttori un vantaggio competitivo anche nei confronti degli altri produttori locali che effettuano una produzione analoga. L’altro aspetto è quello relativo alla biodiversità. Infatti, nel caso specifico, l’obbligo di allevare una sola razza o tipo genetico paradossalmente potrebbe ridurre la biodiversità, limitando la capacità di creazione di nuove razze locali (Lotti, 2010). Al di là di queste critiche, lo stesso Lotti (2010) evidenzia l’importanza del presidio per consentire ad alcuni produttori di continuare nella propria attività (Lotti, 2010).