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2. S LOW F OOD E I NUOVI MOVIMENTI SOCIALI 1 Il profilo del movimento Slow Food

2.4 L’evoluzione di Slow Food

Nel corso della sua storia, ormai più che trentennale, Slow Food ha subito un processo non solo di crescita quantitativa ma anche qualitativa, allargando la propria base associativa ma anche il proprio raggio d’azione. In particolare, appare evidente come abbia spostato sempre di più l’interesse dal consumo di cibo di qualità a tutto il contesto produttivo che lo caratterizza, con particolare riferimento alla produzione primaria, ovvero ampliando l’attenzione dalla tavola al campo. Tale analisi è sostanzialmente condivisa da numerosi studi, molti dei quali definiscono tale processo evolutivo come il passaggio da movimento gastronomico ad ecogastronomico (McFarlin Weismantel, 2002; Schneider, 2008; van Bommel & Spicer, 2011; Altuna et al., 2017).

Uno degli autori che per primo ha evidenziato questo aspetto è di McFarlin Weismantel (2002), per la quale il passaggio da movimento gastronomico ad ecogastronomico ha permesso a Slow Food di non essere circoscritto ad un fenomeno marginale e/o di breve durata. Anche Andrews (2008) e Page (2012) evidenziano l’importanza di questa evoluzione per uscire fuori dalle accuse di elitarismo e per garantire, nel contempo, maggiore impatto e longevità al Movimento.

In uno studio eseguito attraverso l’analisi testuale nei media britannici, nel periodo 1997-2007, van Bommel & Spicer (2011) ricostruiscono l’evoluzione del movimento Slow Food, alla luce delle relazioni tra movimenti sociali e cambi istituzionali e delle lotte egemoniche. In particolare, per van Bommel & Spicer (2011), Slow Food, mediante l’uso di strategie multiple, è diventato attraente anche per attivisti sociali ed ambientalisti, creando legami egemonici tra gruppi precedentemente separati. In questo modo, è riuscito ad uscire anche da una condizione di nicchia, verso un campo dinamico che comprende una serie di organizzazioni, tra cui aziende agricole, istituti di ricerca, ristoranti, attivisti, produttori di alimenti e organi decisionali, definendo così un “movimento ombrello” (van

Bommel & Spicer, 2011). Infatti, i risultati dell’analisi testuale svolta mostrano come nella prima fase (fino al 2000) il Movimento apparisse più come un club di buongustai, un poco snob; in questa fase predominano parole legate ai concetti di: lentezza, gusto, locale/tradizionale, artigianale (van Bommel & Spicer, 2011). A metà degli anni ’90, si struttura l’Associazione anche a livello internazionale, si ha la nascita dei progetti (Arca de Gusto) e degli eventi (es. Salone del Gusto). Forse anche sulla spinta di queste esperienze, nella seconda fase (2000-2007) prendono piede anche altre istanze, a prevalente carattere ambientale e sociale; l’analisi testuale mostra il crescente uso di parole riferite a sostenibilità, giustizia sociale, biodiversità (van Bommel & Spicer, 2011), sintetizzate dal progetto Presìdi. Contestualmente si assiste ad un’internazionalizzazione del Movimento. Significative in questo senso appaiono la nascita della Fondazione per la Biodiversità (2003), dell’Università per le Scienze Gastronomiche (2004), il primo Terra Madre (2004), la stesura del Manifesto sul futuro del cibo (2005) (van Bommel & Spicer, 2011).

Anche Schneider (2008) evidenzia come, a partire dagli anni 2000, Slow Food si sia aperta molto al contributo di numerose personalità, dalle qualità ha preso visibilità ma anche contenuti, citando l’esempio dell’insegnante di scuola montessoriana Alice Waters, la quale dal 2002 è vice-presidente dell’Associazione, e dalla cui esperienza didattica è stato mutuato il progetto degli orti scolastici (Orti in Condotta).

Tale analisi è sostanzialmente condivisa da Page (2012), che sottolinea l’evoluzione in senso sociale e internazionalista del Movimento, grazie ad iniziative quali la Rete dei mercati della Terra. Per Page (2012), Slow Food ha assunto un approccio complessivamente più egualitario, ponendo al centro della propria attenzione la condizioni di lavoro dei piccoli agricoltori (specie col progetto Presìdi) e l’accesso al cibo dei più poveri. Anche l’organizzazione, inizialmente più simile a quella dei movimenti civici è mutata, assumendo approcci più politici (van Bommel & Spicer, 2011).

Questa impostazione è condivisa da Altuna et al. (2017), per i quali Slow Food, nata come un cerchio radicale, si è istituzionalizzata (costituzione dell’Associazione) e ha ampliato il proprio campo d’azione, nonché l’influenza sulla società nel suo complesso, determinando anche processi innovativi. Infatti, anche un gran numero di iniziative imprenditoriali sono state influenzate, direttamente e indirettamente, dai nuovi significati proposti da Slow Food, come EatItaly e Rosso Pomodoro (Altuna et al., 2017).

Per van Bommel & Spicer (2011), tutto ciò si è tradotto in un nuovo modo di intendere la qualità dei prodotti agricoli, prima associata soltanto al buono, di seguito anche al pulito ed al giusto, per dirla col motto dell’Associazione (Petrini, 2007). Nel complesso, secondo van Bommel & Spicer (2011) questa evoluzione è stata graduale, il che ha consentito di non perdere i membri originari, ma anche caratterizzata da parole d’ordine volutamente ambigue, proprio per ampliare la partecipazione. Infatti, allargando la gamma di significanti utilizzati (verso l’ambiente e la giustizia sociale), Slow Food non ha alienato gli attuali membri del movimento Slow Food abbandonando la lingua della quale erano a conoscenza, ma…ha continuato ad essere radicato nella lingua della gastronomia (van Bommel & Spicer, 2011).

Si può, tuttavia, evidenziare come queste due anime, ovvero quella gastronomica e quella più attenta agli aspetti ecologici e sociali, siano non sempre perfettamente conciliate in un’unica natura ecogastronomica ma, talvolta, convivano quasi in maniera separata. Questo aspetto è evidenziato da Hendrikx et al. (2017), in un’analisi web metrica su Slow Food. Per questi autori, ad esempio, mentre l’Associazione olandese risulta ancora fortemente caratterizzata da una visione epicurea, quella americana è maggiormente impegnata sugli aspetti politici e sociali (Hendrikx et al., 2017).

Tuttavia, secondo McFarlin Weismantel (2002) l’evoluzione che ha caratterizzato il movimento Slow Food non può essere considerata sorprendente, poiché i prodromi erano già presenti nel Manifesto di Parigi (Slow Food, 1989): In nome della produttività, la Vita Veloce (Fast Life) ha cambiato il nostro modo di essere e minaccia il nostro ambiente e i nostri paesaggi. Quindi Slow Food è ora l'unica risposta veramente progressista. Su tale considerazione concordano anche Altuna et al. (2017), alla luce anche dell’analisi sui circoli radicali operata da Farrell (2001).

Altro aspetto importante per l’ampliamento del campo di azione e della partecipazione è stato l’uso di un approccio pratico più che ideologico, difatti, il Movimento si è alimentato più che da un’ideologia da attività quotidiane, pratiche, anche ciò ha consentito di ampliarne il proprio discorso van Bommel & Spicer (2011).

Nell’insieme, grazie all’azione di Slow Food la filosofia Slow si è ormai estesa ulteriormente ad altri aspetti della vita, tra cui pianificazione urbana, tempo libero, editoria, istruzione, finanza e viaggi (van Bommel & Spicer, 2011), come mostrano anche i contributi della letteratura su tali argomenti (§ 1.2).

3.S

LOW

F

OOD E LA SOSTENIBILITÀ  

Una parte dei lavori che riguarda Slow Food affronta il tema della sostenibilità dell’agricoltura, intesa sotto l’aspetto ambientale ma anche economico e sociale. Il presente capitolo fornisce una panoramica di queste pubblicazioni, incentrandosi soprattutto su quei lavori che hanno affrontato la sfida della misurazione, con metodiche quantitative, dei risultati in termini di impatto generale (ambientale, socioculturale ed economico) dei prodotti agricoli, specie dei presìdi Slow Food. Si tratta di lavori che prendono spunto da un’ampia letteratura internazionale.

Infatti, la valutazione complessiva dei risultati delle attività produttive, che non si fermi solo alla misurazione dei principali e più semplici indicatori economici, rappresenta un tema oggi sempre più attuale, specie nel settore agricolo. L’attività agricola, per sua natura risulta caratterizzata da multifunzionalità, con impatti in primo luogo ambientali ma anche con una forte influenza sugli aspetti sociali e culturali dei territori di produzione. Ciò ovviamente assume ancora maggiore rilevanza nel campo dei prodotti locali e tradizionali, proprio per il legame particolare che assumono col proprio areale di produzione.

A ciò si aggiunge il fatto che, negli ultimi cinquant’anni, lo sviluppo dell’agricoltura, a carattere sostanzialmente esogeno, ha sì portato ad un notevole incremento delle rese produttive, ma ha anche causato notevoli problemi di inquinamento, la perdita di biodiversità, e più in generale delle cultura legata alle pratiche tradizionali (Peano et al., 2014). Uno sviluppo di tipo endogeno consente, invece, di usare al meglio e non disperdere le risorse locali (van der Ploeg, 1995). Per Slow Food, ciò non significa fare a meno di qualsiasi apporto esogeno ma di prenderne il meglio modellandolo sulla base delle esigenze territoriali (es. Presìdi Slow Food) (Peano et al., 2014).

Per tali ragioni diverse istituzioni e ricercatori si sono impegnati nella costruzione di griglie di indicatori funzionali a stimare l’impatto complessivo delle produzioni, con particolare riferimento al settore agricolo. Ciò che accumuna tali iniziative è l’impiego di un approccio olistico e, nella maggior parte dei casi, l’obiettivo di fornire strumenti di valutazione ai decisori politici.

Il lavoro di Smith & Dumanski (1994), preparato per conto della FAO, funge da riferimento a livello internazionale per la valutazione della gestione sostenibile del territorio (Framework for the Evaluation of Sustainable Land Management - FESLM). Ciò alla luce delle sfide che riguardano la produzione di cibo in un Mondo contraddistinto da un aumento di popolazione, consumo di suolo e cambiamenti climatici.

Sempre in questo senso uno dei lavori più completi ed interessanti sul tema è stato sviluppato dalla Commissione Europea, la quale ha fornito delle vere e proprie linee guida per la misurazione degli impatti economici, ambientali e sociali (European Commission, 2005).

Un'altra metodologia per la valutazione della sostenibilità sociale, ambientale ed economica delle produzioni agricole e per coadiuvare i processi decisionali, è il sistema MESMIS o NRMS (López-Ridaura et al., 2002).