• Non ci sono risultati.

Identità digitali: la maschera

Il corpo artificiale e la morte

6.1. Identità digitali: la maschera

La rappresentazione del corpo apre un universo di idee visive che sono il frutto della fantasia degli artisti che visualizzano varie ipotesi di rispo- sta a una domanda: qual è, se esiste, l’identità di un oggetto di forma umana che “vive” nell’ambiente digitale?

La maschera è un elemento che compare frequentemente nell’uni- verso digitale. Nell’immagine del viso risiede il potere della personifica- zione. Nell’universo del digitale la maschera nasconde, ma rivela anche insospettabili mondi dentro i mondi. Nel video di Andy Huang1 Dollface,

del 2005, un viso femminile neutro, che assomiglia molto a una maschera, è incastonato in un corpo meccanico insettiforme, che esce da un baule di metallo. Di fronte a questo personaggio un monitor, attaccato a un braccio meccanico, trasmette l’immagine dello stesso viso: qui però il soggetto è a colori e visibilmente truccato. Gli arti meccanici da millepiedi di questa creatura cyborg si armano degli strumenti necessari per truccare il viso digitale nella maniera più simile a quella visualizzata dallo schermo, che ogni tanto, con un effetto di zapping disturbante, cambia canale per mo- strare scene di vita quotidiana di corpi veri. A un certo punto lo schermo si allontana: la creatura biomeccanica tenta di seguirlo, ma il suo corpo si spacca, e il viso digitale si frantuma per terra.

Il video ragiona abilmente su diversi livelli di ambiguità visiva, perché il viso incastonato nel corpo metallico a forma di insetto è evi- dentemente un volto ripreso dal vero e successivamente digitalizzato, per essere usato come modello. Visti a una certa distanza, il monitor attaccato al braccio meccanico e il viso con il corpo da insetto, sono piuttosto simili a livello formale. Sono lo specchio di un desiderio simi- le: contenere il reale, assomigliare a esso. Ma l’insetto meccanico sta guardando l’immagine mediata di un viso reale; il suo problema è solo la superficie, perché in realtà il suo viso, essendo tridimensionale, è molto più realistico dell’immagine bidimensionale dello schermo, il qua- le però sembra avere un’arma in più: contiene frammenti di vita sotto

1 Questo e altri video dell’autore sono visibili nel suo sito: http://www.andrew-

thomashuang.com/, e nel suo canale video di You Tube:http://www.youtube. com/user/andrewhu

forma di riprese montate in modo casuale che disturbano l’immagine fissa del volto truccato.

Andy Huang, Dollface, 2005

Il monitor si allontana, come per impedire al volto-insetto di completare la sua opera di mimetismo, e quest’ultimo si spacca, vinto dal peso specifico della sua struttura metallica. L’universo digitale non può appagare il suo desiderio di realtà attingendo a una mediazione di essa: si crea un cortocircuito insanabile che porta alla rottura dell’og- getto, che già vive di vita propria. La marionetta, la bambola, il pu- pazzo sono oggetti antropomorfi che appartengono al mondo reale ai quali l’universo del digitale si riferisce volentieri: nel mondo reale sono costruzioni fatte dall’uomo, nell’universo digitale sono oggetti dinamici che assumono comportamenti umani. Costruzioni matematiche. Vive.

Un discorso simile è presente in un video dal titolo programmati- co, Masks, realizzato nel 1998 da Piotr Karwas2. In una stanza buia che

appare come un primitivo laboratorio artigianale, un manichino anima- to sta scolpendo delle maschere. Il manichino è fatto di oggetti sempli- cemente lavorati e dalla superficie che ricorda il marmo: le singole parti sono tenute insieme da strutture meccaniche dalla forma primitiva. Le

2 Un interessante demoreel dell’autore è presente nel suo sito: http://www.

maschere, rivestite della stessa superficie dell’artigiano robotico che le sta scolpendo, sono visi maschili. Una volta costruita una maschera, il manichino l’appoggia alla sua testa grezza e si dirige davanti a uno specchio. Insoddisfatto, torna alla sua scrivania per scolpirne un’altra. Dopo vari tentativi falliti, preso dalla disperazione, il manichino appog- gia l’ennesima maschera sulla sua testa in maniera troppo violenta: si crea uno strappo sulla superficie levigata del suo viso inesistente. Il manichino apre la crepa, e scopre con stupore che dentro si intravede la forma di un viso umano reale.

Che gli oggetti dell’universo digitale siano in grado di attraver- sare lo specchio è un argomento di cui ho già parlato: è quindi ovvio che gli oggetti ora si guardino allo specchio per capire chi sono. In un inevitabile labirinto sensoriale e percettivo che ragiona, come i disegni di Escher, su dinamiche continue di capovolgimenti. Nel mondo digitale sono manichini robotici a scolpire oggetti dalla fattezza umana: il pro- tagonista di questo video non è alla ricerca di un corpo, che ha già, ed è sufficiente a dargli il movimento, è alla ricerca di un viso.

In realtà, a essere precisi, il manichino scopre che dentro la sua testa c’è una simulazione sufficientemente foto-realistica di un viso uma- no: la realtà simulata sta all’interno della sua interpretazione forzatamen- te semplicistica, che richiama un oggetto costruito da un essere umano, come può essere un manichino. Il protagonista di questo video scopre non tanto la sua origine (la realtà), quanto il fatto che la simulazione di questa risiede comunque all’interno di qualsiasi tipo di interpretazione. E proprio per questo motivo, forse, ne può fare a meno: non c’è bisogno di scolpire nessuna maschera. Un oggetto digitale antropomorfo che si guarda allo specchio non può che osservare il suo attraversare lo specchio stesso, il suo essere a metà fra la dimensione dell’artificiale, e quella del reale si- mulato. Il reale non c’è più, giace addormentato, si è dissolto nel mare di dati che si riferiscono al mondo delle idee di chi ha creato gli oggetti che vivono l’universo digitale.