Cooperative Learning e Problem-Based Learning
3.1. Il Cooperative Learning: definizione e modelli teorici di riferimento
Molteplici sono le definizioni formulate riguardo alla metodologia Cooperative Learning:114
113 Nussbaum, M., C., Non per profitto, op. cit., p.82.
114 La metodologia del Cooperative Learning è nota nelle sue differenti declinazioni. D. W. Johnson e
R. T. Johnson parlano, infatti, di Learning Together, Slavin di Student Team Learning, Kagan di
Structural Approach; altri autori, invece, utilizzeranno definizioni quali Group Investigation, Complex Instruction, Collaborative Approach.
Quando si parla di Cooperative Learning ci si riferisce, prima ancora che a uno specifico metodo di insegnamento/apprendimento, a un vasto movimento educativo che, pur partendo da prospettive teoriche diverse, applica particolari tecniche di cooperazione nell'apprendimento in classe. [...] Ciò che accomuna ricerca e applicazione del Cooperative
Learning è la valorizzazione della variabile del rapporto interpersonale nell'apprendimento.
Essa è così forte da rappresentare il perno attorno al quale ruotano tutte le altre variabili (quali ad esempio motivazione, processi cognitivi, organizzazione della classe, valutazione, ecc.). 115
Il Cooperative Learning, inoltre, è stato definito sia come un insieme di tecniche di classe nelle quali gli studenti lavorano a piccoli gruppi per attività, sono corresponsabili del loro apprendimento e ricevono valutazioni in base ai risultati conseguiti; sia come un metodo di insegnamento-apprendimento in cui la variabile più significativa è la cooperazione tra gli studenti che si aiutano reciprocamente, stabiliscono il ritmo di lavoro, si correggono e si valutano.
Questa metodologia, afferma Cosimo Laneve, consiste sostanzialmente «nell’utilizzo di un insieme di tecniche di conduzione della classe nelle quali gli allievi lavorano in piccoli gruppi per attività di apprendimento e ricevono valutazioni in base ai risultati conseguiti.»116
Per Antonella Lotti «il Cooperative Learning è un metodo di insegnamento/apprendimento che utilizza sia la cooperazione relazionale che quella strumentale in quanto privilegia la dimensione interpersonale ai fini dell’apprendimento, consentendo di raggiungere obiettivi di istruzione e di educazione insieme.»117.
115 Comoglio, M., Cardoso, M., A., Insegnare e apprendere in gruppo, LAS, Roma, p.14. 116 Laneve, C., Elementi di didattica generale, La Scuola, Brescia 1998, p.62.
In linea generale, dunque, il Cooperative Learning può essere definito come una metodologia di insegnamento/apprendimento che comporta l'acquisizione, da parte dei discenti, attraverso un clima partecipativo e democratico, di competenze sociali e cognitive. Solitamente messa in atto con gruppi di lavoro di massimo quattro/cinque componenti, con un'interdipendenza positiva di ruoli, materiali, compiti, capacità, il cooperative learning induce e richiede una responsabilità distribuita sia rispetto allo sviluppo del compito sia rispetto alle dinamiche relazionali, e permette di creare un contesto produttivo di processi affettivo/cognitivi di ordine superiore. Attraverso questa metodologia gli studenti si sentono chiamati ad essere più responsabili verso se stessi, verso gli altri e verso l'insegnante; determinanti sono infatti le relazioni che grazie ad esso si vengono a creare.
Tra i maggiori studiosi italiani del Cooperative Learning vi è Mario Comoglio, il quale afferma che questa metodologia ha caratteristiche peculiari che la distinguono da altre tipologie di apprendimento collaborativo, cooperativo o di gruppo e si colloca tra quei metodi (come, ad esempio, il peer collaboration, il peer tutoring) che anziché essere centrati sulle risorse dell'insegnante focalizzano la propria attenzione sulle risorse degli alunni . «Le sue origini più recenti risalgono ad alcune sperimentazioni iniziate da A.Bell e da J.Lancaster a cavallo del XVIII e XIX secolo. Tuttavia il metodo si è sviluppato solo successivamente grazie a un vasto movimento di riflessione teorica e sperimentale promosso in molti centri sparsi in varie nazioni.» 118
L'idea, dunque, di un lavoro di tipo collaborativo emerge e viene attuata tra la fine del 1700 e l'inizio del 1800 in India da A. Bell e da J. Lancaster in Inghilterra, sino a diffondersi negli Stati Uniti con l'apertura di una scuola lancasteriana a New York nel 1806. Fra i più importanti sostenitori di questa
metodologia vi è la figura del colonnello F. Parker, il cui pensiero si diffuse moltissimo nella cultura scolastica americana. Nello stesso periodo si svilupparono due linee di pensiero negli Stati Uniti, l' una tracciata da John Dewey e l'altra da studiosi quali Lewin, Lippitt, White e Deutsh. Entrambe le linee di ricerca pongono in evidenza le grandi potenzialità di un clima aperto, partecipativo e democratico e di un approccio cooperativo in ambito scolastico.
Accanto alle matrici teoriche suddette l' approccio neovygotskijano e quello culturalista della cognizione situata hanno prodotto un grande sviluppo e approfondimento del metodo, facendo sì che questo movimento educativo si diffondesse, poi, in molti Paesi, tra cui Canada, Israele, Olanda, Norvegia, Italia.
Le diverse elaborazioni teoriche riguardo al Cooperative Learning o Apprendimento Cooperativo, dunque, risultano molteplici ed articolate, in quanto i numerosi studiosi che se ne sono occupati hanno evidenziato tratti che se molto spesso comuni, si contraddistinguono per aspetti e fattori di rilievo differenti. Le fondamenta teoriche di questa metodologia, come affermato precedentemente, sono ravvisabili sicuramente nel pensiero di John Dewey e nell'idea delle scuole attive, nella teoria di campo e nel metodo sperimentale di K. Lewin, nella teoria psicoanalitica, in merito alla definizione del setting educativo, nelle teorie di C. Freinet e negli approcci interattivo-costruttivisti e contestualisti.
Dewey è convinto che grazie all'utilizzo di attività cooperative in classe sia possibile confrontarsi con schemi mentali differenti dal proprio. Un approccio scolastico di questo tipo rivela la sua efficacia in quanto capace di riprodurre le dinamiche proprie di una società ispirata ai valori democratici. L'educazione
è concepita come un processo attivo e costruttivo. In particolar modo nei testi quali Il mio credo pedagogico e Scuola e società Dewey promuove la scuola attiva ed evidenzia quanto sia importante gettare le basi, sin dall'infanzia e nel contesto scolastico, per la costruzione della democrazia attraverso processi di collaborazione e cooperazione.
Per questa ragione, sostiene Cambi, la formazione deve promuovere e sostenere, sin dall'infanzia, principi di grande valore etico, quali quelli della responsabilità, della comunicazione, della solidarietà:
prospettive che saldano l'io all'altro e entrambi al «bene comune» e alla «volontà generale», che stimolano azioni di cui si pesano le conseguenze [...] e un processo di condivisione delle scelte [...] e una condizione permanente di dialogo (disposto in molti luoghi e organizzato sotto molte forme), creando così una prospettiva sempre più costante e sempre più condivisa di solidarietà, sia come sentire sia come azione, in modo da rendere tale principio-valore sempre più il valore-chiave e regolativo dello stare in società [...]119
Molti progetti educativi americani hanno risentito dell'influenza del pensiero deweyano, ad esempio, il metodo dei progetti di Kilpatrick, il Piano Dalton, il Piano Winnetka, la Scuola Laboratorio dell'Università di Chicago, tutti accomunati dalla volontà di dare rilievo al fattore della cooperazione.
In Europa, invece, esperienze rilevanti sono state quelle di Kerschensteiner, Gaulig e Scheibner per la loro attenzione nei confronti delle modalità di apprendimento dei singoli, in vista della costituzione dei gruppi e dell'organizzazione lavoro di gruppo.
Altra influenza, sullo sviluppo degli studi sull'apprendimento cooperativo, l'hanno avuta gli studi di Lewin con la teoria del campo. Egli, infatti, riprende
dalla fisica il concetto di "campo", riutilizzandolo in ambito psicologico ed applicandolo sia allo studio delle azioni individuali sia a quello dei gruppi. Attraverso la teoria di Lewin è possibile guardare al gruppo e all'organizzazione come a un «campo unitario dinamico, dove l'azione del gruppo esprime un'intenzionalità rivolta verso un fine, in base a un progetto o ad una decisione comune. Inoltre, nel momento in cui si fa strumento di modificazione del mondo esterno, svolge un ruolo riflessivo di ristrutturazione dei sistemi cognitivo-emotivi interni.»120 Secondo la tesi di Lewin, dunque,
ogni cambiamento di stato all'interno del gruppo produce delle conseguenze, per questa ragione è fondamentale indagare e studiare le dinamiche di gruppo al fine di comprendere quanto, ad esempio, le tipologie di conduzione dei gruppi ed il clima che si instaura all'interno degli stessi possa influenzare il processo di apprendimento (e come questo si possa facilitare).
Fondamentale in questa metodologia didattica, dunque, è il gruppo.
La dimensione del gruppo e le sue dinamiche interne sono di grandissima importanza per lo sviluppo dei soggetti. In particolare la qualità delle relazioni che si instaurano all'interno del gruppo-classe è di notevole rilievo per lo sviluppo cognitivo ed affettivo dei bambini e può rappresentare un fattore di rischio o di protezione per lo sviluppo degli stessi. All'interno del gruppo i bambini apprendono schemi comportamentali, stili cognitivi ed emozionali specifici per il contesto. Secondo la teoria della socializzazione di gruppo di J. R. Harris121 il gruppo dei pari ha un grandissimo peso sulla socializzazione,
infatti i bambini tendono, crescendo, col prediligere il sistema comportamentale appreso fuori casa piuttosto che quello acquisito in casa, dando origine almeno a due sistemi comportamentali, quello interno e quello esterno alla famiglia. I gruppi dei pari creano una loro cultura specifica ed è
120 Dozza, L., Relazioni cooperative a scuola, op. cit., p.31.
121 Harris, J., R., "Where is the child's environment? A group socialization theory of development", in
quindi possibile che all'interno del gruppo si sviluppino senso di appartenenza, autoefficacia (utile ad attenuare, in taluni casi, eventuali stati di malessere, ansia o difficoltà di integrazione).122