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L’epoca classica: Aristotele e la laesio enormis

6. L A T EORIA DEL P REZZO G IUSTO

6.1 L’epoca classica: Aristotele e la laesio enormis

Il pensiero economico di Aristotele (384/383 a.C.-322 a.C.), come appena accennato, ha avuto un impatto importante sugli autori di epoca scolastica, tra i quali Alberto Magno (1206-1280) e Tommaso d’Aquino. Il concetto di giustizia aristotelico, esposto nel V Libro dell’Etica Nicomachea, è legato a quello di virtù. In particolare, la virtù è definita da Aristotele come la capacità di evitare i comportamenti estremi (Etica Nicomachea, III Libro)5.

In prima battuta, Aristotele definisce giusto come ciò che è conforme alla legge e ciò che rispetta l’uguaglianza (Etica Nicomachea, V Libro).

      

5 Le virtù secondo Aristotele (Etica Nicomachea, III Libro): ‐ Il coraggio come giusto mezzo tra la viltà e la temerarietà

‐ La temperanza come giusto mezzo tra intemperanza e insensibilità ‐ La liberalità come giusto mezzo tra avarizia e prodigalità

‐ La magnanimità come giusto mezzo tra la vanità e l'umiltà ‐ La mansuetudine come giusto mezzo tra l'irascibilità e l'indolenza. 

Relativamente al primo significato va ricordato che l’obiettivo delle leggi è l’utilità comune di tutti i cittadini (Aristotele, Etica Nicomachea, V Libro). Da ciò deriva che… in uno dei sensi in cui usiamo il termine, chiamiamo giusto ciò che produce e custodisce per la comunità politica la felicità e le sue componenti (Aristotele, Etica Nicomachea, V Libro). Tuttavia, la legge comanda anche di compiere le opere dell’uomo coraggioso, …dell’uomo temperato, …dell’uomo bonario…e così anche per le altre virtù e gli altri vizi, ma ciò rettamente se la giustizia è stabilita rettamente.

Da ciò si deduce come per il filosofo greco la giustizia rappresenti la più alta delle virtù o meglio le comprenda tutte, come arriva ad affermare esplicitamente: Nella giustizia è compresa ogni virtù…e ancora: La giustizia è la virtù nella sua completezza (Aristotele, Etica Nicomachea, V Libro).

Inoltre, Aristotele sottolinea l’importanza del praticare la giustizia verso gli altri, poiché: L’uomo migliore è colui che esercita la virtù verso gli altri (Aristotele, Etica Nicomachea, V Libro).

Questo primo tipo di giustizia, ovvero quella conforme alla legge è una giustizia generale, ovvero riferita al bene comune.

Tale tipologia di giustizia, definita anche come distributiva, si sviluppa, pertanto, in ambito pubblico, in quanto attiene alla distribuzione di cariche e di beni appartenenti alla comunità, alle relazioni tra individui di diverso stato.

La seconda forma di giustizia ovvero quella che rispetta l’uguaglianza è, al contrario, definita correttiva (Aristotele, Etica Nicomachea, V Libro). Essa attiene agli scambi tra privati, i quali, a loro volta, possono essere a carattere volontario o involontario. Nelle relazioni a carattere volontario rientrano anche i rapporti di compravendita.

Lo strumento individuato da Aristotele per misurare la giustizia è rappresentato dalle proporzioni matematiche. Nello specifico, per la giustizia distributiva si applica la proporzione geometrica, per la correttiva quella aritmetica.

Aristotele tratta anche della reciprocità, una forma di giustizia introdotta dai Pitagorici, sintetizzata dalla frase, attribuita a Radamante6: Se uno subisse ciò che ha fatto,

giudizio retto sarebbe (Aristotele, Etica Nicomachea, V Libro).

Tuttavia, secondo Aristotele in molti casi la reciprocità non si associa alla giustizia, perché, ad esempio, non è giusto che un uomo che picchia venga a sua volta picchiato, poiché occorre distinguere in base al contesto (Aristotele, Etica Nicomachea, V Libro). Egli sottolinea però come questa tipologia di giustizia sia alla base della comunità rette sugli scambi. Aristotele fornisce un esempio di quella che definisce congiunzione diagonale, usando come esempio uno scambio tra architetto e calzolaio. Per Aristotele, infatti, affinché lo scambio tra un architetto (che edifica una casa) e un calzolaio (che produce scarpe) e le relative merci sia giusto, è necessario realizzare prima un’uguaglianza proporzionale tra i beni, perché generalmente sono caratterizzati da diverso valore (Etica Nicomachea, V Libro). In questo caso, quindi, si finisce col pervenire ad una proporzione aritmetica, che si ottiene, tuttavia, partendo dalla reciprocità

      

6 Radamante o Radamanto è personaggio mitologico greco, semidio cretese, figlio di Zeus e di Europa, fratello di Minosse. Ritenuto, tra l’altro, un legislatore sapientissimo, ragione per la quale veniva preso a riferimento in ambito giuridico.

e passando per una proporzione geometrica. È proprio dalla necessità di rendere giusta questa tipologia di scambi tra beni diversi che nasce l’esigenza della moneta (Aristotele, Etica Nicomachea, V Libro).

Aristotele, inoltre, pensa che la giustizia sia legata al contesto, ovvero alla condizione in cui si trovano le persone alle quali è praticata.

Un altro aspetto della dottrina aristotelica in termini di giustizia è il rapporto tra giusto ed equo. Per Aristotele l’equità è una forma di giustizia che si applica ai casi particolari, per correggere la giustizia vera e propria, la quale, invece, si applica in ambito generale e si basa, di conseguenza, su norme universali…l’equo è sì giusto, ma non è il giusto secondo la legge, bensì un correttivo del giusto legale (Aristotele, Etica Nicomachea, V Libro). Per Aristotele, in questo senso, l’equo può essere considerato superiore al giusto7.

Infatti, la legge universale per sua natura non può considerare tutti i casi particolari ed i dettagli, come afferma Aristotele non può definire tutto (Aristotele, Etica Nicomachea, V Libro); da questi presupposti nasce l’esigenza di equità.

Va sottolineato, infine, che relativamente al lavoro, Aristotele aggiunge alla suddivisione operata da Platone lo scambio economico in beni e servizi come una vera e propria attività lavorativa (Baldwin, 1959).

Il contributo dato alla discussione sul prezzo giusto in epoca romana si è determinato soprattutto tramite l’imponente codice legislativo, sul quale poi si baseranno i successivi scritti dei giuristi medievali, con particolare riferimento alla Scuola di Bologna (§ 6.3). In epoca romana le contrattazioni commerciali e le questioni relative al prezzo rientrano quasi esclusivamente nel diritto privato, pur non essendo state escluse del tutto da quello pubblico, a causa della possibilità di regolamentazione da parte dello Stato, ma trascurabile specie nella Repubblica e nel primo Impero (Baldwin, 1959). Sostanzialmente, nella visione romana il prezzo è determinato dalla libera contrattazione tra le parti, con l’impossibilità di annullare l’accordo in caso di prezzo inadeguato. Ciò viene sintetizzato dalla frase contenuta nel codice di Teodosio: Licet contrahentibus invicem se naturaliter circumvenire (Baldwin, 1959). Meccanismi di controllo dei prezzi dei beni di prima necessità, si fanno più frequenti in epoche caratterizzate da crisi, come nel tardo Impero. In epoca classica prevale, invece, la fiducia nella libera contrattazione, che parrebbe aprire anche a possibili comportamenti opportunistici, talvolta limitati della sola buona fede, come ad esempio auspicato da Cicerone (106 a.C.-43 a.C.) (De officiis, III, 16).

Al contrario, proprio in epoca di tardo Impero si sviluppa uno dei principali istituti in materia di scambi commerciali, probabilmente l’unico vero limite imposto dalla legge romana al libero commercio, la laesio enormis. Tale istituto è stato visto spesso come un passaggio intermedio tra la libera contrattazione di epoca classica e la teoria scolastica del prezzo giusto (Baldwin, 1959). Stabilito probabilmente sotto Giustiniano (482-565), interveniva, nella sua versione originaria, in materia di beni fondiari e si applicava quando il prezzo stabilito nel corso della contrattazione risultava inferiore alla metà del prezzo

      

7 Si sottolinea come nel presente lavoro i due termini sono stati impiegati come sinonimi, seguendo la tendenza prevalente nella lingua italiana contemporanea.

ritenuto giusto o vero. Il correttivo in questo caso era rappresentato dalla restituzione della quota mancante o, in casi estremi, anche dalla restituzione dello stesso bene (restitutio in integrum). Per l’applicazione di tale norma restava, tuttavia, da stabilire quale fosse la misura del prezzo di riferimento ovvero il prezzo giusto. Sotto questo aspetto non si registra un’indicazione univoca. Va osservato che nella legge romana si distingueva tra decisioni in iure, operati dal pretore e di valenza generale e in iuditio operata dal giudice e di valenza specifica. Probabilmente in alcuni casi era il giudice a dirimere le controversie sul prezzo (Baldwin, 1959).

Ad ogni modo, sembra che fosse acclarato che il prezzo potesse variare da caso a caso e, quindi, a seconda del tempo e del luogo. Come già evidenziato, alcuni dei concetti sviluppati dai giuristi romani saranno poi approfonditi anche dagli autori Scolastici. Ad esempio, con Giustiniano si afferma come tra i fattori per la determinazione del prezzo vi sono la quantità e l’ammontare di reddito che il bene è in grado di produrre; tali concetti saranno ripresi nel Medioevo (Baldwin, 1959).