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Il corpo artificiale e la morte

6.3. Corpi narrant

Christopher Landreth8 è sicuramente uno degli artisti più interessan-

ti nel panorama della computer grafica, e quello che si trova più a suo agio nell’inventarsi e gestire corpi ideali, reinventati, frutto delle combinazioni possibili e delle metamorfosi tipiche del digitale. Come molti autori di questo settore, la sua carriera inizia come ingegnere informatico presso la Alias/Wavefront, per diventare poi animatore e creatore di video in animazione. È autore di molti video, in cui si vede una progressiva maturazione stilistica e la tensione verso una narra- zione tutta affidata ai corpi dei protagonisti. Ed è anche uno dei pochi autori di computer grafica a schierarsi apertamente contro l’ansia foto- realistica, a favore della presenza di uno stile che reinterpreta le forme, che Landreth definisce “psicorealismo”.

In Data Driven: The Story of Franz K, del 1993, l’autore americano si confronta con un personaggio letterario come Franz Kafka, rappresen- tato da una sorta di insetto con una testa incastonata al centro del corpo. Il viso è chiaramente tratto dalle rare immagini di Kafka. The End (1995) rappresenta due figure, una femminile e l’altra maschile, che appaiono come due teste appollaiate su una struttura filamentosa che ricorda la struttura delle arterie di un corpo umano. Le due figure dialogano, danza- no e cantano su una scacchiera. Alla fine compare l’autore in versione di- gitale che discute al telefono con alcune persone su come finire il video.

Nel 1998 Landreth realizza Bingo the Clown, un video ispirato a un breve spettacolo teatrale della Chicago’s Neo-Futurist Theater Company, la storia del creatore di un clown, Bingo, che si ritrova ca- tapultato nel mondo fumettistico da lui inventato: tutti i personaggi di un circo futuristico ma anche inquietante lo convincono che in realtà Bingo, il vero pagliaccio, è lui. Qui l’immaginario di Landreth comincia a delinearsi in modo più evidente, e il video gioca sui continui slittamenti fra forme realisticamente rappresentate e personaggi inventati, spesso

non finiti, che evidenziano strutture aperte, forse delle ferite, anatomie

impossibili, comportamenti fisici anomali.

Si perfezionano anche e soprattutto dei nodi tematici cari all’autore americano: la compresenza e il rapporto conflittuale fra il creatore e le sue creature; la presenza di una sorta di io narrante che si incarna in una rap- presentazione di sé ogni volta reinventata. La rappresentazione del corpo inevitabilmente pone l’artista di fronte al problema dello specchio, della raffigurazione di se stesso. Non a caso i video di Landreth sono pieni di autoritratti spesso beffardi, personaggi in un qualche modo disincantati,

8 L’autore e alcuni suoi video sono presenti sul sito del National Film Board of

soffocati, quasi sconfitti dal mondo da loro creato. Un mondo che ha preso vita grazie ma anche a prescindere dal loro creatore: è autonomo, e può prendersi gioco di lui. Il realismo soggettivo dell’animatore americano cer- ca personaggi tormentati, dominati da un’intensità emotiva che modella, a volto torturandolo, il loro corpo.

Christopher Landreth, Bingo the Clown, 1998

Il capolavoro di Landreth, premiato con l’Oscar come miglior cor- tometraggio di animazione, è Ryan, del 2004, dove si adotta una for- mula narrativa tradizionale, il documentario. Questo video è, infatti, un omaggio a Ryan Larkin, un animatore canadese (anch’egli premiato con un Oscar), allievo di Norman McLaren, che durante gli anni Settanta diventa uno dei più famosi artisti dell’animazione tradizionale, salvo poi entrare in un tunnel di tossicodipendenza e problemi psichici, fino a diventare un homeless. Dopo questo video Larkin ritorna a lavorare e realizza brevi animazioni in ambito videomusicale, ma nel 2007 muore per un cancro al cervello.

Christopher Landreth si mette in scena, e nel corso del video diven- ta una sorta di alter ego di Ryan Larkin. Lo vediamo in un bagno, intento a guardarsi allo specchio, mentre ci spiega che le parti mancanti del suo viso sono derivate da vari periodi di confusione economica ed esistenzia- le della sua vita. Mentre si incammina in una sorta di taverna piuttosto squallida, popolata da figure umane bizzarre (un uomo che fuma sembra fatto solo di pelle senza scheletro, afflosciato su un tavolo, un altro piut-

tosto grasso fatto solo di peli ecc.), la sua voce fuori campo ci racconta di aver conosciuto un filmmaker canadese, Ryan Larkin, e di averlo convinto a registrare alcune delle loro conversazioni. Le voci usate nel video sono reali, frutto di interviste effettuate da Landreth a Larkin e ai suoi amici ed ex collaboratori, e le persone intervistate, compreso Larkin, sono rielabo- razioni 3D di immagini fotografiche o video.

L’intervista si sviluppa attraversando varie fasi: il ricordo dell’attivi- tà artistica di Larkin, dato che Landreth gli mostra alcuni disegni originali dai quali aveva tratto le sue animazioni; la cerimonia di premiazione degli Oscar, dove è accanto a Felicity, la sua compagna dell’epoca, entrambi vestiti da hippie; appare Felicity che racconta della fragilità psicologica di Ryan a causa di un padre violento e di una tragedia legata al fratello; scop- pia un litigio fra i due protagonisti nel momento in cui Landreth cerca di parlare della dipendenza dall’alcool e dalla cocaina di Larkin, che confessa di essere stato deprivato della sua arte e si lancia in una violenta invettiva contro il mondo del mercato e il potere del denaro. Nel finale del video vediamo Larkin che allegramente chiede l’elemosina per strada: dall’altra parte Landreth lo saluta, scomparendo.

Dal punto di vista linguistico l’artista americano imposta il suo video seguendo le dinamiche classiche del reportage: la sua voce fuo- ri campo dà le informazioni necessarie, le interviste sono evidenziate

come set anche da oggetti che compaiono in scena, come i vistosi microfoni; viene usato anche materiale di repertorio (frammenti delle animazioni di Larkin, vecchie foto ecc.). Ma siamo nell’universo digitale, dove tutto può succedere.

Innanzitutto, Landreth e Larkin sono corpi in disfacimento, spes- so in lotta con i propri capelli che ogni tanto spuntano violentemente e afferrano le loro teste come tentacoli di una piovra. Sono corpi fragili, eppure potenziati, hanno a che fare con oggetti che talora compaiono per sottolineare moti dell’animo, come quando a Landreth, nel mo- mento in cui cerca di affrontare il discorso della tossicodipendenza di Larkin, spunta un’aureola fatta di tubi al neon, prontamente disinte- grata dall’accorato discorso di quest’ultimo. All’interno delle loro teste compaiono spesso proiezioni video che si riferiscono a quello che stan- no raccontando. Tutto parte dalla testa.

È evidente che Landreth, scandagliando l’ascesa e il rapido deca- dimento della carriera di Larkin, sta affrontando una paura sua, e pro- babilmente esorcizzando proprie ferite: nel video compaiono anche al- cune foto in bianco e nero di un personaggio presentato come Barbara Landreth, alla quale il video è dedicato. Questo complesso intreccio di emozioni non produce un’opera dal tono drammatico o scuro, quanto piuttosto intenso e partecipato: Landreth rappresenta la vita di un per- sonaggio che mano a mano comprende sempre di più, realizzando un omaggio toccante all’artista e in generale alla tecnica dell’animazione.

Il materiale di repertorio gioca un ruolo fondamentale ed è pro- tagonista di uno straordinario esempio di rimanipolazione digitale di materiale statico: dalla foto in bianco e nero di Larkin e Felicity in posa durante la cerimonia degli Oscar, l’immagine dell’artista canadese vie- ne estrusa e diventa un corpo 3D che danza insieme alle forme dise- gnate tratte da alcuni suoi cortometraggi d’animazione. Il passaggio di testimone dall’animazione classica a quella digitale è un tema molto chiaro in questo video, ma in questa sequenza è evidente anche il tema della possibilità dell’universo digitale di dar vita alle forme statiche, e non solo, di metterle in relazioni con immagini bidimensionali del pas- sato; artificio con artificio, in un complesso labirinto di finzioni all’inter- no delle quali il digitale continua a denunciare una sorta di supremazia essenziale, e cioè il fatto di essere un oggetto a tutti gli effetti, che ha la capacità di comportarsi come meglio crede.

In questo video sono citate quasi tutte le tecniche di animazione possibili. Dal passo uno al rotoscoping, dall’animazione di immagini fis- se al time-lapse recording. Questo compendio di tecniche tradizionali sono tutte assorbite e potenziate dalle possibilità del 3D. Ma se dal punto di vista tecnico il concetto di animazione viene sviscerato in tutte

le sue possibilità, il vero protagonista di questo video è il corpo. Tutti i corpi di questo video sono ripensati in funzione delle loro caratteri- stiche psicologiche: Felicity è un rotoscoping tridimensionale dai colori caldi e gradevoli, la sua voce calma e pacata e il suo aspetto comuni- cano la dolcezza di una persona che ricorda con una quieta nostalgia il passato; Derek, il produttore esecutivo dei cortometraggi di Larkin, è un ritratto a matita nera estruso in tre dimensioni che riflette il suo modo di parlare preciso, un po’ perentorio, secco.

I due protagonisti del video subiscono le mutazioni maggiori. Ognuno con la propria storia da raccontare. Landreth con le sue paure e incertezze nei confronti del futuro, Larkin con le ombre del suo pas- sato. Mentre i corpi lentamente perdono i pezzi, tanto che alla fine i visi dei due protagonisti sembrano essere identici, anche lo spazio intorno a loro si liquefa. Il corpo trascina tutto con sé, reinterpretando anche il mondo, che diventa una sorta di acquarello tridimensionale.

Landreth sta lentamente costruendo una serie di corpi narranti che, se pure hanno ancora bisogno di una voce che parla, riescono in perfetta autonomia a comunicare stati d’animo e condizioni psicologi- che: sono dei veri attori digitali, in grado di gestire l’andamento nar- rativo delle sue opere, andando a ipotizzare una sorta di iper-cinema digitale del futuro, molto personale e innovativo.